Venerdì Culturale 22.10.2021 – Webinar “L’agricoltura come gestore del ciclo del carbonio” (In collaborazione con la Società Agraria di Lombardia)
Relatore: Prof. Luigi Mariani (Università degli Studi di Milano)
Introduce Dott. Agr. Flavio Barozzi (Presidente della Società Agraria di Lombardia)
Modera Dott. Andrea Sonnino (Presidente della FIDAF)
PRESENTAZIONI
Introduzione
Con questo webinar si dà piena operatività alla convenzione recentemente stipulata tra la FIDAF e la Società Agraria di Lombardia, istituzione culturale ed accademica che quest’anno celebrerà il suo 160° anniversario di attività, essendosi costituita a partire dal dicembre 1861. La convenzione tra FIDAF e SAL si fonda sulla consapevolezza che la sinergia e la collaborazione tra le istituzioni professionali, culturali ed accademiche assume oggi più che mai fondamentale importanza per la diffusione delle conoscenze tecniche e scientifiche.
L’agricoltura come gestore del ciclo del carbonio
L’agricoltura ha fin dalle sue origini un ruolo centrale nel ciclo del carbonio sul nostro pianeta grazie al governo del processo di fotosintesi su cui essa si fonda. Tale evidenza, posta in luce per la prima volta in modo quantitativo dal grande fisiologo vegetale elvetico Nicolas Théodore de Saussure (Recherches chimiques sur la Végétation, 1804), è oggi sempre più spesso posta in discussione ponendo unicamente l’accento sul ruolo di emettitore del settore primario. La mancata riflessione quantitativa sulla portata dell’attività fotosintetica agricola riporta indietro di due secoli il dibattito scientifico e falsa il quadro dei valori, per cui (a) agricolture evolute e che assorbono moltissima CO2 tramite la fotosintesi vengono giudicate meno sostenibili di agricolture che emettono poco per unità di superficie a fronte di assorbimenti fotosintetici molto ridotti e (b) l’impatto ambientale della zootecnia viene valutato senza considerare che le sue emissioni di gas serra sono solo una piccola parte dell’assorbimento fotosintetico che avviene a monte di essa.
La deduzione è che occorra promuovere agricolture con rese elevate e che una volta soddisfatte le necessità di cibo e beni di consumo dell’umanità destinino gli eccessi produttivi a filiere basate sui polimeri del carbonio di origina agricola in luogo di quelli di origine fossile.
Dott. Agr. Flavio Barozzi
È Presidente della Società Agraria di Lombardia, istituzione accademica e culturale fondata nel 1861. Dottore agronomo libero professionista ed imprenditore agricolo, ha ricoperto diversi incarichi a livello sindacale ed imprenditoriale ed è stato coordinatore della Commissione di Studio “Agricoltura sostenibile-PSR” dell’ODAF di Milano. È accademico aggregato all’ Accademia dei Georgofili di Firenze.
Prof. Luigi Mariani
Agronomo libero professionista è direttore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura e vicepresidente della Società Agraria di Lombardia. Presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano insegna Storia dell’Agricoltura dopo essere stato a lungo docente di Agrometeorologia e Agronomia generale. Attualmente insegna Agronomia generale e coltivazioni erbacee all’Università degli Studi di Brescia.
Come aiutare il mondo a sopravvivere
La pandemia di Covid-19 ha tolto qualsiasi residua illusione che il progresso dell’umanità possa essere ottenuto a scapito dell’ambiente. Il depauperamento dell’habitat naturale ha spinto, e spingerà sempre più, le specie selvatiche a lasciare i loro angoli di sopravvivenza per cercare altri spazi in cui vivere, cibarsi e riprodursi; in questo modo invaderanno ineluttabilmente i posti in cui l’uomo vive. Ricordiamo anche che siamo noi che penetriamo sempre più il loro ambiente alla ricerca di risorse.
D’altro canto la popolazione mondiale è in continua crescita e chiede di aumentare le disponibilità alimentari globali, anche quelle a maggior valore aggiunto: carne, latte e derivati. Le stime dicono che entro il 2050 la produzione di alimenti vegetali dovrà salire del 60-70% e quella di alimenti animali del 50%, mentre i fenomeni meteorologici estremi stanno già aumentando e la crescente desertificazione spinge intere popolazioni a spostarsi.
Oggi si calcola che circa 1/3 della produzione mondiale vada distrutta o sprecata nel passaggio dal campo alla tavola. È dunque necessario fare ogni sforzo per ridurre questa perdita, pare però irrealistico pensare che sia possibile eliminarla completamente perché gli attacchi parassitari (insetti e muffe) in campo e in magazzino dalle fasi di produzione, di post raccolta e di lavorazione dei prodotti fino al trasporto non sono facilmente eliminabili. Occorrerebbero interventi massicci con fitofarmaci non sempre disponibili, almeno dal punto di vista economico, in molti paesi del terzo mondo. Certamente si può intervenire con successo sullo spreco fatto nelle famiglie e nel settore della ristorazione e delle preparazioni industriali. Ritengo comunque che almeno la metà delle perdite totali non potrà essere evitata.
Il miglioramento delle rese in campo per i prodotti vegetali e quello degli indici di conversione degli animali allevati è un processo continuo e graduale che, di per sé, aumenterà le disponibilità alimentari, ma la velocità di tale processo sembra essere oggi troppo limitata per scongiurare la crescente deforestazione che si attua allo scopo di ottenere nuove terre arabili da destinare a colture intensive di cereali e proteaginose. Il mito dell’agricoltura biologica o biodinamica appagherà forse la coscienza di qualche consumatore disposto a spendere di più per cibarsi, ma aggraverà il deficit alimentare che si vorrebbe invece colmare (la produttività di tali sistemi è nettamente inferiore a quella dell’agricoltura intensiva). La conseguenza di tale pratica applicata alla produzione di derrate alimentari essenziali per l’umanità, se effettuate su larga scala, sarà la ricerca di nuovo terreno arabile, con aumento della deforestazione anche a livello locale.
A questo punto vorrei fare un passo ulteriore. Oggi non si può più ritenere sufficiente aumentare la produzione agricola solamente guardando ai fabbisogni dei prossimi 30 anni: bisogna preoccuparsi anche di riparare i danni che fin qui sono stati fatti all’ecosistema, cioè pensare a ricostruire gli ambienti selvatici, a riforestare e a immagazzinare in tal modo quanta più CO2 possibile.
Secondo l’organizzazione internazionale di ricerca Global Footprint Network l’Italia ha esaurito il 24 maggio lo sfruttamento delle risorse naturali annuali, andando ad intaccare quelle del prossimo anno. A livello mondiale l’Overshoot Day corrisponde alla data del 29 luglio. Attualmente l’impronta ecologica annuale dell’umanità (domanda di risorse naturali confrontata con la biocapacità della Terra di rigenerare tali risorse in un anno) è tale da richiedere le risorse di quasi 2 mondi. Dovremmo pertanto essere in grado di aumentare le nostre produzioni di 2-3 volte senza sottrarre altri terreni agli ecosistemi naturali, anzi, preoccupandoci di ricostruirli.
So che la quadratura del cerchio sembra impossibile e non voglio considerare come soluzione del problema la riduzione della popolazione mondiale! Penso invece che la ricerca genetica vegetale e animale, e la scienza in generale, ci possano aiutare a correre velocemente verso traguardi nuovi in tempi ormai ristretti, offrendoci un aumento delle rese e della produttività senza precedenti. Tecniche sbalorditive di manipolazione dei geni in ambito medico, animale ed agronomico sono oggi una realtà ed autorizzano a sperare in risultati grandiosi. Solo così riusciremo a produrre molto, molto di più riducendo sensibilmente la superficie necessaria allo scopo e destinando quindi quella risparmiata alla nuova riforestazione. C’è però bisogno di qualche mente vivace, visionaria ed innovativa, capace di volare alto e di immaginare ciò che oggi ancora non esiste o che sembra impossibile raggiungere. Un “nuovo Steve Jobs” nel settore agricolo ed un legislatore senza paraocchi che non gli tarpi le ali ma, anzi, crei le condizioni perché possa esplodere nella sua creatività.
Dott. Agr. Ausilio Galimberti