USA, Cina e la ricerca in biologia vegetale
Nel numero 2 del 2018 della rivista ASPB News, il presidente della ASPB (Società Americana dei Biologi delle Piante) Harry Klee, professore della University of Florida, ha scritto un articolo apparentemente molto “americano”, ma credo ricco di riflessioni anche per noi. L’articolo, dal titolo “Un caso per ulteriori finanziamenti alla ricerca sulle piante”, inizia con la constatazione che gran parte dei brevetti biotecnologici si originano dalla ricerca condotta nelle istituzioni pubbliche di ricerca in USA. Forse, con una certa sorpresa, si constata che il settore privato contribuisce decisamente meno alla produzione di innovazione. La spiegazione di questo fatto si trova nella difficoltà dell’industria a ricavare la giusta ricompensa dei notevoli investimenti in tempi rapidi e anche nella forte competizione. L’industria, viceversa, può fare decisamente meglio del mondo accademico il lavoro di sviluppo successivo alla scoperta scientifica. Perciò il modello è: la ricerca a lungo termine viene effettuata nelle Università o nei centri di ricerca pubblica, poi, successivamente, si passa all’industria per sviluppare il risultato della ricerca. Così è successo sia per il DNA ricombinante, che ha segnato un assoluto punto di svolta nella ricerca in biologia, che per il “genome editing” su cui si punta per una ulteriore promettente “rivoluzione”. I fondamenti per entrambe le tecnologie sono scaturiti da studi di base di microbiologia. Sarebbe stato difficile immaginare che i sistemi di restrizione e modifica del DNA estraneo -alla base del DNA ricombinante-, avrebbero condotto a una innovazione oltremodo profonda della biologia, come quella alla quale abbiamo assistito negli ultimi decenni!! Anche un certo livello di serendipità ha contribuito a innovare la biologia vegetale e l’agricoltura, basti pensare alle ricadute degli studi su Agrobacterium tumefaciens che per molti anni furono condotti semplicemente per conoscere cosa accadesse nelle crown galls, le formazioni tumorali causate dal batterio. Queste considerazioni sono servite a Harry Klee per introdurre un altro argomento, ovvero il finanziamento di 2 miliardi di dollari che il Congresso statunitense ha stanziato a favore della ricerca nell’ambito del “genome editing” finalizzato allo studio delle patologie umane. Tale finanziamento ha trovato il favore di Klee, il quale si è però chiesto perché non ci sia stato un analogo sforzo finanziario per lo studio delle possibilità del “genome editing” in ambito agrario. La risposta che si è dato è semplice: la società in generale e con essa anche gran parte dei parlamentari degli USA, conosce bene quanto sia importante curarsi per evitare le varie malattie che ci insidiano, ma sa ben poco di quanto una sana dieta alimentare possa prevenire la comparsa di malattie, che, tra l’altro, oltre a pregiudicare lo stato di salute dei singoli, mettono a dura prova l’equilibrio finanziario del sistema sanitario degli USA, come quelli di tutti i paesi del mondo.
A questo punto le considerazioni di Klee si sono spostate sul ruolo economico dell’agricoltura degli USA che appare certamente come la più efficiente del mondo essendo in grado di produrre, con il solo 2% della popolazione attiva dedicata all’agricoltura, quanto necessita per i fabbisogni alimentari degli americani e di esportare una elevata quantità di derrate in tutto il pianeta. E’ interessante ricordare che persino nella Florida, uno Stato tradizionalmente orientato al turismo che è la prima voce di reddito, l’agricoltura rappresenta il secondo comparto, appunto dopo il turismo, in termini economici. Questo eccezionale risultato, continua Klee, è stato possibile grazie a quel complesso americano che ruota intorno alle “land-grant institutions” un meccanismo, istituito a metà dell’Ottocento, attraverso il quale lo Stato federale cede gratuitamente vaste aree territoriali anche alle Università in modo da organizzarvi strutture educative e di ricerca agrarie, finanziandole adeguatamente mediante le grandi agenzie nazionali quali la Fondazione Nazionale per le Scienza (NFS), il Dipartimento Agricolo degli USA (USDA), il Dipartimento dell’Energia degli USA (DOE). Attualmente però l’impegno finanziario, così finalizzato, ha subito una forte battuta d’arresto; nel 2016 il governo degli USA ha speso 4,1 miliardi di dollari per l’intero settore della ricerca in agricoltura – circa lo stesso stanziamento del 1990- di cui solo 1,5 miliardi sono stati devoluti alla ricerca sulle piante. Nello stesso periodo la Cina ha effettuato un percorso inverso, stanziando -nel 2013- ben 9 miliardi di dollari per la ricerca agraria. Questa scelta del governo cinese ha un riscontro evidente nell’attività scientifica di quel paese. Negli ultimi anni la presenza di lavori scientifici, condotti da ricercatori cinesi, in tutte le principali riviste di biologia vegetale è costantemente aumentata. A fronte di questo forte e crescente impegno cinese, Klee sottolinea la disarmante stagnazione degli USA che ormai hanno inaugurato la terza decade di impegno finanziario stabile -nella ricerca in biologia vegetale- e quindi sostanzialmente regressivo.
Al contrario, i motivi per importanti impegni in questo tipo di ricerca ci sarebbero, come ad esempio nel “genome editing”. Questa tecnologia può consentire di accelerare i programmi di ricerca di miglioramento genetico delle piante. (ad esempio, l’inserimento di un carattere utile in un germoplasma può avvenire nel giro di pochi mesi senza spendere anni in incroci e reincroci, e senza ricorrere alla tecnologia che ha portato all’ottenimento di PGM).
Queste considerazioni sono accompagnate da un fervorino finale all’indirizzo dei parlamentari americani che dovrebbero capire meglio quanto le argomentazioni riportate abbiano un forte impatto sulla economia di base della loro nazione.
Proprio quest’ultima affermazione mi ha ricordato che in uno dei luoghi italiani simbolo del nostro sforzo scientifico ad ampio raggio in biologia, sia medica che vegetale, -la Fondazione Human Technopole – è stato chiamato nel ruolo di Direttore, a partire dal 1 Gennaio 2019, il prof. Iain W. Mattaj, attualmente Direttore Generale dello EMBL, (European Molecular Biology Laboratory). E’ persona assolutamente qualificata e quindi adeguata a ricoprire quell’incarico. Mi chiedo: la Comunità scientifica italiana saprà interagire con Mattaj per orientare l’importante Centro milanese sulle linee di ricerca più utili al nostro sistema paese, almeno nel campo della biologia vegetale applicata all’agricoltura?