Si incrociano tre linee di riflessione a riprova di quanto sia difficile nel nostro mondo attraversato da gravi crisi risolverle efficacemente quando intervengono rigidità e particolarismi che condannano all’inazione e lasciano milioni di persone in condizioni di sofferenza:
- la scienza e la tecnologia ci offrono soluzioni a questioni come lo sviluppo dell’autosufficienza in Africa praticabili e a portata di mano se solo si operasse in modo coordinato e si stanziassero adeguate risorse;
- un malinteso ambientalismo estremo diventa fattore paralizzante privilegiando, di fatto, chimere ideologiche rispetto alla sopravvivenza
- leader politici poco lungimiranti e condizionati da convenienze interne, ostacolano di fatto la collaborazione internazionale che potrebbero con progetti di sviluppo integrati avviare a soluzione il viluppo di drammi che intrecciano la crisi economico-finanziaria, le migrazioni, l’attacco dell’ISIS, il terrorismo.
Sul primo punto una recente conferma viene dai risultati di un’approfondita ricerca su stato di avanzamento e prospettive di un’iniziativa in Africa denominata Grande Muraglia Verde per ricostruire nella fascia del Sahel una zona auspicabilmente lunga 7500 km e larga 15 km.
Riporto di seguito, tradotto in italiano, l’abstract del rapporto
Combinare i bisogni e le preferenze delle comunità con la competenza sulle piante delle zone aride, al fine di selezionare le specie autoctone adatte per il ripristino su larga scala del capitale naturale, è l’approccio che ha avuto successo nel Sahel, come parte del programma Grande Muraglia Verde dell’Africa.
Al fine di aumentare la diversità delle piante e il ripristino di terreni degradati, abbiamo studiato quattro regioni – estese oltre i confini – di Mali, Burkina Faso, e Niger, tutte situate negli ecosistemi delle zone aride del Sahel. In 120 comunità di villaggi beneficiari dell’intervento, con una popolazione totale di oltre 50.000 agricoltori, di cui 51% donne, sono stati tenuti incontri diagnostici partecipativi, che hanno portato alla scelta di 193 specie vegetali, la maggior parte delle quali sono stati utilizzate principalmente per cibo, medicine, foraggio e carburante. Di queste, 170 erano native e considerate adatte per l’arricchimento e il ripristino di quelle terre. E’ stata data priorità alle specie più adattate dal punto di vista ambientale e economicamente rilevanti ; sono stati raccolti semi di qualità, e sono state prodotte piantine in vivaio sotto opportuna supervisione tecnica a livello villaggio. Dal 2013 al 2015, sono stati piantate 55 specie legnose ed erbacee per avviare il ripristino di 2.235 ettari di terreni degradati. In media, il 60% di piantine è sopravvissuto ed è cresciuto bene in campo dopo tre stagioni delle piogge. Grazie ai suoi molteplici usi, tra i quali la produzione di gomma arabica, l’Acacia Senegal è stato preferito dalla gente locale nella maggior parte dei casi, pari al 30% di piantine piantate. Tali risultati promettenti, nell’impegno di ripristinare terreni degradati e con l’aiuto di migliaia di agricoltori, non avrebbero potuto essere raggiunti senza la combinazione di competenze scientifiche sulle piante e lo sviluppo di capacità rurali efficienti, sostenuta da alti livelli di coinvolgimento della comunità.
Ho già richiamato l’attenzione su questo progetto come esempio dei danni generati dall’ambientalismo malinteso (secondo punto).
Qui ricordo che l’Italia per fronteggiare la crisi che attanaglia l’Europa, a differenza di numerosi partner che hanno pensato soprattutto al proprio “particulare”, ha formulato una proposta denominata Migration Compact, abbastanza ben strutturata e percorribile che però trova un ostacolo (terzo punto) nella posizione tedesca sul reperimento delle necessarie risorse finanziarie per le quali Renzi propone l’emissione di Eurobond cioè di titoli di debito pubblico garantiti dall’Unione Europea e non da singoli stati.
Quando si assimileranno e si metteranno in pratica concetti irrinunciabili e decisivi per la nostra sopravvivenza? Ne cito solo alcuni:
- le sofferenze di una parte dell’umanità vanno superate non solo per doverosa solidarietà, ma anche perché ignorarle minaccia il benessere dei paesi privilegiati: il dramma che stiamo vivendo ne è una prova incontestabile
- la costruzione di una visione comune (aldilà dei particolarismi di individui, gruppi e stati) è indispensabile per uscire dal blocco dell’azione che è, invece, sempre più urgente; bisogna riconoscere che la Chiesa Cattolica dà un buon esempio di continuità in tal senso; occorre anche superare il pregiudizio che chi non è d’accordo con noi sia sempre in mala fede
- la scienza e la tecnologia sono parte della soluzione e non del problema e il loro impiego consapevole e responsabile è decisivo per realizzare uno sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale ambientale ed economico
- le soluzioni a questioni complesse richiedono risposte complesse non solo ampiamente concordate ma prolungate nel tempo e diffuse nello spazio e non basta delegarle a organismi internazionali della galassia ONU sulle cui prestazioni c’è molto da dire; recentemente è iniziata una positiva tendenza da parte di organismi internazionali a riconoscere gli errori compiuti come nel caso delle ammissioni del Fondo Monetario Internazionale, riguardo alle scelte compiute per gestire la crisi greca
- non ha senso indulgere a passerelle di questioni che conquistano fugacemente la scena mondiale ma che velocemente perdono visibilità e centralità, rimpiazzate da altre questioni reali o presunte (c’è da temere per esempio, che la grande ma effimera attenzione dedicata ai problemi dei cambiamenti climatici in occasione della COP 21 sia l’ennesimo esempio di montagna che partorisce il topolino).
- le priorità vanno scelte sensatamente: l’esplorazione di Marte o la percorribilità della vita umana nel fondo degli Oceani possono aspettare rispetto alla sopravvivenza di milioni e milioni di persone nel Sahel, ma i media ci affascinano con l’esplorazione dello spazio e non ci informano della Grande Muraglia Verde
- ……….
L’elenco delle priorità mal definite potrebbe purtroppo continuare.
Tornando alla dimensione italiana riassumo l’invito con cui concludevo il commento al Migration Compact : speriamo che in Italia si plachino le polemiche interne, si condividano le proposte (che possono sempre essere migliorate) e ci si presenti compatti al confronto con l’Europa in particolare in sede di Parlamento Europeo.
Premesso che mi trovo completamente d’accordo con l’analisi del prof. Pistella sull’importanza di strategie innovative per la soluzione di questo problema, ricordo sommessamente che l’Europa ha “storicamente” questa responsabilità considerando la colonizzazione dell’Africa alla fine del XIX secolo. Mi chiedo però se un processo del genere non possa essere iniziato dall’Italia, anche su piccola scala, subito. Appare chiaro a tutti che non può essere la soluzione ma questo tipo di iniziativa potrebbe rappresentare un carattere distintivo del nostro paese in un momento in cui tutti si preoccupano delle conseguenze e nessuno pare si stia occupando delle cause. Sarebbe una iniziativa che potrebbe coinvolgere risorse inaspettate sia sul piano scientifico che su quello sociale.
Pienamente d’accordo.E’ la stessa linea su cui si batte il CA3C dalla sua nascita : tra le altre iniziative per la tutela dell’amnbiente naturale, quelle per l’emancipazione del sottosviluppo e in particolare dell’Africa, sono da considerarsi prioritarie, nel nostro stesso interesse e per non venirne travolti.
Questa era la linea della Cooperazione allo sviluppo degli anni ’70 e ’80 . Erano i tempi degli Aurelio Peccei, dei Francesco Curato e delle Imprese come Italconsult, Bonifica, Impresit ecc e delle realizzazioni in Africa come Cheita (che sono ancora citate come esempi di intervento). Poi sono sopravvenute le crisi economiche e prima ancora politiche che hanno travolto e fatto dimenticare tutto il buono ed i meriti che l’Italia aveva saputo acquisire.
E che sarebbe, quanto mai, opportuno e di attualità fossero di nuovo ripercorsi per la soluzione dei molti e gravi problemi ambientali e sociali che abbiamo di fronte.
Ora sembrano trionfare populismo e rabbia, manicheismo e banalizzazione. Sono d’accordo con te Emanuele, dovremmo porre al centro delle nostre azioni i diritti degli uomini e il bene del nostro pianeta. Luigi