Un antico alieno: la Mosca della frutta, Ceratitis capitata

Un antico alieno: la Mosca della frutta, Ceratitis capitata

Una delle specie aliene invasive che, per prime, hanno invaso il Bacino mediterraneo è il Dittero Tefritide Ceratitis capitata, probabilmente originario dell’Africa sub-sahariana; si ritiene sia stato introdotto, con frutti infestati, in Spagna e in Italia, dai Fenici, o dai Romani. Catone il Censore, per sollecitare la distruzione di Cartagine, troppo vicina a Roma, portò in senato dei fichi freschi arrivati dal Nord-Africa. Grazie al suo notevole potenziale biotico e alle favorevoli condizioni ambientali, la Mosca si è ampiamente diffusa anche nel Vicino Oriente e in Arabia. Più recente è l’introduzione in Australia occidentale e nelle Hawaii. In Messico, Florida, California e Cile, si è insediata più volte ed è stata oggetto di programmi di eradicazione.

Gli adulti hanno il corpo lungo 4-6 mm; il capo è giallastro, con occhi rossastri, iridescenti, e antenne brunastre. Il maschio ha sulla fronte 2 setole spatoliformi, da cui il nome scientifico della specie (kera=corno, capitata=a testa grossa). Le ali, che sono maculate con fasce brune e giallastre, vengono tenute parzialmente abbassate durante la deambulazione e il riposo; in tal modo simulano l’atteggiamento aggressivo di ragnetti predatori di Ditteri, ai quali riescono così a sfuggire. Le femmine, non recettive, le accostano sul dorso, rendendo difficile la copula. Nell’addome delle femmine è presente un robusto ovopositore di sostituzione, dotato di sensilli chemiorecettori. I maschi, attirano le femmine con le parate nuziali nel corso delle quali emettono un feromone di richiamo sessuale, percepito anche da altri maschi e dall’odorato umano. Le femmine sono di norma monogame, poiché i partner, poligami, durante l’accoppiamento, rilasciano sostanze anticopula prodotte dalle ghiandole accessorie, repellenti per altri maschi. L’ovideposizione, al ritmo di 20-150 uova al giorno, è preceduta dalla perforazione dell’epi- e del mesocarpo nel quale vengono rilasciate da 2 a 15 uova bianche, fino a 2000 che, appena deposte, vengono protette da particolari secreti delle ghiandole accessorie, ricchi di proteine antibatteriche, lisozima, ecc. La larva matura ha il corpo, di forma subconica, di colore bianco giallastro, lungo 7-9 mm. Il pupario è di colore rossastro, lungo 4,5 mm; in alcuni ceppi esiste una differente colorazione dei pupari maschili e femminili che consente il rapido sessaggio visivo.
La specie, tendenzialmente omodinama, nelle zone a inverni miti, sverna da adulto o da larva nei frutti di arancio, ficodindia, ecc. Nelle località più fredde sverna da pupa nel terreno. Gli adulti compiono migrazioni, superando anche limitate distese di acqua. In pieno campo, al sud, svolge da 6-7 generazioni annue, e da 2 a 3, più a nord, con accavallamento dei vari stadi. Nell’Europa continentale si sviluppa solo durante l’estate I danni arrecati a vari fruttiferi sono notevoli. La ferita, dovuta alla puntura, si presenta di colore marrone, più o meno scuro, e depressa su pesche e albicocche; nerastra su kaki; giallastra e ampia su arance verdi, verde-giallastro e poi marrone rossastro su arance mature. Le punture di ovideposizione, su agrumi, accelerano l’invaiatura e la cascola, dei frutti, anche a seguito dell’insediamento di Coleotteri carpofili.
La mortalità è causata dalle temperature, alte o basse, dai venti, caldi o freddi, dalla eccessiva piovosità e dalla reazione dei frutti infestati. Nei limoni e nei cedri la mortalità delle uova è totale; nei fichidindia quella larvale è del 60-80%. Negli acini dell’uva Italia le larve neonate scavano mine serpentiniformi superficiali che deturpano gli acini, ma non arrivano a completare lo sviluppo.
Nel Bacino mediterraneo, la Mosca è controllata da entomopatogeni e da occasionali predatori, di larve e pupe nel suolo. La Ceratite è inclusa nella Lista A2 dell’EPPO e i frutti destinati all’esportazione  sono soggetti a specifiche misure di controllo. USA, Giappone, e vari altri Paesi, impongono il trattamento a bassa temperatura per 2 settimane a 1°C, sufficiente per uccidere tutti gli stadi presenti nei frutti. Per il controllo delle infestazioni del Tefritide, occorre fare riferimento ai Disciplinari regionali di produzione integrata. I metodi agronomici prevedono, ove possibile, la riduzione delle consociazioni favorevoli allo sviluppo continuo della mosca; l’eliminazione dei focolai d’infestazione e la distruzione dei frutti infestati (cascolati o pendenti). Per la lotta adulticida, vengono utilizzati vari tipi di trappole; quelle cromoattrattive sfruttano l’attrazione del colore giallo sugli adulti, ma il loro raggio di azione è limitato, non sono selettive: attraggono e decimano numerosi entomofagi; pertanto, il loro numero deve essere limitato a 1-3 per ettaro e solo per il monitoraggio. Le trappole chemioattrattive, vengono innescate con varie sostanze: zuccheri, melassi e sali di ammonio; molto attrattive ma poco selettive, sono le proteine idrolizzate (Buminal, Lisatex, ecc). Le bottiglie trappola, tipo “Mc Phile, in vetro, o in plastica, sono utilizzate per il monitoraggio e la cattura massale. Maggiore selettività hanno le trappole innescate con trimedlure, sostanza paraferomonica, che viene rilasciata alla dose di pochi nanogrammi al giorno da dispensatori attivi per circa 10 settimane. Viene anche usata nei pannelli A&K (Attract & Kill) costituiti da un cartone laminato e opportunamente sagomato per essere facilmente appeso ai rami delle piante e di colore neutro non attrattivo per gli insetti ausiliari. Alla superficie del pannello, ricoperto di insetticida, è applicato un erogatore di trimedlure (presente su un pannello ogni tre) e un diffusore contenente sali d’ammonio che funge da attrattivo alimentare (su tutti i pannelli).
La lotta adulticida si basa anche sull’impiego di esche proteiche (idrolizzati proteici, avvelenati) irrorate su porzioni di chioma di un interfilare su due, o tre, ovvero con esche pronte a base di spinosad. La lotta autocida (S.I.T., S.I.R.M.), nota anche come “Tecnica del maschio sterile”, consiste nella distribuzione nell’ambiente di un gran numero di maschi, allevati in laboratorio e resi sterili, è stata applicata, nel 1959-60, nelle Hawaii e poi in Italia, America, Messico e Spagna. La sua realizzazione richiede personale specializzato e apposite infrastrutture per operare su aree le più vaste possibili o geograficamente delimitate.

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Cipressi, 1889
Cipressi, 1889

Redazione Fidaf

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