Tanto o buono? Il falso dilemma tra quantità e qualità di cibo

Tanto o buono? Il falso dilemma tra quantità e qualità di cibo

Da un po’ di tempo quando si parla di cibo e quindi, di riflesso, di produzione agricola, la parola quantità viene usata con una connotazione negativa. Si legge spesso infatti che l’agricoltura deve abbandonare l’obiettivo della quantità e, quindi, della produttività dei fattori produttivi, e puntare esclusivamente sulla qualità dei prodotti, concetto che troviamo spesso legato a quelli di tipico, locale, caratteristico e simili o addirittura a quello di antico, tradizionale, primitivo. Certo, questi concetti sono stati alimentati dal fatto che nella Unione Europea vi è stata sovrapproduzione di alcune derrate agricole, frutto di una irrazionale politica di incentivi alla produzione, e dalle susseguenti misure che hanno cercato di mettervi riparo. Basti ricordare le politiche di disaccoppiamento dei sussidi, di set aside, di multifunzionalità e via enumerando. È anche da considerare che l’agricoltura europea in generale e, ancor più, quella italiana, fiaccate da decenni di incentivazioni a produrre e a non produrre, invece che a innovare, non è riuscita a contenere i costi di produzione come quella degli altri continenti e che quindi la carta della qualità, quando resa riconoscibile da una opportuna certificazione, può offrire un vantaggio competitivo di tutto rilievo. È il caso per esempio della produzione di vino in Italia, il cui volume totale ha perso circa il 30% negli ultimi trent’anni, ma il cui valore totale è  invece crescente.

Ma è poi vero che la quantità della produzione (e quindi la produttività) è una caratteristica negativa? Ed è poi vero che qualità e quantità si escludono a vicenda? Proviamo a esaminare la questione da un punto di vista razionale.

Prima considerazione: ci si dimentica spesso che l’azienda agricola, come d’altronde ogni altra attività economica, ha natura imprenditoriale e si basa quindi sul principio edonistico. L’agricoltore ha come scopo principale l’ottenimento del massimo utile con il minimo sforzo o costo. La produttività dei fattori di produzione gioca quindi un ruolo fondamentale nelle scelte imprenditoriali effettuate dagli agricoltori, sia che siano piccoli proprietari, affittuari o grandi latifondisti, che cercheranno di ottenere  comunque il massimo profitto sia massimizzando la quantità di prodotto, sia facendosi riconoscere un prezzo unitario che premi la qualità del prodotto medesimo.

Seconda considerazione: a livello globale la domanda di alimenti sta aumentando e sta modificando la sua composizione per l’effetto combinato della crescita demografica, della urbanizzazione, del miglioramento economico di vasti strati della popolazione, soprattutto, ma non solo, nell’Asia sud-orientale, nonché di altri fattori. Per maggiori dettagli su questo aspetto ci si può riferire alla nota “Come evolverà la domanda di alimenti? (Senza rimpianti 3)” pubblicata qualche tempo fa su questo stesso sito.

Terza considerazione: gli alimenti sono soggetti, come tutti gli altri beni, alla legge della domanda e della offerta. Se non conseguiamo una quantità di produzione tale da soddisfare la crescente domanda di cibo, i prezzi dei prodotti agricoli tendono inevitabilmente a lievitare. Un aumento dei prezzi degli alimenti può forse essere facilmente assorbito da una famiglia media italiana, che destina all’acquisto di alimenti meno del 18% del totale delle proprie uscite. Prezzi più alti degli alimenti sono invece un grave problema per i meno abbienti anche in Italia, dove il quantile più basso (il quinto della popolazione che può spendere meno) alloca più del 23% alla soddisfazione delle proprie  esigenze alimentari (dati ISTAT riferiti al 2016). Ma l’aumento del prezzo degli alimenti diventa drammatico nei Paesi a reddito basso o medio-basso. Per esempio in Kenya le famiglie utilizzano quasi il 47% delle loro entrate per acquistare cibo, in Nigeria addirittura il 56% (Fonte World Economic Forum).

Quarta considerazione: le produzioni di nicchia che soddisfino le richieste di gourmet spendaccioni possono aiutare in molte condizioni a migliorare il reddito di agricoltori piccoli o molto piccoli e quindi il tenore di vita delle loro famiglie. Ne è dimostrazione il caso dei piccoli produttori di caffè dell’Occidente dell’Honduras, che hanno intelligentemente  impostato la loro strategia produttiva e commerciale su ‘microlotes’ (microlotti) con caratteristiche organolettiche speciali e riescono quindi a spuntare prezzi ben al di sopra del prezzo internazionale. L’adozione di questa strategia di successo ha comportato l’adozione di una serie di innovazioni agronomiche, tecnologiche, organizzative e commerciali.

Quinta ed ultima considerazione: quantità e qualità non sempre si escludono a vicenda. Esempio ne sia il progetto HarvestPlus che è riuscito a mettere a disposizione degli agricoltori di molti paesi in via di sviluppo varietà caratterizzate da qualità nutrizionale più alta e produttività pari a quella delle varietà tradizionali, come per esempio fagioli ad alto contenuto di ferro e zinco in America Centrale o patate dolci dotate di beta-carotene (pro-vitamina A) in Africa.

In conclusione, l’obiettivo che ci dovremmo porre è quello della sostenibilità dei sistemi agroalimentari, perseguendo un razionale equilibrio tra quantità e qualità delle produzioni agricole. Demonizzare la quantità non porta vantaggi ambientali, mina i redditi degli agricoltori e danneggia i consumatori, soprattutto quelli con minore potere d’acquisto.

Music in the Tuileries Garden - Edouard Manet
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Redazione Fidaf

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