STRATEGIE FARM TO FORK E BIODIVERSITA DELL’UE – IMPATTO ECONOMICO, AMBIENTALE E SULLA SICUREZZA ALIMENTARE
Crescono le riflessioni allarmate sulla sostenibilità e sugli effetti delle strategie del Green Deal dell’Unione Europea in ambito agricolo. In questo articolo si commentano i risultati delle analisi tecnico-economiche condotte dal Centro Comune di Ricerca dell’Unione Europea (JRC) e dal Dipartimento dell’Agricoltura Statunitense (USDA).
Mediante il Green Deal (Patto verde europeo) la Commissione Europea ha varato nell’ultimo triennio un piano articolato in una serie di interventi, allo scopo di raggiungere entro il 2050 la neutralità climatica in Europa. Nell’ambito di questo piano avranno verosimilmente un significativo impatto sul settore agricolo la strategia Farm to Fork (F2F) (EC 2020a) e quella per la Biodiversità (biodiversity Strategy BDS) (EC 2020b), accompagnate da una correlata Politica Agricola Comune (PAC post-2020) -EC 2018a, b e c).
Le iniziative strategiche F2F, BDS e PAC post-2020 devono essere peraltro collocate in un contesto complesso che si caratterizza per una riduzione delle spese per il sostegno all’agricoltura ormai in atto da tre decenni (Fig. 1), accompagnato da sempre maggiori vincoli all’attività produttiva e da una crescente apertura alle importazioni da Paesi Terzi.
Figura 1. Evoluzione temporale dal 1980 al 2020 delle spese connesse alla politica agricola dell’UE (fonte: UE – DG Agricoltura). |
1. Le analisi di scenario pubblicateSono stati recentemente pubblicati due rapporti tecnico-scientifici che presentano valutazioni di scenario relative agli impatti dei nuovi indirizzi politici dell’UE relativamente a produzioni agricole, ambiente, redditi dei produttori e importazioni. Questi rapporti sono stati sviluppati rispettivamente dal JRC (Joint Research Centre) della Commissione Europea (Barreiro-Hurle et al., 2021) e dall’USDA (United States Department of Agriculture), il Dipartimento dell’Agricoltura Statunitense (Beckman et al., 2020). L’obiettivo di questo articolo è quello di offrire ai lettori una sintesi di quanto è emerso dalle analisi di questi studi e di sviluppare alcuni commenti in merito.
2. Rapporto del JRC Il rapporto (Barreiro-Hurle et al., 2021) si fonda sui dati ottenuti con il modello CAPRI, impiegato da oltre un decennio nelle analisi ex ante degli impatti delle politiche agricole e ambientali. In questo studio il modello è stato applicato ipotizzando la piena attuazione delle proposte di riforma della PAC, allo scopo di misurare gli effetti sull’agricoltura dell’UE, compresi quattro obiettivi quantitativi proposti nel F2F e nel BDS. L’analisi considera la riduzione nell’uso dei prodotti fitosanitari, la riduzione del surplus di nutrienti, l’aumento della superficie ad agricoltura biologica e l’aumento della superficie dedicata ad ambienti ad elevata biodiversità. Gli impatti sono modellizzati considerando tre scenari:
– Scenario 1 – Applicazione di F2F e BDS senza alcuna modifica alla PAC, che rimarrebbe quella in vigore per il periodo 2014-2020;
– Scenario 2 – Cambiamento della PAC per adeguarla agli obiettivi delle strategie F2F e BDS, senza la disponibilità di finanziamenti UE della Next Generation
– Scenario 3 – Cambiamento della PAC come nello scenario 2, ma supportata da adeguati finanziamenti UE.
Il modello adottato considera principalmente gli aspetti legati all’offerta e non tiene conto dei futuri cambiamenti nelle scelte dei consumatori.
Il rapporto evidenza gli impatti potenziali della futura PAC con riferimento ad una serie di indicatori di effetto a livello ambientale, produttivo, dei redditi, dei prezzi e del commercio.
Per l’analisi dei risultati produttivi dell’agricoltura biologica viene considerata l’ipotesi alla base della PAC e della BDS secondo cui la coltivazione biologica interesserà il 25% della superficie agricola europea. Gli effetti produttivi di tale prospettiva sono ricavati dal dataset europeo FADN (Tab. 1). Rispetto a tali dati occorre segnalare che la nostra esperienza porta a ritenere realistici i cali di resa indicati per tutte le macro-regioni, tranne quelli relativi alla regione mediterranea, ove i cali di resa indicati per tutte le colture sono da noi ritenuti piuttosto sottostimati. Pur non disponendo di dati ufficiali per l’Italia sulle produzioni e sui rendimenti unitari delle coltivazioni biologiche, a nostro avviso i cali di resa realistici per gli areali ad agricoltura intensiva sarebbero compresi tra il 20 e il 40% per il frumento, il mais, gli altri cereali e le orticole. Cali inferiori potrebbero, invece, essere considerati per le aree marginali.
I risultati relativi allo scenario 1 pongono in evidenza:
- un aumento della superficie agricola utilizzata (SAU) del 3%;
- un calo del 4% della superficie e del 15% della produzione dei cereali. a seguito di una contrazione delle rese dell’11%;
- una riduzione del 4% della superficie e del 16% delle produzioni delle oleaginose;
- una stabilità delle superfici (+ 0,1%) e un calo delle produzioni delle orticole e delle colture permanenti (fruttiferi e non);
- una riduzione del 10% del numero di capi e della produzione delle bovine da latte;
- un calo del 18% del numero di capi e del 14% della produzione bovina da carne;
- un calo del 14% del numero di capi e del 16% della produzione di suini;
- una riduzione del 9% del numero di capi e del 10% della produzione ovi-caprina;
- una riduzione del 17% del numero di capi e del 16% della produzione degli avicoli.
Sulla base di questi dati, l’approvvigionamento di carni scenderà del 14% e quello di latte del 10%.
Nello studio si sottolinea anche che le variazioni stimate nei tassi di auto-approvvigionamento porteranno ad aggiustamenti nei flussi commerciali ed in particolare:
- Nel settore dei cereali la posizione commerciale netta dell’UE peggiorerà per la combinazione di maggiori importazioni (del 39%, in sostituzione della produzione interna dell’UE) e di minori esportazioni (del 38%, poiché l’offerta interna scenderà del 22% e i prezzi UE più elevati diventeranno meno competitivi). Ciononostante, l’UE rimarrà un esportatore netto di cereali.
- Le importazioni di semi oleosi nell’UE aumenteranno in modo significativo, trainate dalla necessità di surrogare la produzione nazionale con le importazioni. Inoltre gran parte delle importazioni di semi oleosi sarà costituita da colza prodotta da Canada e Ucraina.
- La forte diminuzione nella domanda di mangimi ridurrà significativamente l’importazione di panelli (soprattutto panelli di soia per l’alimentazione zootecnica). Pertanto le importazioni UE dai maggiori partners commerciali diminuiranno (del 18% dai paesi del Mercosur, del 35% dagli USA e del 24% dalla Russia).
- La domanda di carne ovicaprina sarà soddisfatta da importazioni soprattutto da Australia, Nuova Zelanda e dai paesi del Mercosur.
- L’export di carni suine scenderà del 77%, con un drastico calo del tasso di autoapprovvigionamento e un forte aumento dei prezzi al produttore.
- L’import di avicoli aumenterà significativamente e triplicando gli acquisti dal Brasile e dalla Thailandia.
Secondo gli estensori dello studio, gli effetti negativi potrebbero essere parzialmente contenuti da cambiamenti nelle diete e diminuzione delle perdite di cibo (food waste).
Significative reazioni vengono inoltre evidenziate a livello dei prezzi, soprattutto per i prodotti di origine animale (Fig. 2). In queste condizioni, a seconda della variazione dell’offerta totale, si determineranno impatti sul reddito dei diversi settori ed in particolare il reddito del settore cerealicolo andrà incontro a una sensibile riduzione (-26%). Sebbene il calo di reddito sia in parte compensato dall’aumento dei prezzi alla produzione (+8,2%) e dal calo dei costi variabili (-1,6%), tali effetti non saranno abbastanza forti da compensare il forte calo dei ricavi totali (-8,6%), guidato dalla riduzione dei rendimenti dell’11%. Impatti minori sono stimati per il settore degli ortaggi e delle colture permanenti, per i quali la riduzione dovrebbe attestarsi intorno al 15%.
Figura 2. Variazioni percentuali dei prezzi al produttore per l’Europa a 27 nello scenario 1 che prevede il raggiungimento degli obiettivi F2F e BDS e il mantenimento della PAC 2014-2020. |
3. Gli impatti sull’ambiente
Gli impatti in termini di emissioni di inquinanti e di gas a effetto serra sono riassunti in Tabella 2. A questo riguardo è necessario osservare che a livello globale le riduzioni di emissioni riportate in tabella saranno compensate dagli aumenti generati nei paesi che forniranno all’Europa quanto non più prodotto da essa.
Va altresì osservato che in questa valutazione sono state considerate soltanto le minori emissioni di CO2, mentre non è stato tenuto in conto il minore assorbimento fotosintetico derivante dalla riduzione delle produzioni agricole. In particolare, con riferimento ai soli cereali, il calo produttivo (del 15%, pari a circa 45 milioni di tonnellate) (Worldbank – QUI) si tradurrebbe in una diminuzione dell’assorbimento fotosintetico totale pari a 222 milioni di tonnellate di CO2,,di cui il 50% è stoccato nella granella. La riduzione del 20,3% delle emissioni di gas serra espressi come CO2 equivalenti (Tab. 2) rispetto alle emissioni totali del settore agricolo, pari a 426 milioni di tonnellate¹ corrisponde a 89 milioni di tonnellate di CO2. In queste condizioni il calo della produzione agricola interna indotto dalle strategie comunitarie determinerebbe una riduzione dell’assorbimento di CO2 da parte delle colture superiore alla riduzione delle emissioni generate dalla coltivazione.
A tale riguardo si deve inoltre considerare che a livello ambientale l’agricoltura biologica è, in generale, considerata meno sostenibile di quella convenzionale, in quanto, a seconda delle colture, richiede dal 20 al 40% in più di terra per produrre la stessa quantità di prodotto finale; l’estensione delle produzioni biologiche a livello globale comporterebbe, di conseguenza, importanti aumenti di emissioni dovuti al dissodamento di nuove terre in altri Paesi per soddisfare la domanda globale di prodotti agricoli (Burney et al, 2010). A ciò si aggiunga che le emissioni per unità di prodotto legate al processo produttivo biologico sono superiori rispetto a quelle dell’agricoltura convenzionale, come evidenziato ad esempio da Searchinger et.al. (2018) per il frumento (+75% di CO2equivalente emessa per unità di prodotto biologico rispetto al convenzionale) e per il pisello (+56%) e da Bacenetti et al. (2016) per il riso (+335%, secondo calcoli riferiti al kg di riso lavorato). In sintesi, a nostro avviso una non corretta analisi degli elementi presi in considerazione per la valutazione della sostenibilità ambientale delle politiche UE potrebbe condurre a non conseguire i risultati attesi ed avere un importante impatto negativo sul settore agricolo europeo.
4.Rapporto dell’USDA
L’analisi dell’USDA conferma sostanzialmente i risultati dello studio europeo del JRC, evidenziando che le restrizioni all’agricoltura imposte dalle Autorità europee attraverso riduzioni mirate dell’uso di terra, fertilizzanti e prodotti fitosanitari avranno conseguenze importanti sulla struttura e sulla produttività dell’industria agro-alimentare europea. Inoltre, essendo l’UE un’importante area di produzione agricola ed avendo un peso significativo nel commercio agricolo internazionale, le nuove strategie europee avranno verosimilmente un notevole impatto sui mercati internazionali dei prodotti agricoli di base e, di conseguenza, sul più ampio sistema agricolo-alimentare.
Per analizzare gli effetti sulle prospettive di mercato e sulla sicurezza alimentare, l’analisi USDA ha principalmente fatto riferimento alle diverse riduzioni degli input previste dalle strategie UE: riduzione dell’uso di prodotti fitosanitari del 50%, riduzione dei fertilizzanti del 20%, riduzione dell’uso di antimicrobici nell’allevamento di bestiame e nell’acquacoltura del 50% e sottrazione all’uso agricolo del 10% dei terreni agricoli esistenti. Per cogliere gli impatti potenziali non solo dell’adozione di tali strategie da parte dell’UE ma anche della “transizione globale verso sistemi agroalimentari sostenibili attraverso le sue politiche commerciali e gli strumenti di cooperazione internazionale” (Commissione europea, 2020), sono stati utilizzati i seguenti 3 scenari.
Scenario 1. Presuppone che solo l’UE attui le strategie F2F e BDS senza restrizioni e vincoli per i paesi da cui l’UE importa i prodotti agricoli
Scenario 2. Prevede che le restrizioni sugli input agricoli siano estese ai partners commerciali dai quali l’UE importa. Questo scenario assume contemporaneamente che l’UE limiti il 50% delle importazioni dalle regioni che non adottano le strategie, allo scopo di simulare l’uso di politiche commerciali ad hoc per sostenere tali strategie.
Scenario 3. Riguarda il caso in cui le strategie vengano adottate a livello globale, come suggerito dall’impegno della UE a sostenere la transizione su questo ordine di scala.
Lo studio si è basato sull’adozione del modello Global Trade Analysis Project-AgroEcological Zones (GTAP-AEZ) che esamina i potenziali impatti sul mercato e sull’economia dall’adozione delle strategie suddividendo il mondo in 18 zone agroecologiche e tenendo esplicitamente conto delle diverse possibilità di uso della terra. L’analisi è stata condotta assumendo un orizzonte di medio periodo (8-10 anni). Inoltre per esaminare i potenziali impatti sulla sicurezza alimentare derivanti dall’adozione delle nuove strategie UE si sono considerati i cambiamenti stimati nel prodotto interno lordo (PIL) e nei prezzi alimentari, utilizzando il modello International Food Security Assessment (IFSA) dell’USDA che è stato adottato per la stima dei cambiamenti nel consumo alimentare nei paesi in via di sviluppo.
Secondo l’analisi USDA l’adozione delle strategie F2F e BDS porterà a una riduzione della produzione agricola dell’UE, riducendo al contempo la sua competitività nei mercati interni e di esportazione. Se l’applicazione di tali strategie dovesse riguardate anche altre regioni del mondo, gli effetti aumenterebbero significativamente, con conseguenze per il benessere e la sicurezza alimentare mondiale.
In estrema sintesi gli output del modello indicano i seguenti effetti per il 2030:
-Nell’UE la produzione agricola, calerebbe del 12, dell’1 e del 7%, rispettivamente,nei tre senari considerati. Al contempo la produzione agricola mondiale scenderebbe dall’1 al 4 e fino all’11% (Tab. 3).
-Il declino della produzione agricola restringerebbe l’offerta alimentare dell’UE, con un conseguente aumento dei prezzi che avrebbe un impatto negativo sui bilanci dei consumatori, con costi alimentari pro capite che aumenterebbero rispettivamente di 153, 651 e 602 euro l’anno nei tre scenari considerati. Va al riguardo osservato che gli aumenti dei costi alimentari sarebbero significativi per la maggior parte delle regioni, nel caso in cui le strategie dovessero essere adottate a livello globale. Per gli Stati Uniti, i prezzi e i costi alimentari rimarrebbero relativamente invariati, tranne che nel caso di un’adozione globale.
Il declino della produzione nell’UE e in altri ambiti geografici porterebbe a una riduzione del commercio, anche se alcune regioni potrebbero trarre beneficio dai cambiamenti dei flussi di importazione. Tuttavia, se il commercio dovesse venire limitato, come conseguenza dell’imposizione delle misure proposte, gli impatti negativi sarebbero più significativi nelle regioni con popolazioni del mondo soggette a maggiori livelli di insicurezza alimentare.
Il calo nella produzione e nel commercio, insieme ai previsti aumenti dei prezzi delle materie prime alimentari, ridurrebbe significativamente il prodotto interno lordo (PIL) dell’UE, specialmente se l’adozione fosse limitata all’UE (scenario 1). In tal caso, il declino del PIL dell’UE rappresenterebbe il 76% del declino del PIL mondiale. Se tuttavia le strategie fossero adottate anche al di fuori dell’UE, la quota di quest’area nel declino del PIL mondiale scenderebbe al 49% nello scenario medio e fino al 12% per cento, se applicate a livello globale. Gli effetti sul PIL degli Stati Uniti sarebbero inferiori a quelli dell’UE e del mondo intero in tutti gli scenari adottati.
– L’insicurezza alimentare, riferita al numero di persone che non hanno accesso a una dieta di almeno 2.100 calorie al giorno, aumenterebbe significativamente nei 76 paesi a basso e medio reddito, a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari e del calo del reddito e ad essere coinvolta sarebbe soprattutto l’Africa. Entro il 2030, il numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare, nel caso di adozione della sola UE, aumenterebbe di 22 milioni rispetto al numero previsto senza l’adozione delle strategie proposte mentre con gli scenari 2 e 3 il numero salirebbe rispettivamente a 103 e a 185 milioni.
5. Valutazioni di sintesi
Secondo le analisi dei rapporti del JRC e dell’USDA l’applicazione delle strategie F2F e BDS dell’UE darebbe luogo ai seguenti principali effetti:
– aumento dei costi di produzione e dei prezzi al consumo dei prodotti agricoli e calo della redditività;
– riduzione delle produzioni agricole, con conseguenti perdite di quote di mercato interno da parte dei produttori europei a favore di quelli di altri paesi;
– diminuzione delle emissioni di GHG e di diversi inquinanti come parte di un programma ambizioso, attraverso il quale l‘ UE si propone di diventare, entro il 2050, il primo continente climaticamente neutrale. Tale risultato potrebbe tuttavia rivelarsi vano, a livello globale, a causa delle maggiori emissioni in altre aree del mondo, nelle quali verranno delocalizzate le produzioni agricole di cui l’Europa non sarà più in grado di autoapprovvigionarsi. Tutto ciò presenta preoccupanti analogie con quanto accaduto in passato nel settore industriale europeo (industria chimica, siderurgica, ecc.), a seguito della delocalizzazione al di fuori dell’area UE di moltissimi impianti.
Alla luce di queste condizioni e stante la rigidità della domanda di prodotti alimentari nell’ambito UE si rafforza negli analisti internazionali il timore che l’adozione di queste strategie UE e delle politiche agricole ad esse connesse possa esternalizzare l’impatto ambientale della produzione agricola in altri paesi, (es. USA, Indonesia, Malesia, Brasile e Argentina), con i quali in questi ultimi anni la UE ha firmato importanti accordi di importazione.
Se non verranno introdotte norme e sistemi di controllo rigidi riguardo agli standard qualitativi e di sicurezza dei prodotti importati, l’Europa non avrà che una limitata possibilità di intervenire sui sistemi produttivi adottati negli altri paesi produttori, con il rischio di non ottenere alcun cambiamento significativo a livello globale. In queste condizioni, il commercio internazionale sarà verosimilmente regolamentato da un mosaico di regole in parte volontarie e in parte vincolanti, come quelle relative al rispetto della direttiva europea del 2018 sull’energia rinnovabile, la quale prevede, ad esempio, che i semi oleosi, come quelli di soia o colza, non possano provenire da terreni recentemente deforestati. A questo riguardo occorre osservare che negli ultimi tre decenni, all’aumento nei paesi dell’Unione Europea della superficie boschiva (+13 milioni di ettari circa) è corrisposto il disboscamento di un’area forestale almeno equivalente in Brasile e Indonesia per consentire la produzione di semi oleosi destinati al consumo europeo (Burkhrardt e Karlsbro, 2021; Fuchs et al, 2020). Le strategie comunitarie con la sopraccitata direttiva sull’energia rinnovabile, consentono di rendere sostenibili le produzioni ottenute da terreni deforestati prima del 2008 e in ogni caso non si ha alcuna garanzia del rispetto degli standard di sostenibilità ambientale nella coltivazione dei prodotti importati. A titolo di esempio, negli accordi firmati tra l’UE e il Mercosur, i paesi produttori si limitano ad accettare di fare il possibile per migliorare le loro norme ambientali e sulla protezione del lavoro.
6. Conclusioni
A conclusione di questa sintetica analisi riteniamo utile richiamare le seguenti considerazioni dell’europarlamentare italiano Herbert Dorfmann del partito popolare, che con l’olandese della sinistra Anja Hazekamp è correlatore del provvedimento strategico F2F: “Credo che con la collega abbiamo trovato una formulazione tale da affrontare le preoccupazioni che emergono dallo studio del JRC. Sei o sette anni fa parlavamo di intensificazione sostenibile. Ora è rimasta solo la sostenibilità e questo è un errore d’impostazione della Commissione sulle strategie per l’agro-alimentare. Non voglio dire che il modello attuale sia perfetto, anzi per quanto riguarda i prodotti di derivazione animale l’Unione Europea non può agire solo come importatore di soia per esportare latte in polvere e carne di maiale. Con la risoluzione dell’Europarlamento daremo risposte politiche alle preoccupazioni evidenziate dallo studio del JRC”.
Riallacciandoci a questa affermazione ci permettiamo di aggiungere che la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche economica e sociale. Con la riduzione attesa della produzione agricola le strategie F2F e BDS rischiano di incrementare la dipendenza della produzione agricola dal sostegno finanziario pubblico e di aumentare il livello della spesa alimentare, senza determinare alcun reale beneficio per l’ambiente, tanto a livello locale che globale.
Le due strategie porteranno per i prodotti agricoli ad un importante aumento della dipendenza dell’UE da altri Paesi, esportando in questi insostenibilità, come già è accaduto per le risorse energetiche. Pare dunque definitivamente tramontare l’idea dei padri fondatori dell’autosufficienza agro-alimentare ed energetica come base per la sicurezza e lo sviluppo dell’Unione. Ci permettiamo, al riguardo, di stabilire un parallelismo tra il settore agricolo e quello dell’energia, settore, quest’ultimo, in cui l’UE, pesantemente deficitaria sul piano delle fonti energetiche (petrolio, gas naturale) ha deciso di rinunciare a carbone e nucleare, sperando di indurre gli altri Paesi a comportarsi allo stesso modo, con esiti paradossali come quello per cui per produrre energie rinnovabili si importano in Europa dalla Cina pannelli fotovoltaici realizzati con l’energia prodotta da centrali a carbone.
Ci auguriamo che possano emergere ripensamenti in merito alla valutazione dei rischi strategici connessi all’adozione di tali scelte e che la declinazione applicativa di linee di indirizzo tanto controverse e discutibili sia improntata a maggiore attenzione alla realtà dei fatti ed all’evidenza dei dati, sia sul piano scientifico che su quello strettamente tecnico-economico.
Nota
¹Dati ottenuti considerando emissioni di GHG totali del settore agricolo pari a 426 milioni di tonnellate (fonte: Agri-environmental indicator – greenhouse gas emissions –https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Archive:Agri-environmental_indicator_-_greenhouse_gas_emissions&oldid=374989#Total_emissions_from_the_EU_agricultural_sector)
L’articolo è disponibile anche su https://www.agrariansciences.it/2021/09/strategie-farm-to-fork-e-biodiversita.html
Bibliografia
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· Barreiro-Hurle, J., Bogonos, M., Himics, M., Hristov, J., Pérez-Domiguez, I., Sahoo, A., Salputra, G., Weiss, F., Baldoni, E., Elleby, C., 2021. Modelling environmental and climate ambition in the agricultural sector with the CAPRI model. Exploring the potential effects of selected Farm to Fork and Biodiversity strategies targets in the framework of the 2030 Climate targets and the post 2020 Common Agricultural Policy, EUR 30317 EN, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2021, ISBN 978-92-76-20889-1, doi:10.2760/98160, JRC121368.
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