Semplice…come bere un bicchiere d’ acqua
Come diceva Einstein : la mente è come un paracadute, funziona solo se si apre.
Ma pensiamo ad uno scienziato che porta ad un politico i risultati di una sua ricerca e, quest’ultimo, li fa diventare, con il lavoro del suo staff, una proposta di legge che un intero Parlamento dopo un’analisi critica, approvandola, da l’avvio al lavoro di urbanisti dove, nei loro studi professionali si individuano aree idonee per la realizzazione e, laddove, altri politici locali, possano prevedere con i loro uffici tecnico-amministrativi, piani attuativi e, attraverso la stesura di opportuna documentazione tecnica, indire bandi per la realizzazione delle opere necessarie di cui, con il parere di economisti, si sono valutate stime e programmato costi e benefici per la collettività, della quale fanno parte gruppi imprenditoriali che impiegando tecnici e maestranze realizzano quanto serve, con l’ausilio di materiali ideati, fabbricati, commercializzati e trasportati, appositamente, ed il tutto affinché si possa aprire un rubinetto e bere un “semplice” bicchiere d’acqua quando ci viene sete.
Complesso? Solo apparentemente, se non lo pensiamo scevro da tutto quel bagaglio di Beni Immateriali, con in testa l’interrelazione umana che tutte le messe in azione portano con sé.
Certo è che la crescita esponenziale della tecnologia degli ultimi decenni ha aumentato enormemente la base informativa, ed ha fatto diventare una parte dell’attività quotidiana il solo gestirla.
Di fronte a questo allargamento che ci ha fatto passare da un tranquillo “laghetto alpino” di dati, del quale laghetto conoscevamo le rive e buona parte del fondale, ad un mare, ove il riferimento alle rive è parziale ed il fondo è per lo più sconosciuto; tutto questo un po’ perché siamo impegnati a navigare tra onde più formate, ed un po’ perché vediamo più impegnativo immergersi per approfondire e dovendo tener conto di più parametri, anche se si prova in piccole profondità.
La mancanza dei congrui tempi di metabolizzazione dei cambiamenti non ha consentito di formare quelle capacità necessarie a navigare ed immergersi in condizioni diverse che, se da un lato hanno esaltato le menti più preparate, dall’altro hanno disorientato le altre che sono rimaste in superficie, impegnate nella navigazione e ad affrontare qualche onda anomala che ogni tanto si presenta.
Senza capacità, una parte della società si è sentita confusa e smarrita e, percependo la vastità del mare, ha cercato intanto di restare a galla meglio che poteva rinunciando all’impegno di andare in profondità, dove ironia del paragone dopo pochi metri il moto ondoso non ha più effetto e, quindi, rimanendo in superficie ha dato valore alla superficialità e pensando, come succede nei momenti di panico se non si è preparati ad affrontarli, solo a se stessi. Ciò ha portato avanti così l’individualismo come un valore.
Ci si salva se si sta affogando anche se si trova un’isola deserta ma, in quel caso, sarebbe meglio fare naufragio con una valigia piana di soldi, od avendo magari capacità di conoscere la natura per poterne trarre frutti ed, avendone cura, anche per un lungo periodo di sopravvivenza?
La desertificazione di valori a cui stiamo assistendo è dovuta anche a, nell’era della comunicazione, al fatto che come viene percepito un concetto, a volte sovrasta il concetto in sé, per cui, chi ci porta in profondità ci fa defilare dai più e spesso si vuole emergere per riconoscersi nella moltitudine che sta a galla, ed inoltre ci spaventa la vastità dei fondali, ed abbiamo difficoltà a focalizzare in base ad i nostri interessi, o alle nostre passioni e poiché, in superficie, abbiamo tanti fattori complessi da gestire, allora per non sentirsi inadeguati si è portata l’incompetenza in auge; i media abbondano di esempi a tutti i livelli.
Aggiungiamo a questo che la necessaria autorevolezza, per la trasmissione della conoscenza, comporta un atto di umiltà della parte discente che è difficile da adottare con l’individualismo imperante, quindi si rimane sul semplice, ciò che si è, autentici, il che fa apparire immacolati mentre invece, in ciò che non si comprende, si vedono lati oscuri e si diffida, quindi ci si avvicina a ciò che ha un atteggiamento più amicale e ci si riconosce a tal punto che ci si sente in grado di esprimere pareri e rigettare saperi radicati, come se si fosse scienziati, politici, professionisti, imprenditori, tecnici o artigiani che hanno passato buona parte della loro vita a formarsi ed aggiornarsi, ebbene si, anche lavorando e, sopratutto, in un mondo che cambia in fretta, a continuamente sperimentare per innovare e sviluppare metodi e sistemi che ci migliorano la qualità di vita.
Questo grande divario tra chi detiene la conoscenza e chi no fa, con l’inizio del nuovo millennio, un salto di qualità e sposta l’asticella su chi è in grado di gestire i beni immateriali che, insieme alla conoscenza, permettono di comprendere e chi, invece, ne rimane tagliato fuori.
Quando le esigenze basilari dell’esistenza umana si affacciano la disperazione, proprio come assenza di speranza, prende campo, ed assieme alla diminuzione delle risorse ci deve far capire che il prendersi cura della Natura, con l’impegno di rimettere la persona, con le sue interrelazioni, al centro del sistema, non è più solo uno slogan, ma deve assurgere a modello di sviluppo dove a produrre ricchezza è prevalentemente il lavoro.
Certo, se si considera l’esperienza un dono di natura, invece che un patrimonio di conoscenza accumulato con impegno nel corso della storia, si arriva a preferire, in un sistema tecnocratico governato finanziariamente, una valigia piena di soldi ad un patrimonio di conoscenze.
Siamo realisti e, al di là dei giochi concettuali, fissiamo l’impegno ed il prendersi cura della Conoscenza e dell’Ambiente, come modello di comunità umana, sia che siamo conservatori di un sistema di convivenza sociale, sia che ci sentiamo dei riformisti dello stesso, ma adottare intanto un atteggiamento di fiducia in ciò che la Scienza ci aiuta a conoscere e la Tecnologia ci aiuta a fare, per avere responsabilità quando utilizziamo la Natura e da essa cerchiamo di ascoltare le necessità di attenzione che ci esprime e quando approcciamo la conoscenza che ci libera le menti per evolverci.
L’ideale è far divenire tutto questo un modello sostenibile anche economicamente e, per farlo, è necessario che la Conoscenza e la Natura si riconoscano in un valore unico, prezioso, comunicato con il giusto atteggiamento autorevole che dove non trova umiltà e necessità, deve almeno trovare soldi e mezzi, uscendo da quel ruolo un po’ sacerdotale e migliorando il sistema comunicativo per porre i contenuti in forma più diretta, senza impoverirli, parlando in rispondenza a bisogni sentiti e percepiti e creando modelli che, nel piccolo, dimostrino il funzionamento e quindi meglio la sua comprensione.
Chi ne è in grado aiuti, con il suo impegno, ad immergersi più persone possibili nel mare della conoscenza, più si conosce e meno si ha paura, più si conosce e meno si è strumentalizzati come consumatori, elettori, lavoratori e cittadini in genere.
Cerchiamo di nutrire ciò che ci nutre, quindi sfamiamo la nostra conoscenza con cibo di qualità e da fonti certamente qualificate, dobbiamo esigerlo e riscontrarlo e ci vedremo saziati da quelle capacità in grado di curare al meglio tutto ciò che ci interessa e di alimentare le nostre passioni, in quel magma vitale nel quale siamo immersi e che chiamiamo vita… semplicemente, come bere un bicchiere d’acqua.