Rosanna Zari: il mestiere dell’agronomo ai tempi del COVID
Gli agronomi sono uno dei punti di riferimento per qualsiasi imprenditore agricolo. Dal tuo punto di vista ti chiedo cosa è successo alla vostra professione in questa pandemia?
La professione dell’agronomo è quella che tra le libere professioni ha le più svariate competenze, servono infatti tutte le lettere dell’alfabeto per elencarle, ed in questa pandemia ogni professionista a seconda del settore della sua specializzazione ha potuto operare in modo diverso, ricordo infatti che la nostra professione è stata fin dal primo decreto autorizzata a proseguire la propria attività anche con gli spostamenti. L’azienda agricola è infatti un’attività (per fortuna!) non delocalizzabile e a cielo aperto che segue quindi i ritmi della natura: gli animali degli allevamenti mangiano ogni giorno, producono latte, carne ecc. ed hanno necessità di assistenza quotidiana, così come le colture in pieno campo o in serra, necessitano di cure colturali , insomma non vorrei rischiare di essere troppo superficiale/pedante ma a volte è necessario ricordare soprattutto al legislatore che questa attività non si può fermare a comando.Ma tornando alla nostra attività gli agronomi hanno cercato di assistere gli imprenditori agricoli attraverso la consulenza anche in periodo di pandemia ovviamente cercando di limitare gli spostamenti:molte attività oggi si possono svolgere da remoto, ma queste tecniche non sono ancora largamente diffuse per cui è necessario recarsi in campo o nella stalla per constatare in loco per esempio eventuali patologie, necessità di cambiare la dieta dell’allevamento, necessità di interventi fitosanitari anche e soprattutto in agricoltura biologica, dove i rimedi naturali sono meno flessibili dei trattamenti chimici. Per molte altre attività ad esempio quelle estimative o amministrative è invece stato possibile svolgere dal proprio ufficio o addirittura come molti colleghi hanno fatto da casa, facendo collegamenti via web così come è successo per riunioni e convegni, anche con gli agricoltori, ormai tutti dotati di smartphone e tablet. Nel nostra Albo ci sono poi i dottori forestali che solo in un secondo momento hanno potuto proseguire l’attività, infatti per tutto marzo le attività selvicolturali non erano comprese tra le attività fuori lockdown, ma anche il bosco segue i ritmi della natura e non del legislatore: a marzo in varie regioni finisce la stagione silvana (ossia la possibilità di taglio) quindi c’era necessità di completare le operazioni di esbosco , sistemazioni forestali ecc. pena gravi danni ecoambientali a flora e fauna, ebbene tutte queste attività necessitano della presenza fisica del dottore forestale per esempio per identificazione delle specie o degli individui da sottoporre a taglio, sorveglianza nella corretta esecuzione dei lavori ecc. c’è stata poi la questione del verde urbano , infatti il controllo delle alberature , e del verde in generale è necessario proprio nel periodo primaverile alla ripresa vegetativa delle piante. In sintesi si può affermare come, nel rispetto del lockdown, i dottori agronomi e i dottori forestali hanno lavorato a fianco delle aziende agricole e selvicolturali.
Il cibo sembra aver assunto un valore ancora più forte in questa pandemia. Cosa hai osservato sia dal lato del produttore che del consumatore?
Questo è assolutamento vero basta dare un’occhiata ai social per trovare molti post di manager, professionisti ecc. che si cimentano in piatti fatti casa a partire dalle materie prime: farine, verdure ecc. Quindi c’è stato il boom ad esempio proprio della vendita on line di farine biologiche piuttosto che di “grani antichi”, ecc. : sono nati gruppi per acquisti per il made in Italy, per il made in Tuscany e così via , in buona sostanza c’è stato un ritorno al cibo italiano soprattutto nelle prime fasi del lockdown in cui gli altri Paesi hanno chiuso le frontiere dall’Italia ed allora è ricomparso nei cittadini italiani una sorta di “patriottismo” come non si vedeva dal secolo scorso. Si è poi ritornati all’acquisto delle produzioni locali, nei negozi di prossimità o direttamente in azienda agricola, con la curiosità e la voglia di capire di più sull’origine degli alimenti da portare a tavola. C’è stata quindi una maggiore attenzione del consumatore nell’approccio al cibo genuino ed a tutto quello fatto a mano e in casa .
Quali sono stati i settori dell’ agrifood che sono stati maggiormente colpiti: ci fai l’esempio?
A livello italiano, sicuramente i prodotti freschi, soprattutto formaggi e latticini , tanto che molti caseifici hanno intimato agli allevatori di diminuire la produzione del latte pena rimodulazione dei prezzi al ribasso o addirittura il mancato ritiro del prodotto. Altro settore che è stato messo fortemente in crisi è stato quello ittico con blocco della pesca e quindi della vendita dei prodotti del mare, ma anche il vino soprattutto nella fascia alta dei prezzi ha lamentato calo delle vendite stimato dal 40-60%, infine il settore florovivaistico che proprio nel periodo primaverile ha il suo maggior mercato ha avuto uno spaventoso calo di vendite di piante, semi, attrezzature e macchine del giardinaggio. A livello europeo invece si è notata anche una forte contrazione delle vendite di carne e di patate per effetto della chiusura del settore Ho.Re.Ca.
Su cosa deve puntare la agrifood per resistere alle “pandemia”?
Questa pandemia ha mostrato ancora di più la forte concorrenza dei prodotti esteri e gli effetti negativi della globalizzazione.Sappiamo bene come questi processi siano irreversibili, ma i nostri produttori si trovano spesso spiazzati sui mercati dai prodotti d’importazione che hanno prezzi più bassi dei nostri di pari passo anche con la qualità, senza entrare nei concetti del moderno “sovranismo” voglio però chiarire meglio questo tema: praticamente in ogni comparto agricolo la concorrenza dei prezzi esteri è insostenibile, si pensi alle granaglie , di cui purtroppo siamo deficitari o agli oli o agli ortaggi piuttosto che ai prodotti ittici, i prezzi di produzione fuori UE sono decisamente più bassi,perchè? la risposta è complessa ma chiara: in molti Paesi non ci sono adempimenti o norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sull’igiene alimentare ecc. non ci sono salari minimi garantiti, come hanno evidenziato pregevoli inchieste giornalistiche, quindi i costi di produzione sono molto ridotti e il commerciante preferisce fare approvvigionamenti dove minore è il costo e maggiore è il profitto. In buona sostanza il mercato oggi è fatto e regolato esclusivamente dalla cosiddetta GDO che sceglie il prodotto, impone il prezzo e le quantità assimilando la catena alimentare a quella di un industria. Purtroppo l’intera politica comunitaria e dei suoi Stati membri tra cui l’Italia , non interviene in questi meccanismi perché in contrasto con norme internazionali ( es. WTO) , ma io penso che se uno Stato non può intervenire direttamente sul prezzo, possa invece attuare dei meccanismi indiretti per indirizzare o almeno calmierare queste situazioni di disagio, magari intervenendo dal punto di fiscale o altri meccanismi finanziari. Non si pensa mai a mettere sullo stesso tavolo tutti gli attori della filiera dal produttore al consumatore nonostante i proclami e gli annunci, ad oggi non si è mai fatto. In prospettiva gli annunci della strategia farm to fork della nuova Commissione EU , sembrano andare in questa direzione, resta da vedere come sarà attuata la nuova politica agricola comunitaria.
Rosanna Zari
Laurea in Scienze Agrarie, iscritta all’albo dei dottori agronomi e forestali di Siena. Libero professionista, analista prodotti agroalimentari, progettazione di sistemi e opere rurali, recuperi ambientali, pianificazione territoriale, stime, incentivi comunitari, certificazioni agroalimentari e di produzione sementi, certificazioni fitosanitarie. È stata Vice-Presidente agronomi dell’Ordine di Siena e Vice Presidente del Consiglio Nazionale (CONAF). In EXPO2015 “Communication Manager” WAA – CONAF. Rappresentante RPT per le direttive su “Pacchetto Professioni” nel Parlamento EU. È membro del Comitato Nazionale vini DOP e IGP. Relatrice presso università italiane (Università di Perugia, Bologna, Siena, ecc.) su prodotti fitosanitari e miglioramento genetico in agricoltura. È stata direttore responsabile delle rivista AF. Collabora con Il Sole 24 Ore sui finanziamenti all’agricoltura. Accademica Fisiocritici di Siena e Georgofili.