Recensione Storia delle Scienze Agrarie – 7° volume
“Il tempo è giudice severo, e solo pochi sopravvivono alla sua azione corrosiva.”
Emilio Segrè, Nobel per la Fisica
Descrivere le trasformazioni che si sono succedute nel Secolo Breve è l’arduo compito che ha impegnato due generazioni di storici. Nei decenni che ci hanno preceduto, il susseguirsi di stravolgimenti mondiali e sociali ha coinvolto anche il mondo alimentare e agricolo. Spesso diventandone il motore. Immergersi tra le pagine del volume che completa la titanica “Storia delle Scienze Agrarie” è una sincera operazione di presa di coscienza delle enormi trasformazioni negli anni del secolo appena trascorso.
Non una semplice cronologia, ma un taccuino gigante da giornalista. Un intreccio di percorsi che fino ad ora erano apparentemente paralleli ed estranei.
Antonio Saltini è stato vice direttore di “Terra e Vita” negli anni ’70 e ’80. Storico per passione, usa la chiave di lettura delle scienze applicate, con le loro cronologiche scoperte, e finalmente la terza edizione della sua “Storia” ci regala un volume interamente dedicato al Novecento. L’intera opera è una grande sintesi epistemologica, che si inserisce nel novero di quelle poche altre opere (per lo meno in Italia) che costituiscono un imbuto dello scorrere del pensiero e della cultura: da quello stretto transito si è costretti a passare se si desidera comprendere temi e interpretazioni.
Il XX Secolo inizia con una popolazione mondiale di 1.650 milioni di persone e termina con 6 miliardi di persone (sottolineiamo: sei miliardi!). Cosa contribuisce a questa esplosione?
I termini biologici sono chiari da sempre: se non si ha da mangiare non si possono crescere figli. E ancora oggi cibo significa agricoltura.
Si comincia con la Genetica, che Mendel prima e Bateson e Morgan più tardi fanno diventare scienza e le prime applicazioni di studio e produttive. Premessa perfetta.
Si prosegue con una domanda molto italiana e moderna: la produzione ortofrutticola e le politiche di commercio con l’estero possono bilanciare la perpetua dipendenza di cereali dell’Italia affamata? Il racconto di viaggio del frutticoltore Girolamo Molon, anche se compiuto nel 1912, dovrebbe essere studiato ancora oggi nelle scuole di agraria e da tutti coloro che hanno potere decisionale per le politiche agricole. La presa di coscienza che l’agricoltura fatta con grandi input sistemici (nuove varietà, vivaismo, concimazioni razionali, cura capillare del prodotto finale) soppianterà le produzioni arcaiche e limitate che aveva buona parte dell’Europa. Temi tornati nuovamente di moda per il trattato commerciale che si prospetta tra le due sponde dell’Atlantico.
E poi il grande e tragico scienziato russo Nicolaj Vavilov (le cui opere non sono mai state tradotte in italiano) che percorre il Pianeta in lungo e in largo, intuendo che dalle zone di origine delle piante coltivate si possono esplorare i geni selvatici per la resistenza a parassiti e malattie; si gettano le basi della valorizzazione della biodiversità e la creazione di banche del seme e germoplasma: le vere assicurazioni e banche per l’Umanità. Il nostro economista agrario Giuseppe Medici, che apre a Roma il Congresso mondiale dei tecnici agricoli diventato simbolo di pace dopo le distruzioni delle guerre mondiali. Finalmente arriva la Rivoluzione Verde di Borlaug e Chandler, descritta in tutta la sua estensione e importanza alimentare per 3 miliardi di persone: la Fame e la Carestia improvvisamente non fanno più paura, nonostante il 26% della popolazione mondiale sia ancora denutrita nel 1970.
I taccuini del giornalista scorrono e riflettono sul momento di abbondanza e benessere diffuso: Qual è stato il motore del passaggio da caccia e raccolta selvatica alla coltivazione del cibo? Quale importanza hanno avuto l’agricoltura e i periodici crolli alimentari nella caduta delle civiltà passate?
Queste antiche domande tornano spesso tra gli addetti ai lavori, alimentando le teorie più disparate. L’archeologia diventa parente acquisita dei teorici agricoli e il susseguirsi (anche ridondante) delle discussioni viene seguito da Saltini.
A questo punto il libro prende due strade, che percorse simultaneamente danno contemporaneità ad esso. Sono temi che sono basamento per il futuro: le radici della coscienza ecologico-ambientale e gli sguardi sul futuro delle produzioni alimentari.
Il primo parte da “Silent spring – Primavera silenziosa” della biologa Rachel Carson che studia il rapporto tra l’uso di fitofarmaci con molecole poco degradabili dagli ecosistemi (in particolar modo il DDT) e gli ecosistemi stessi, con l’immagine suggestiva e terribile di una primavera privata del canto degli uccelli. Prosegue con la citazione dell’ormai dimenticato rapporto del Club di Roma “The limits of growth – I limiti dello sviluppo”; lucido, profetico e imprescindibile documento da cui partire per comprendere l’importanza di una moderna economia sostenibile, per l’umanità e il mondo naturale. Documento purtroppo soppiantato da profeti dell’Apocalisse o da santoni che diffondono la visione di un mondo rurale antico, felice e idilliaco, un mondo in realtà mai esistito.
Fino ad arrivare alla descrizione di parte del mondo agricolo che ormai sposa il mondo dei santoni, propugnando l’orto dell’Eden come unica forma di produzione di cibo, diffondendo il verbo (e i prodotti commerciali) con i telefonini di ultima generazione e le seduzioni del marketing amorale. Il pragmatismo umano diventa improvvisamente “tradimento” della dea Natura.
Saltini in queste ultime pagine mastica amaro, ribadendo l’ambizione di teoria scientifica a cui devono tendere le metodologie e le dottrine, indipendentemente dalla loro radice di pensiero.
Chi conosce la vita dell’autore sa che queste parole vengono dall’esperienza diretta degli anni passati a Nomadelfia, comune agricola cristiana toscana fondata decenni fa da don Zeno. La differenza tra andare a dormire con lo stomaco pieno o vuoto sta nel successo delle azioni agricole e lavorative che si compiono. Le forche caudine dell’esperienza della fame possono essere evitate dall’esperienza scientifica, razionale ed etico-morale.
Con il primo tema, Saltini prepara il lettore per la seconda strada su cui il libro piega. Si tratta di far il punto della situazione della ricerca agronomica e scientifica sulle produzioni alimentari, in particolar modo quella dei cereali.
Si comincia con la descrizione di laboratori specializzati e nuove tecniche di gestione del patrimonio pedologico e biologico, ma il paragrafo che colpisce ha come titolo: “Coinvolgere i campesinos nel progresso agronomico”. Non solo dati, numeri e scienza che possono apparire sterili ma uomini e donne in carne e ossa, con le loro storie sulle spalle. Il libro è fatto anche di questo.
Si tratta di capitoli con temi che non appaiono nell’opulenta (e indebitata) Italia. Parlano di sfide demografiche, dell’Asia che scopre la scienza agricola dopo millenni di fame, di nuove piante che possono prendere il posto di quelle coltivate da millenni, di genomica e fisiologia vegetale, di coltivazione di deserti con l’aiuto delle nuove discipline scientifiche e di efficientamento della gestione dei parassiti con le piante GM (geneticamente modificate).
Si tratta di un excursus all’interno dei centri di ricerca sparsi per il mondo, discendenti degli agronomi di tempi passati che con fatica e mezzi limitati hanno portato avanti le loro intuizioni pedologiche e botaniche.
Oltre alla descrizione dei limiti ambientali e gestionali delle terre agricole del Pianeta, con i pericoli che ci aspettano per i prossimi decenni, il libro si chiude con una good news: la storia dell’agronoma Sandra Kavira e della fertilizzazione del riso coltivato alle pendici del Ruwenzoni, in Uganda. Un piccolo episodio della perenne Rivoluzione Verde che investe i territori che prima ignoravano qualsiasi buona pratica agronomica per aumentare cibo e sostentamento. Incrementando da 1,5 a 6 tonnellate (con punte di 8) il riso prodotto da un singolo ettaro, si assiste alla nascita degli scambi di prodotti e l’avvio di una economia diversa da quella della fame e della sussistenza. Un libro che sboccia e si chiude descrivendo storie di uomini e donne.
In questa monumentale opera, sintetica nella accezione filosofica, ma di certo non corta, il filo guida meno visibile, ma sempre presente, sono i bisogni dell’umanità in ogni tempo e in ogni luogo. Un libro che ha radici (è il caso di dirlo) ben piantate nel mondo contemporaneo e nella pedosfera. Umanistico ma non antropocentrico, consapevole che la ricchezza e la salute dell’umanità derivino dalla salute del Pianeta su cui calca i passi.
Se da un punto di vista editoriale si senta la mancanza di immagini e disegni, che il lettore può tranquillamente recuperare da quella nuova biblioteca di Alessandria che è diventata Internet, si potrebbe trovare difficoltà per lo stile di scrittura, con molta punteggiatura e periodi molto lunghi. Difetti minimi, ma qualcuno occorre pur trovarlo.
Nell’Italia che confonde scienza e opinioni, faticose ricerche e pozioni miracolose, la sfida di Saltini è quella di porre dei punti fermi nella cultura e nei dibattiti. Spesso essi sono confusi con delle rigidità di pensiero, che collettivamente rifiutiamo perché non più abituati a fermare la discussione davanti alle evidenze. Una discussione figlia di un marketing ormai amorale e un’educazione scolastica svogliata, con un dibattito perenne che sfianca e usa qualsiasi arma dialettica (e speriamo solo quella) per averla vinta.
L’opera è un punto di arrivo per l’autore, ma una ripartenza per noi agronomi e cultori della disciplina. Quello che si penserà in futuro, con problemi e mezzi tecnici futuri, non prescinderà dalle parole contenute e dalle persone descritte e raccontate. Se le radici sono salde, i nuovi rami possono crescere ancora, grazie a consapevolezze globali e rinnovate.
Cosimo Gaudiano, agronomo forestale in Matera
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