Quando smettiamo le polemiche sterili sulle cause dei cambiamenti climatici e cominciamo ad agire concretamente per contrastarne gli effetti?
Gli eventi meteorologici estremi che hanno colpito l’Italia in queste settimane ripropongono alla pubblica opinione la questione dei cambiamenti climatici (vedi per esempio http://www.blueplanetheart.it/2018/11/litalia-sempre-piu-fragile-insicura-anche-causa-dei-cambiamenti-climatici/). I due temi sono connessi nel senso che gli eventi meteo estremi sono inclusi tra le manifestazioni dei cambiamenti climatici.
Proviamo a uscire da contrapposizioni sterili e a individuare il da farsi.
A questo scopo può essere utile anche un’esposizione schematica, rinviando ad altri post più dettagliati e meglioarticolati per eventuali approfondimenti.
1. Non si può negare che i cambiamenti climatici ci siano sempre stati indipendentemente dalle attività umane
(mio esempio preferito: dalla Libia veniva gran parte del grano consumato dalla Roma imperiale).
2. Anche i sostenitori dell’interpretazione che causa degli attuali cambiamenti climatici siano le immissioni umane di CO2 nell’atmosfera riconoscono che gli impegni di limitazione delle immissioni sbandierati (in particolare in occasione della kermesse della Conferenza di Parigi del dicembre 2015) sono: a. insufficienti e comunque con prevista efficacia differita da decenni; b. molto costosi, al limite del non fattibile; c. platealmente disattesi dai principali responsabili (Cina e USA). La chiamo interpretazione perché secondo me non ha raggiunto il livello di un risultato scientifico definitivo, ma non è questo il punto che voglio qui sviluppare. Mi limito a rinviare a un post con considerazioni generali di tipo metodologico e a un altro post più focalizzato su aspetti tecnico-scientifici.
3. In questo quadro sarebbe saggio non disperdersi in chiacchiere su incerta e praticamente infattibile prevenzione e dispiegare interventi di rimedio ai fenomeni che ci affliggonoproseguendo nella storia dell’uomo che è quella di una risposta adattiva ai cambiamenti climatici realizzando quelle scelte che sono comunque utili: uso razionale dell’energia e sviluppo delle fonti rinnovabili competitive; dematerializzazione dell’economia; agricoltura a basso impatto ambientale e forestazione; razionalizzazione della logistica e sviluppo dell’economia circolare; ma anche difesa del territorio e opere di modifica del territorio (con le attuali remore non si avrebbero oggi né Venezia, né ampie fette dell’Olanda, né la regimazione dei corsi d’acqua, né tante altre realtà costruite dalla tecnologia umana che è sul lato delle soluzioni non su quello dei problemi).
4. Questi investimenti da realizzare i paesi in crescita come la Cina o nei continenti in difficoltà come l’Africa sarebbero un’occasione di domanda qualificata decisiva sul fronte della sostenibilità complessiva dello sviluppo e anche capace di avviare a soluzione la questione delle migrazioni che può essere affrontata solo con uno sviluppo delle aree di provenienza. Il dramma in atto della marcia dal Centro America agli Usa sottolinea l’ampiezza e la gravità del fenomeno migrazioni.
5. La “remediation” era una linea d’azione suggerita dalla comunità scientifica già venticinque anni fa (quando l’allarme è iniziato a diffondersi) da accompagnare alla linea “mitigation” (riduzione della presunta causa) che è diventata un mantra tanto clamoroso quanto disatteso nei fatti – come spesso accade la moneta cattiva scaccia quella buona.
6. Due domande, quasi provocatorie. L’uomo che si ripropone di vivere sul fondo marino e di colonizzare lo spazio non ha tecnologie per contenere gli effetti dei mutamenti climatici? Quando dalle polemiche su interpretazioni e irrealistiche promesse di prevenzioni si passa a realizzazioni possibili e comunque universalmente riconosciute come utili?