Quale futuro prevediamo per l’agricoltura intensiva?

Quale futuro prevediamo per l’agricoltura intensiva?

La continua crescita esponenziale della popolazione, e del suo tenore di vita, porta a consumare l’energia solare accumulata in petrolio durante le passate ere geologiche. Attualmente le agricolture intensive dei Paesi sviluppati utilizzano molta energia fossile soprattutto sotto forma di fertilizzanti azotati, ma anche per la costruzione ed impiego dei mezzi meccanici e per la produzione di fitofarmaci ed erbicidi. D’altro canto, senza l’agricoltura intensiva, la parte di popolazione denutrita, oggi calcolata in circa l’11% del totale, sarebbe nettamente superiore.

Nell’articolo di Luca Mercalli comparso su La Stampa di Torino in quel giorno, che elenca i pericoli per il futuro dell’umanità, si punta il dito anche sull’agricoltura intensiva, scrivendo testualmente: “L’agricoltura intensiva e soprattutto quella a monocoltura rende i terreni meno fertili con grave diminuzione dei raccolti annuali” (LA STAMPA TUTTO GREEN)

Senza dubbio, l’agricoltura intensiva è una attività ad alto rischio, che richiede notevoli investimenti in macchinario, fertilizzanti e prodotti chimici per ottenere elevate produzioni. Un evento climatico sfavorevole, del quale si ha la previsione con probabilità mai superiori all’80% e con pochi giorni di anticipo, quando è tardi per rimediare, è sufficiente per subire importanti decurtazioni della produzione, che scende in questi casi a livelli paragonabili a quelli medi dell’agricoltura “non intensiva”. Questo è sempre accaduto, ed anche più frequentemente, nelle coltivazioni del passato, sprovviste di qualsiasi forma di tecnologia, in particolare di fertilizzanti di sintesi e di prodotti chimici per combattere le fitopatie. La Storia ci ricorda che questi metodi di coltivazione non hanno mai tenuto l’umanità al riparo dalle carestie.

La monocoltura presenta alcuni limiti agronomici, che possono però essere superati con una attenta gestione delle lavorazioni e della fertilizzazione. Ha anche dei vantaggi economici, in quanto la meccanizzazione moderna propone macchine molto specializzate, per cui praticare più colture richiede un maggior numero di attrezzature dedicate, utilizzate su superfici ridotte, con un notevole aggravio dei costi di ammortamento. Questo aspetto è spesso determinante per una agricoltura che rappresenta l’anello debole della catena commerciale, e si deve spesso accontentare di margini molto risicati.

L’affermazione che le monocolture intensive stiano subendo gravi riduzioni dei raccolti annuali è invece smentita dai dati reali. La più estesa e longeva monocoltura di mais del Pianeta è quella del Corn Belt degli USA, le cui rese produttive medie dell’ultimo mezzo secolo, esposte nel grafico sottostante, illustrano un’altra realtà:

grafico

Se guardiamo invece più vicino a noi, un esempio di monocoltura longeva, anche questa datata ormai mezzo secolo, lo troviamo nella risicoltura della pianura padana. Nelle scorse giornate di calura soffocante, chi scrive ha trovato rifugio in una fresca cantina, dove sono custoditi i documenti riguardanti un’azienda risicola di 240 ha, con la registrazione delle produzioni di risone e dell’impiego di fertilizzanti, dal 1959 ad oggi. Le rotazioni colturali furono abbandonate nel 1965 a favore della monocoltura risicola, e la stalla, mantenuta fino al 1982 con attività di ingrasso di vitelloni, mediante totale acquisto esterno di alimenti, fornì in quell’anno l’ultima produzione di letame, che peraltro in passato, date le quantità, veniva distribuito a rotazione su di 1/5 della superficie, quindi ogni 5 anni

Precisiamo di aver escluso dalle medie gli anni delle forti grandinate, ovviamente indipendenti dal tipo di coltivazione. La produzione media per ettaro del primo quinquennio fu di 4,91 t/ha, quella dell’ultimo quinquennio di 7,55 t/ha.

Secondo il postulato di Mercalli il terreno dovrebbe essersi impoverito, richiedendo sempre maggiori quantità di fertilizzanti, invece il fertilizzante chimico distribuito negli anni ha presentato un trend di lenta discesa, per un totale del 10% nel periodo considerato.

Il grafico sottostante mette in relazione le tonnellate di risone prodotto per ogni tonnellata di fertilizzante impiegato, che sono raddoppiate nel corso degli anni.

grafico2

Sarà possibile ripetere i tassi di incremento della produttività agricola nel prossimo mezzo secolo?

La sfida non sarà semplice, e probabilmente vincerla non sarà neppure sufficiente, se la popolazione aumenterà come previsto; certamente servirà molta ricerca scientifica ed applicativa per rendere sempre più produttiva l’agricoltura.

Giuseppe Sarasso

Redazione Fidaf

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