Produzioni alimentari e Grande Distribuzione moderna
Ormai in quasi tutti i territori italiani, con una incidenza assolutamente preponderante nelle regioni del Nord e via via in maniera progressivamente più ridotta scendendo lungo lo Stivale, la distribuzione dei beni, soprattutto alimentari, viene garantita alla collettività dalle catene della Grande Distribuzione (GD) e della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che hanno soppiantato nel tempo i negozi al dettaglio tradizionali che risultano sempre più rari.
L’evoluzione di questa forma di distribuzione non è ovviamente una novità ma continua, anno dopo anno, a progredire in tutti i territori. Questa tendenza è peraltro da considerarsi una evoluzione, certamente; anche e soprattutto per il fatto che molti beni, un tempo difficilmente reperibili sugli scaffali del dettaglio tradizionale, sono invece oggi alla portata di tutti noi, sia in termini di varietà dell’offerta a nostra disposizione, che in termini di costo al pubblico che risulta essere oggettivamente molto contenuto.
Ma i vantaggi di cui gode la collettività, potendosi rifornire nei numerosi punti vendita della distribuzione moderna, sono sempre “indolori” per il tessuto produttivo industriale che vede soprattutto in Italia, la prima nazione al mondo in termini di tecniche produttive, di capacità di innovare, di diversificare e di produrre beni di altissimo livello qualitativo ?
Le aziende agroalimentari italiane sono numerose e, come accade anche per altri comparti produttivi, sono spesso di dimensioni medie se non addirittura piccole: spesso piccolissime. Le grandi aziende industriali in grado di offrire i loro prodotti sull’intero territorio nazionale oltre che all’estero, sono relativamente poche
Questa condizione strutturale del nostro sistema produttivo comporta una pesante sperequazione nei rapporti di forza tra chi acquista, la grande distribuzione che è in grado di muovere numeri elevati di merci in altrettanto numerosi punti vendita, e chi vende, le tante aziende che devono cercare sbocco sul mercato per i loro prodotti.
Spesso quindi, le aziende di trasformazione si trovano in una condizione quasi obbligata, non potendo distribuire i loro prodotti attraverso altri canali commerciali, e devono scendere a compromessi con i buyer della grande distribuzione che hanno gioco facile nell’ottenere ciò che chiedono: sconti sui prezzi, promozioni periodiche, premi di fine anno (vere e proprie forme di “pizzo” legalizzato) con i quali la grande distribuzione viene “premiata” dai produttori per il fatto stesso di mettere a disposizione un certo spazio dei propri scaffali per i loro prodotti.
E proprio la dimensione media o piccola delle nostre aziende, le rende molto vulnerabili e arrendevoli alle richieste delle loro controparti.
Un produttore di pomodori in scatola, ad esempio, a meno che non abbia la fortuna di avere un marchio “civetta”, un marchio cioè che il consumatore si aspetta di trovare sugli scaffali, risulta essere sostanzialmente in balia delle richieste del proprio buyer di riferimento che, peraltro, si trova ad avere, fuori dal suo ufficio, una lunga fila di concorrenti del produttore disposti a molto pur di scalzare il primo per poter avere il proprio spazio sugli scaffali.
Spesso quindi, si verificano condizioni di vero e proprio “usa e getta” delle aziende da parte della grande distribuzione che ha interesse ad avere a disposizione, per ogni tipologia di prodotto, un pool di marchi diversi tra i quali il consumatore possa scegliere: i marchi noti a tutti, i marchi propri della grande distribuzione (le cosiddette Provate Lables) ed un certo numero di prodotti a marchio per completare la gamma; ed è proprio su questi ultimi che si combatte, dietro le quinte, una aspra battaglia che vede molti soccombere ed alcuni prendere il loro posto per un periodo, quello per il quale saranno in grado di resistere !!
L’articolo evidenzia un problema concreto della filiera agroalimentare: la perdita di competitività lungo la catena passando dal produttore alla Grande Distribuzione.Tra i tanti esempi possibili, ne cito solo due: il prezzo del grano al produttore e quello del pane al consumatore; la frutta (mela, arancia, pesca, agrumi, ecc.) pagata al frutticoltore e quella venduta al consumatore. Come ridurre le differenze di prezzo e come aiutare il produttore? Cosa può fare il consumatore? E le Istituzioni stanno soltanto a guardare? E non è solo questione di prezzo!