Produzione di biomasse e sostenibilità ambientale. Quali verità
Biomasse, sostenibilità, ambiente: tre parole fra loro legate da una miriade di aspetti e concetti, che possono essere interpretati in varie maniere, spesso del tutto contrastanti. Si diffondono così mezze verità e false notizie che vengono indistintamente recepite e generalizzate, con conseguenti comportamenti e decisioni spesso sbagliate. È opportuno, perciò, prima di analizzare i loro rapporti, tentarne una descrizione.
Innanzitutto, cosa sono le biomasse?
Le biomasse, nella definizione ufficiale della Direttiva EU2009/78/CE sono “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti, residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura(comprendente sostanze vegetali e animali), dalla selvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali ed urbani”.
Le sostanze di origine organica, derivanti direttamente o indirettamente dalla fotosintesi clorofilliana, possono essere ottenute da terreni incolti, foreste o agricoltura(compresi gli allevamenti) e dalla trasformazione di prodotti e dai rifiuti di quest’ultima attività.
Sono evidenti i vantaggi di utilizzare biomasse di riciclo derivanti da rifiuti, residui, e sottoprodotti di basso o nullo valore economico. Sono fra le basi della bioeconomia e della economia circolare che, opportunamente, entrano fra gli obiettivi di rilievo dei progetti di ricerca nazionali e dell’EU. Meno ovvie sono le motivazioni, favorevoli o contrarie, alla produzione di biomasse da utilizzare direttamente.
Per quanto riguarda le biomasse derivanti da colture agrarie, queste ultime possono essere dedicate o no; annuali o poliennali; con destinazione alimentare o non alimentare; come biomassa può essere considerata l’intera pianta o parte di essa; una porzione con valore commerciale o solo uno scarto ecc.
Anche solo da questi incompleti esempi si comprende quanto differente possa essere il loro effetto sull’ambiente.
La biomassa in media è costituita da carbonio per il 52% della sostanza secca e ogni kg di carbonio fissato equivale a 3,66 kg di CO2 atmosferica.
Le biomasse, nel mondo, con oltre 1.200 milioni di tonnellate equivalenti petrolio per anno, soddisfano circa il 15% dei fabbisogni energetici primari, con forti differenze fra gli areali geografici. Raggiungono, infatti, quasi il 40% nei Paesi in via di sviluppo (usate soprattutto per riscaldamento e cottura) e circa il 3% in Europa e USA. In Italia sono attorno al 2%.
L’utilizzazione delle biomasse è molto variabile a seconda delle situazioni, ma in media sono impiegate per quasi il 10% per alimenti a base vegetale, per il 43% per mangimi e lettiere per animali, per il 23% per energia e per il restante 24% per mobili, apparecchiature in legno, tessuti e usi chimici.
La destinazione d’uso delle biomasse per ottenere energia suscita un’accesa contrapposizione fra sostenitori ed avversari. In particolare le accuse più gravi sono la concorrenza con la produzione di cibo, l’incentivo alla deforestazione, una riduzione di emissioni di CO2, inferiore a quella dichiarata quando utilizzate per sostituire energia da fonti fossili. La capacità di ridurre le emissioni è presentata, invece, come motivazione importante per la loro destinazione energetica, oltre alla capacità di evitare la degradazione di terreni lasciati altrimenti incolti e, in generale, favorire uno sviluppo sostenibile [1].
Sebbene le foreste siano quasi sempre in grado di immagazzinare una maggior quantità di carbonio rispetto ad una egual superficie coltivata con qualsiasi coltura erbacea da biomassa, la destinazione della produzione di quest’ultima alla sostituzione di energia di origine fossile porta complessivamente, nella maggior parte delle situazioni studiate, ad una riduzione delle emissioni della CO2 nell’atmosfera. Una ricerca del Max Planck Institute indica, per il 2100, una riduzione di 70-90 ppm della concentrazione di CO2 e di 0,2-0,4 °C di temperatura se le aree abbandonate dall’agricoltura saranno utilizzate per produrre energia alternativa a quella fossile.
La sostenibilità ambientale, imprescindibile nello sviluppo della bioeconomia, non deve mai essere considerata separatamente da sostenibilità economica, sociale ed anche etica e può essere valutata con criteri molto differenti.
La sostenibilità ambientale riguarda il suolo, l’acqua, l’aria. Coinvolge lo studio degli effetti, derivanti o influenti, su gas effetto serra, salute dell’uomo e degli animali, biodiversità, cambiamenti climatici, erosione del suolo, uso di nutrienti, antiparassitari, diserbanti ecc. [2].
Gli indicatori di sostenibilità proposti sono molto numerosi e si riferiscono a fenomeni fisici o chimici direttamente misurabili o derivanti da un insieme di valutazioni. Le ricerche sulla sostenibilità ambientale hanno dato origine ad una vastissima letteratura scientifica e divulgativa. Il livello di importanza degli indicatori ambientali considerati risulta molto diverso a seconda della situazione esaminata. Fra i tanti, possono esserne ricordati alcuni: quelli individuati dall’Agenzia dell’Ambiente della FAO [3]; gli otto proposti nel 2011 dalla GBEP (Global Bioenergy Partnership); i tredici settori tematici studiati dall’OCSE con indicatori specifici riferiti all’uso del suolo e alla copertura vegetale; le cinque categorie di impatto, ciascuna con diversi indicatori, individuate dall’ADEME [4], con una serie di combinazioni fra specie coltivate, fitotecniche, metodologie di trasformazione nelle successive fasi della filiera (produzione agricola, industriale, trasporti, distribuzione, uso); i criteri di priorità basati su quattro indicatori sintetici (rinnovabilità del carbonio, consumo delle risorse, tossicità per l’uomo e per l’ambiente, destino ambientale dei prodotti) proposti [5] da Davino e Mannelli. Amplissima è la casistica per il calcolo della sostenibilità delle produzioni agricole, in particolare con le leguminose in rotazione [6].
Va ribadito che, in ogni caso, deve essere dichiarato se è considerata l’intera filiera (dalla produzione della materia prima al consumo finale), oppure, sempre specificandolo, singoli anelli della catena.
La sostenibilità ambientale delle biomasse
Le metodologie suggerite per valutare la sostenibilità ambientale della produzione di biomasse non in termini generali, ma specifici, sono molteplici, così come i tentativi di stabilire normative di applicabilità generale nel settore.
Può essere ricordata la Direttiva 2015/1513 dell’EU che contiene alcune specifiche ed importanti precisazioni e prescrizioni. Fra le altre, proibizione di convertire terreni con importanti stock di carbonio (foreste, torbiere, ecc.); proibizione di destinare a produzioni specifiche i terreni con elevati valori di biodiversità. In particolare vengono precisati i vincoli da rispettare per raggiungere l’obiettivo (Direttiva 209/28/CEE) di utilizzare il 10% di energie rinnovabili nei trasporti per ridurre l’effetto serra. Gli Stati membri hanno l’obbligo di fornire la documentazione sia sull’origine geografica delle materie prime, sia sulle misure messe in atto per proteggere suolo, acque, aria e per ripristinare i terreni degradati.
Criteri di sostenibilità ambientale per biomasse da destinare a biocarburanti e bioliquidi, da usare rispettivamente per trasporto e per energia elettrica, termica e potenza, sono elencate solo come raccomandazioni dalla ben nota RED della EU e successivamente estese con la COM(2010)11.
Purtroppo le metodologie proposte sono ancora troppo imprecise (ad es. non indicano i valori standard di conversione per convertire i dati energetici nelle rispettive emissioni). Si corre perciò il rischio [7] che, dagli operatori del settore, venga utilizzata l’interpretazione più favorevole sotto l’aspetto economico, non sotto quello ambientale.
Attualmente molte ricerche, anche nell’ambito di progetti promossi dalla Commissione Europea, sono volte ad armonizzare le metodologie di calcolo dei bilanci dei gas con effetto serra. Fra le diverse proposte, sembra apprezzabile lo schema valutativo studiato dai francesi per dimostrare la conformità delle biomasse prodotte alle norme della 2009/28/CEE. Lo schema 2BS (Biomass Biofuels Sustainability) è entrato in vigore il 28/08/2017.
Finora è stata considerata soprattutto la produzione di biomasse per destinazioni energetiche. Attualmente assume sempre maggior importanza la destinazione all’industria, o, meglio, alla bioindustria [8]. La chimica da biomasse presenta diversi vantaggi quali, fra gli altri, presenza di sottoprodotti meno tossici e rischi ambientali inferiori rispetto alla petrolchimica.
La ricerca è ora molto impegnata nel settore (ben considerata anche nella call dell’UE del 28/10/2017 e lo sarà nelle successive) e si vanno prospettando risultati di notevole interesse applicativo.
La chimica da biomasse rappresenta, infatti, un notevole sforzo verso la sostenibilità, favorito dalla innovazione biotecnologica che va opportunamente sostenuta dalla ricerca [9].
Non va trascurato anche l’impiego di biomasse in agricoltura, con il riciclaggio di rifiuti e il compostaggio [10]. La produzione di compost da utilizzare come ammendanti rappresenta la soluzione più razionale perché consente allo stesso tempo lo smaltimento di biomasse di scarto e la stabilizzazione dell’ecosistema.
Argomento di grande attualità è la destinazione energetica delle biomasse. Si stima che la produzione di bioetanolo potrà superare 100 miliardi di litri già nel 2022 e che le superfici dedicate alla produzione di bioenergia potrebbero aumentare dai 330 milioni di ettari del 2020 ai 410 del 2050. Conseguenze positive e negative! Vanno poi aggiunte le iniziative e le prospettive per biogas e biometano.
Recentemente è emerso un nuovo aspetto [11] riguardante la sostenibilità delle biomasse. La produzione e l’uso di combustibili da fonti rinnovabili e rispettose dell’ambiente, quali i biocarburanti, potrebbe fornire aspetti positivi nell’areale di produzione ed uso e, contemporaneamente, è questo l’aspetto poco o nulla considerato, negativi in altra parte del globo. Ad esempio, la produzione di biodiesel può far crescere la domanda di olii vegetali e quindi i loro prezzi. Per produrre biodiesel nell’UE possono aumentare le importazioni e i prezzi di olio di palma (e anche di soia, colza e girasole). Di conseguenza, è favorita l’espansione delle colture di palma in areali extraeuropei, con probabile maggior deforestazione.
La sostenibilità deve essere valutata a livello locale (nazionale, UE, USA, ecc.) o a livello globale(pianeta)?
Considerazioni conclusive
Sulla sostenibilità ambientale delle biomasse è stato detto tutto e il contrario di tutto. In molti casi sono stati generalizzati risultati veri, però, solamente nelle specifiche situazioni studiate e non in altre. Va invece tenuto conto che con il termine “biomassa” si indica qualsiasi sostanza derivante dalla fotosintesi. Quindi differenze enormi, per ambiente, specie (piante, pesci, animali terrestri, alghe ecc.), modalità di produzione (coltivazioni, allevamenti, incolti, foreste ecc.), trasformazione, uso finale.
Solo se sostenibili, le biomasse favoriranno lo sviluppo della bioeconomia, influendo su innovazione, biotecnologie, multifunzionalità, diversificazione, cambiamenti climatici, aumento di popolazione e migrazioni, salute, diversità culturale e ambientale, sviluppo bioraffinerie integrate ecc. [12]. Le biomasse saranno sostenibili se derivanti da colture in grado di intercettare grandi quantità di luce e di utilizzarla efficacemente, di richiedere modeste quantità di energia, acqua, elementi nutritivi, fitosanitari [13]. Quindi è necessaria la combinazione giusta fra specie-genotipo-fitotecniche in funzione dell’ambiente e poi delle successive fasi di trasporto, trasformazione ed uso [14].
Anche la parola “sostenibilità” e, in particolare, “sostenibilità ambientale” ha significato e valore completamente diversi a seconda di come è valutata. Le differenze derivano principalmente dall’obiettivo primario (aria, suolo, acqua, salute dell’uomo ecc.) e dall’aspetto ritenuto di maggior rilievo (ad es. bilancio energetico, nitrati in falda, biodiversità, cambiamenti climatici ecc.), dalla destinazione d’uso (sostituzione di energia fossile, petrolio, carbone, gas, oppure chimica verde), dalle modalità di calcolo e dai parametri usati, dalla valutazione sull’intera filiera o solo su alcuni anelli della catena. Certamente le ricerche in atto, che devono essere potenziate, porteranno ad un notevole miglioramento.
Quindi, in conclusione: la produzione di biomasse ha sostenibilità ambientale? Mah! Dipende! Non esiste una sola risposta, positiva o negativa, ma risposte legate ai singoli casi. L’importante è non considerare sempre generalizzabili informazioni vere solo se riferite ad una specifica situazione o a un singolo, pur importante, aspetto.
BIBLIOGRAFIA
[1] A. Monti, G. Venturi, Il contributo delle colture da energia alla sostenibilità ambientale, Accademia Nazionale di Agricoltura, Annali CXXVII, anno 200, V serie, 2007, 115.
[2] G. Venturi, Biocarburanti, una fonte energetica biosostenibile? Accademia Nazionale di Agricoltura, Annali CXXXV, anno 208, V serie, 2015, 326.
[3] FAO-GBEP, The global bioenergy partnership sustainability indicators for bioenergy, 2011, 1.
[4] ADEME, Study for a simplified LCA metodology adapted to bioproducts, 2009, 1.
[5] S. Mannelli, Agroenergia: le filiere, l’agricoltura, l’ambiente, le interazioni, Accademia Nazionale di Agricoltura, Annali CXXXV, anno 208, V serie, 2015, 177.
[6] P. Meriggi, M. Ruggeri, Sistemi colturali sostenibili, i vantaggi delle leguminose in rotazione, Agrestic, 2019, 1.
[7] G. Riva, E. Foppa Pedretti, D. Duca, Sostenibilità delle filiere bioenergetiche in Italia. Atti convegno Attualità della ricerca nel settore delle energie rinnovabili da biomasse, Ancona, 16-17 dicembre 2010, 371.
[8] F. Trifirò, Chimica da biomasse, Accademia Nazionale di Agricoltura, Annali CXXXVI, anno 209, V serie, 2016, 553.
[9] Federchimica, Ruolo e priorità della chimica da biomasse in Italia, Rapporto, 2015, 1.
[10] C. Gessa, L’impiego di biomasse in agricoltura: riciclaggio dei rifiuti e compostaggio, Accademia Nazionale di Agricoltura, Annali CXXXVI, anno 209, V serie, 2015, 542.
[11] F.G. Santeramo, S. Searle, Linking soy oil demand for the US Renewable Fuel Standard to palm oil expansion through an analysis on vegetal price elasticities, Energy Policy, 2019, 27, 19.
[12] G. Venturi, Biomasse e Agricoltura in Italia, Accademia Nazionale di Agricoltura, Annali CXXXVI, anno 209, V serie, 2016, 528.
[13] P.C. Struik, G. Venturi, An integrated approach in evaluation of production of energy from biomass, Medit. Rivista di Economia, Agricoltura e Ambiente, 2000, 4, 35.
[14] G. Venturi, Agroenergie: materie prime e sostenibilità, Italian Journal of Agronomy, 2013, 8(1), 1.