Piove, governo ladro
Le settimane passano rapidamente, ma l’ondata di mal tempo che ha colpito il nostro Paese non accenna a diminuire.
Le conseguenze sono drammatiche, l’elenco giornaliero delle perdite di vite umane continua ad allungarsi, accompagnato dal tragico scenario riportato dalla stampa e dalla televisione, che documenta il crollo di case travolte dalle frane e dal fango, la scomparsa delle vie di comunicazione e dei ponti, la rottura degli argini dei torrenti, la disperazione delle famiglie, la generosità degli uomini dei Vigili del fuoco, dell’Esercito, della Protezione civile e di tanti Volontari.
Un disastro annunciato, che è ben rappresentato dall’immagine di migliaia di tronchi galleggianti che premono sulla diga del Comelico nel bellunese, ma che costituiscono la massa che veniva fluitata dagli zattieri fino a raggiungere l’Arsenale, all’epoca della Repubblica di Venezia.
La Magistratura è alla ricerca delle responsabilità e numerosi sindaci si trovano a dover rispondere della mancanza di tempestività, nell’attuazione di leggi, decreti, norme statali, regionali, provinciali, comunali riguardanti l’edilizia, che si sono accumulate durante i secoli, in presenza, ma più frequentemente, in assenza di piani regolatori.
In realtà, i veri responsabili sono soltanto due ed i loro nomi sono noti a tutti: il britannico Joseph Wilson Swan, inventore nel 1878 della “lampadina”, e l’americano Thomas Edison, realizzatore della “prima Centrale elettrica “, che trasformava in elettricità l’energia creata dalle cascate del Niagara e nel 1882, del “primo sistema di distribuzione dell’energia elettrica nel mondo”, per rispondere al fabbisogno dei paesi poveri di carbone.
Quattro anni dopo, nel 1886, Roma vide la luce elettrica, fornita dalla Centrale elettrica di Tivoli, che utilizzava la cascata dell’Aniene.
Ha così inizio anche in Italia l’era dell’elettricità e i grandi banchieri, come Morgan, Vanderbildt, Rotschild Ford, ecc . non esitarono a creare una rete di multinazionali finanziarie, ancora molto attiva, per gestire i proventi della vendita dell’elettricità a livello planetario.
Il nostro Paese presentava condizioni favorevoli per l’abbondanza delle risorse idriche e nella seconda parte del XX° secolo ha assistito ad uno scontro di notevoli proporzioni tra le varie compagnie, per l’impiego della corrente continua e di quella alternata.
Il sostegno finanziario concesso dallo Stato per lo sviluppo dell’industria idroelettrica, indispensabile alla crescita economica del Paese, ha consentito la realizzazione di grandi serbatoi e di dighe colossali, destinate a modificare il paesaggio di molte Regioni e di una miriade di invasi minori, in cui convogliare le acque provenienti dalla montagna e dalla collina
Attualmente, sono presenti 9000 sbarramenti, (rappresentati da 538 grandi dighe, con altezza superiore ai 26 metri e con una capacità di invaso di oltre 1milione di mc), di cui circa 8000 ritenute per usi multipli idroelettrici, irrigui, industriali e per la mitigazione dei rischi delle inondazioni.
L’Italia occupa il quarto posto in Europa, dopo la Norvegia, la Svezia e la Francia per la generazione di energia idroelettrica, pari al 20% del consumo nazionale ed al 40% dell’energia da fonti rinnovabili ed è tra i Paesi che rispondono meglio ai target climatici indicati dall’Unione europea.
Questo risultato positivo è stato ottenuto ad un caro prezzo, pagato dai territori collinari e montani, poiché i Governi che si sono succeduti durante un secolo, non sono riusciti ad ottenere dalle Società elettriche che hanno realizzato gli sbarramenti e che provvedono alla vendita dell’energia, il riconoscimento delle spese necessarie alla difesa del suolo, dopo l’impiego di tutte le risorse idriche superficiali e profonde che sono state destinate alla produzione delle centrali:un furto ambientale generalizzato a favore delle multinazionali!
La carenza delle sistemazioni per il dissesto idrogeologico ha peggiorato il difficile equilibrio ecologico nei bacini imbriferi esposti agli eventi meteorici eccezionali ed il diffuso fenomeno delle frane crea condizioni di pericolosità, che si traducono, a volte, in danni irreparabili.
Dopo ogni alluvione, i governi annunciano progetti ed interventi a favore della difesa del suolo e della regimazione dei corsi d’acqua, ma l’ampiezza del dissesto è tale da richiedere soluzioni a lungo termine, difficilmente traducibili in azioni concrete.
Ad esempio, in un intervento del Ministro dell’Economia, Epicarmo Corbino, al Convegno organizzato nel 1968 dall’Accademia Nazionale dei Lincei, dal titolo “Le Scienze della natura di fronte agli eventi idrogeologici, affermava: ”in poco più di un secolo avevamo profondamente modificato il regime delle acque, allontanandolo da quello naturale e rendendolo meno regolabile, mentre l’ulteriore necessità di ricorrere all’arginatura dei fiumi aveva aumentato la precarietà dell’equilibrio generale, rendendo più pericolosa la minaccia delle esondazioni sia nelle città che nelle campagne.”
Per cercare di ristabilire condizioni di normalità, sarebbe stato necessario almeno un secolo di interventi per opere idrauliche di varia natura, idraulico-forestali nei territori montani ed idraulico agrarie nelle pianure, con un impegno finanziario annuo di 150 miliardi durante i primi venti anni e di 130 miliardi nei trent’anni successivi.
Il Ministro concludeva il suo intervento ricordando che “per completare il quadro degli aspetti finanziari delle alluvioni, si deve tenere conto che i danni dei privati, in generale, si debbono commisurare intorno al triplo di quelli che lo Stato suole indennizzare”
Nella stessa occasione, il Prof Carlo Arnaudi illustrando i “ Lineamenti per l’intervento pubblico nella difesa del suolo e preparazione di tecnici specializzati”, rilevava che la sistemazione di 3 milioni di ettari montano collinari e dei 4 milioni di ettari carenti di interventi, comportavano una durata da 120 a 150 anni, che imponeva il ricorso a strumenti straordinari da parte dello Stato quali: la creazione di un organo politico unico e l’istituzione di un servizio di difesa del suolo obbligatorio, destinato ad affiancare quello di protezione civile.
E’ necessario riconoscere che nonostante il notevole impegno legislativo compiuto dai governi e gli stanziamenti finanziari a favore della montagna e delle aree interne, il grado di pericolosità territoriale è sensibilmente aumentato, mentre le proposte progettuali non mancano, ma i risultati sono modesti, poiché raramente sono stati realizzati o completati gli interventi previsti.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha percepito la gravità della situazione e più volte ha richiamato l’attenzione del Paese e dei politici per superare, in maniera concorde, le difficoltà che ostacolano la soluzione del problema della difesa idrogeologica.
E’ ormai trascorso mezzo secolo dall’alluvione di Firenze, che aveva avuto risonanza mondiale e le conseguenze dello sviluppo tecnologico stanno profondamente modificando il profilo socio economico del nostro Paese.
Forse è giunto il momento di prendere in esame, in un quadro più ampio, l’impiego futuro dell’energia idroelettrica, al fine di trovare il supporto finanziario adeguato per sostenere i progetti a lungo termine destinati alla regimazione delle acque nei bacini imbriferi, dalle Alpi alla Sicilia.
Nei prossimi decenni infatti, il consumo di energia elettrica è destinato ad aumentare in seguito alla globalizzazione dei mercati ed alla scelta della diffusione a livello planetario delle auto elettriche, meno inquinanti.
Questo significa che la sostituzione dei circa 44 milioni di autoveicoli (esclusi 6 milioni di motocicli) che circolano nel nostro Paese, rappresenterà nuove utenze e nuovi introiti per le Società elettriche.
Spetterà ai governi di imporre a queste Società ed a quelle automobilistiche l’obbligo di contribuire alla difesa idrogeologica, a differenza di quanto avvenuto in passato.
Tenendo conto delle raccomandazioni espresse dal Presidente della Repubblica, appare opportuno approfondire la possibilità di istituire “il Servizio obbligatorio di difesa ambientale” (analogo al Servizio di leva, ormai abolito), per dare l’avvio alla responsabilizzazione di ogni cittadino per la difesa idrogeologica e non solo, poiché fino ad ora, l’amor di Patria si manifesta prevalentemente durante le Olimpiadi ed i campionati mondiali di calcio.
E’ positivo il fatto che oltre a poter disporre di mano d’opera adeguata nelle aree soggette all’abbandono da parte delle popolazioni di montagna, questo Servizio potrebbe rappresentare per i giovani, un punto di riferimento fondamentale per il loro incerto futuro, insidiato dai pericoli della società moderna, che rifiuta con troppa disinvoltura, il rispetto delle regole civili.
Troppe voci chiedono giustizia, poche misericordia e pietà per chi ha persola vita per una frana.