Piantare alberi va bene ma da solo non basta

Piantare alberi va bene ma da solo non basta

Professore, è di pochi giorni fa la pubblicazione su “Le Scienze” di un articolo firmato da vari scienziati ed esperti di arboricoltura e silvicoltura, tra cui Lei, nel quale in sostanza si ridimensiona come semplice slogan la campagna lanciata dall’ONU di piantare 1000 miliardi di alberi entro il 2030. Perché?
Il titolo dell’articolo è certamente provocatorio e richiama l’attenzione sul rischio sotteso agli slogan nella comunicazione di un problema complesso. Fondazione Alberitalia promuove la piantagione di alberi e nuovi boschi per contrastare la crisi climatica, è la nostra missione principale! Siamo ben coscienti del loro ruolo e delle loro potenzialità, anche nella parallela lotta al declino della biodiversità, di cui parliamo troppo poco, ed è per questo che crediamo importantissimo usare messaggi corretti e ricordare la necessità della diminuzione delle emissioni e della difesa e corretta gestione degli alberi e dei sistemi forestali esistenti. Con il 40% di superficie ormai raggiunta siamo diventati un paese forestale che ancora non sa di esserlo e si ricorda del suo patrimonio solo quando brucia, nell’inconsapevolezza pressoché totale degli altri disturbi e del suo immenso valore multifunzionale.

Come lavora la Fondazione Alberitalia ETS (https://www.alberitalia.it/), da Lei presieduta, nell’ottica di radunare le competenze e i progetti e reperire i fondi per un corretto e scientifico approccio per la piantagione e manutenzione delle aree verdi?
L’albero giusto al posto giusto; evitare i conflitti, gestire trade offs e limitare le contraddizioni sempre in agguato (e per questo ad esempio trovare la terra realmente disponibile e utilizzabile per nuove piantagioni); ricostruire un sistema vivaistico forestale nazionale che faccia tesoro dell’innovazione e della ricerca scientifica nella valorizzazione della partnership pubblico – privata, garantendo quantità, qualità e sostenibilità dei materiali di propagazione; promuovere informazione, divulgazione e trasferimento tecnologico; informare e operare con e sulla società civile per una transizione educativa e culturale che aiuti i cittadini, sempre più legati a stili di vita urbani, a riconnettersi con i cicli della natura e della terra, e non solo dal punto di vista emozionale; provare a collegare e tenere insieme attori e iniziative capaci, nella ricchezza delle diversità di approcci, di fare massa critica nella multidisciplinarietà. Avere consapevolezza di rappresentare ancora una sparuta minoranza dell’opinione pubblica ma continuare a credere nel metodo scientifico (più che nella scienza in genere che spesso viene strumentalizzata. Ecco le principali linee di azione e i progetti attuali di una Fondazione nata dal basso, nel Terzo Settore, e promossa dal mondo della ricerca, dall’associazionismo e da realtà attive, economicamente sane, propulsive e capaci di guardare alle esigenze del proprio territorio e orientate realmente alla sostenibilità, come sanno fare anche alcune aziende pubbliche nel nostro paese.

In Italia abbiamo anche un cospicuo patrimonio forestale purtroppo danneggiato a seguito di incendi o eventi meteorologici estremi (penso alla tempesta Vaia). E’ possibile ripristinare le foreste in queste aree, accelerando i tempi della naturale riforestazione? Oltre tutto la presenza diffusa di alberi stressati, lesionati, defogliati o sradicati induce un forte incremento demografico delle popolazioni di insetti in grado di causare degli ingenti danni, come il Bostrico tipografo nelle foreste di abete rosso … Come ci si deve comportare?
Questo dell’incremento della magnitudo dei disturbi naturali è un tema che forse non avremmo in passato immaginato di dover affrontare e gestire così presto. E di ciò non abbiamo ancora piena consapevolezza forse addirittura tra gli addetti ai lavori, figuriamoci i decisori o la società! VAIA ne è stato esempio chiaro e devastante e ora sappiamo che forse il bostrico percorrerà una superficie ancora maggiore di quella che ha schiantato e stroncato le foreste di abete rosso e potrebbe trasferirsi anche su altre specie, modificando in modo radicale uno dei paesaggi iconici delle nostre montagne più famose. C’è anche la cocciniglia del pino domestico che sta facendo sparire un elemento estetico e funzionale dei paesaggi urbani e litoranei mediterranei, ad una velocità inattesa. Non mi sembra però di vedere particolare attenzione su questo, né mediatica né politica ma neanche tecnica. E i disturbi, con i danni che conseguono per le attività umane, non si fermano certo agli attacchi parassitari! Dobbiamo intraprendere nuove strade per favorire, magari accelerare, ma soprattutto accompagnare la natura nel suo lavoro di ricostituzione di sistemi arborei e forestali più resilienti e resistenti, e farlo velocemente, prima di scoprire che anche nei nostri boschi temperati l’azione di mitigazione della crisi climatica venga pregiudicata e minata alle fondamenta, assieme al funzionamento per tante delle utilità ecosistemiche che gli ecosistemi forestali ci forniscono gratuitamente e continuamente, assieme alle popolazioni che vivono nei luoghi non urbani e ormai remoti in tutto il pianeta. E ci serve una visione globale dei problemi, sempre più complessi nelle loro interrelazioni, retroazioni e accelerazioni: non possiamo dimenticare che spesso è il commercio di materiali vivaistici le il loro movimento globalizzato la causa di tante  epidemie anche per le piante e che, nello stesso tempo, noi siamo tra i paesi del mondo che più sono responsabili della deforestazione incorporata nelle materie prime che importiamo, per lo più dai paesi che ospitano i biomi forestali più importanti, fragili e ormai decisivi per combattere la crisi socio-ecologica del pianeta.

A proposito dell’eccessiva semplificazione che porta ai facili slogan privi di fondamento scientifico, l’Accademia dei Georgofili si è espressa recentemente in un altro settore, quello alimentare, bocciando l’etichetta a semaforo. La domanda che ci si è posti è se i consumatori siano veramente così sprovveduti da non comprendere un’etichetta meno semplice, forse, ma più corretta. Allo stesso modo, Lei non ritiene che i cittadini possano essere portati a ragionare sugli oggettivi ostacoli tecnici del piantare 1000 miliardi di alberi in meno di dieci anni e a non pensare che basti questo, immaginando che sia realizzabile, a risolvere la crisi climatica? Cosa dovrebbe fare il mondo scientifico per farsi ascoltare?
La sarabanda dei numeri non fa chiarezza e non fa crescere la nostra credibilità di scienziati, anche perchè è difficile contestualizzare il senso di ogni numero proposto rispetto a quanto appena detto: quali specie, dove le mettiamo, al posto di cosa, da dove viene il seme, chi ne cura crescita, sviluppo e difesa… E soprattutto se non parliamo nel contempo della priorità di difendere ciò che esiste e lavora silenziosamente per aiutarci a mitigare la crisi climatica e potremmo aiutare a fare ancora meglio con la conservazione attiva e una visione olistica. Credo ciò valga anche per i rapporti tra sistemi agrari e forestali nel nostro paese. In questi giorni abbiamo avuto un evento internazionale molto importante: Global Forest and Tree Restoration, organizzato dai Lincei e diverse Accademie a Roma, per dare seguito alle idee maturate nell’ambito dell’ultimo G20 tra cui la promozione delle piantagioni. Siamo molto contenti che nel documento finale venga riaffermato il valore primario ed essenziale di nuovi alberi e boschi e ricordato che ciò non deve essere fatto dimenticando che rimboschimenti e ripristino ecosistemico devono accompagnarsi alla gestione forestale sostenibile e responsabile, perchè i nuovi impianti non possono e non devono essere visti come sostituti della necessaria immediata riduzione delle emissioni ed un uso più efficiente delle risorse naturali. Un piccolo passo avanti. Abbiamo bisogno di unità d’intenti e cooperazione, prima che della competizione, anche nel mondo della ricerca e nella comunicazione delle nostre proposte.

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Redazione Fidaf

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