Perdite di suolo per erosione, contaminazione ed urbanizzazione
La perdita di suolo per cause antropiche è un dato di fatto ben noto da oltre quarant’anni. Infatti già negli anni ’70 i Paesi aderenti all’OECD e alla Comunità Economica Europea avvertivano la comunità internazionale che “Loss of productive soil is one of the most pressing and difficult problems facing the future of mankind“. Le perdite annuali di suolo per erosione erano stimate in 0.3% di area totale Paesi Emergenti (PE), in USA il 30% dello strato arabile era stato colpito da fenomeni degradativi e perdita durante gli ultimi 200 anni, con conseguente riduzione di rese e la necessità di ricorrere a maggiori input energetici in agricoltura. Per aumento di salinità e alcalinizzazione in agricoltura irrigata quarant’anni fa venivano persi 200-300.000 ha annui nei paesi industrializzati, nei Paesi Emergenti veniva perso lo 0.3% della superficie irrigua. Per urbanizzazione venivano persi 0.1-0.8% annuo dei suoli nei Pesi OECD. Venti anni dopo, l’Agenzia Europea per l’Ambiente censiva 115 milioni di ha colpiti da erosione idrogeologica, 42 milioni di ha per il vento, 85 per acidificazione, 180 per contaminazione da pesticidi, 170 da nitrati e fosfati, 33 per compattazione, 3,2 milioni di ha per perdita di sostanza organica, 3,8 per salinizzazione, 0,8 per sommersione ed asfissia. Pochi anni più tardi, nell’intento di agire contro la progressiva perdita di suolo, la Commissione Europea elencava le seguenti cause nell’UE: erosione, contaminazione (localizzata e diffusa), salinizzazione o alcalinizzazione, diminuzione della sostanza organica (oggi l’84% dei suoli in UE è sotto la soglia del 3.5%, critica per il mantenimento della biodiversità funzionale), intombamento/cementificazione per urbanizzazione, inondazioni e frane, compattazione, perdita di biodiversità del suolo. La maggior causa dei fenomeni degradativi era attribuita alle attività agricole. La PESERA Map (Pan-European Soil Erosion Risk Assessment) identifica le perdite di suolo comprese tra 1 e più di 50 t x anno x ha e l’Italia è in pole position per degradazione del suolo (con perdite spesso tra 20 e 50 t x anno x ha) , in buona compagnia del nord dei Pirenei, del sud della Spagna e buona parte della Grecia. I fenomeni degradativi sono però diffusi in tutta l’UE anche se con minor intensità. In presenza di una bassa velocità di formazione del suolo (quale si riscontra nel nostro paese) qualunque perdita di superiore a 1 t x ha x anno può essere considerata irreversibile in un periodo di 50-100 anni, senza interventi di recupero. I costi (diretti e indiretti) connessi alla perdita di suolo in UE sono impressionanti: 7,3 miliardi di euro per l’ erosione, 3,4-5,6 miliardi per la perdita di sostanza organica, 158-321 milioni per la salinizzazione, fra 11 e 600 milioni per le frane (ogni singolo evento), 200 milioni per la contaminazione. A livello geo-climatico, il sequestro di C e i carbon sinks rappresentano una possibile via d’uscita per contrastare la crescita della CO2 nell’atmosfera ed il correlato riscaldamento della medesima. Se consideriamo 1 Ha di suolo (33,5 cm di profondità) con una densità di 1,4 t per m3 la massa del suolo sarà ca. 4.700 t; se quel terreno contiene l’1% di sostanza organica, cioè 47 t, vi saranno circa 25 t di carbonio sequestrato nel suolo, in particolare nell’humus che è la frazione della sostanza organica a più lenta degradazione (circa un secolo per il C umico). Ma se la sostanza organica fosse riportata al 4% (cioè al di sopra della soglia per il mantenimento della biodiversità funzionale) avremmo ben 100 t di C sequestrato nel suolo. Ricordiamo che a livello globale il C sequestrato nella vegetazione è di 650 giga-tonnellate (Gt), nell’ atmosfera 750 Gt, nel suolo 1500 Gt. E’ fortemente probabile che nei prossimi 30 anni soltanto i suoli avranno la capacità di sequestrare quantità significative di carbonio atmosferico e ridurre i livelli attuali di CO2. Altre soluzioni richiedono più di 30 anni per cominciare a catturare volumi di CO2 rilevanti per contrastare i cambiamenti climatici. Ecco perché si comincia a parlare di “agricoltura rigenerativa” e di “rigenerazione dei suoli”, come approccio di agricoltura eco-sostenibile nel vero senso del termine a livello globale. Sarebbe un buon modo per celebrare il 2015 come Anno Internazionale del Suolo, deliberato nella 38ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2 dicembre 2013.