Perché non dobbiamo credere in bio
L’ideologia del bio (-logico o -dinamico) si riferisce all’attività che è biologica per eccellenza e cioè l’agricoltura, pretendendo di riportarla ad una purezza primigenia che poi sarebbero le tecniche in uso prima della rivoluzione scientifica dell’ottocento (per il biologico) o una congerie di procedure a base magica (il biodinamico).
Che male c’è un tutto ciò, diranno i lettori?
Il danno, vedete, è soprattutto culturale ed è enorme in quanto chi fa bio non si accontenta di sfruttare le nicchie di mercato che sarebbero il loro naturale punto d’approdo ma al contrario propone una vera e propria palingenesi che imponga all’intera agricoltura mondiale il proprio punto di vista, rifiutando quel bagaglio di innovazioni che è stato alla base della rivoluzione verde che oggi ci consente di nutrire il mondo più e meglio di quanto si sia mai fatto in passato (la percentuale della popolazione mondiale al di sotto della soglia di sicurezza alimentare è scesa dal 50% del 1945 al 10% odierno).
Rispetto alle derive bio non va peraltro ignorata l’analogia con quanto sta avvenendo nel mondo della medicina, chiamata a confrontarsi con medicine alternative che propugnano ritorni ad improbabili paradisi pre-scientifici, ed in questo apprezzo moltissimo da un lato le coraggiose prese di posizione della professoressa Elena Cattaneo e dall’altro le posizioni assunte dall’ordine dei medici rispetto ad alcune pratiche dannose legate alle medicine alternative.
Di fronte all’utopia totalizzante del bio, per la quale trovo calzantissimo il paragone con il luddismo, l’agronomo è più che mai chiamato a prendere posizione, se non altro in base al concetto (chimica inorganica – primo anno di agraria) per cui una molecola di urea che proviene dalla pancia di un mammifero non è in alcun modo diversa da un’analoga molecola di urea prodotta a partire dall’azoto atmosferico con il benemerito processo messo a punto da Haber e Bosch ai primi del ‘900 e che ci consente oggi di sopperire al 50% del fabbisogno proteico dell’umanità (Smil, 2012).
Peraltro quello del bio è un “tormentone” che ci viene continuamente propinato da tutti i grandi media, dai quali il bio ci arriva condito da slogan di salvataggio del pianeta, lotta ai cambiamenti climatici, cibo puro, sostenibilità, cibo più gustoso, ecc. ecc.
Gli slogan più ricorrenti
Vediamo di sottoporre a critica alcuni degli slogan che vengono ad ogni piè sospinto riproposti in tema di Bio.
Bio non usa pesticidi: falso, nel senso che usa pesticidi di vecchia generazione (es: solfato di rame che persiste nel terreno per tempi indefiniti, insetticidi dannosi per la flora acquatica e la microflora del terreno).
Bio vuol bene alla natura: vediamo cosa c’è scritto sull’etichetta di alcuni pesticidi usati nell’agricoltura biologica: nei formulati insetticidi a base di Spinosad e Azaridactina si legge “Altamente tossici per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.” (il secondo poi è un perturbatore endocrino). La poltiglia bordolese poi è: “nociva se inalata, provoca gravi lesioni oculari, molto tossica per lunga durata per gli organismi acquatici ”.
Bio vuol bene alle piante: è falso perché
- usando prodotti fitosanitari antiquati non le si difende adeguatamente dai nemici (sarebbe come se contro malattie umane terribili – polmonite, peste, vaiolo, colera, sifilide, ecc. – si rinunciasse all’uso degli antibiotici
- rinnegando le regole più elementari della nutrizione vegetale si affamano le piante negando loro il necessario apporto di nutrienti.
Bio fa bene al consumatore: sul piano della salubrità non si dovrebbero mai scordare i 54 morti e i 10 mila ricoveri in ospedale avvenuti i Germania e Francia nel 2011 a seguito di consumo di germogli di fieno greco prodotti da una azienda biologica tedesca e che contenevano tossine prodotte dal ceppo O104 di E. coli (Frank etal, 2011). Sempre sul piano della salubrità si ricorda l’articolo “Non crediamo in bio – La frutta e la verdura in commercio non sono più ricche di nutrienti né più salutari di quelle tradizionali. Ecco le prove.” uscito tempo fa su Altroconsumo (Freshplaza, 2015). In tale lavoro si ponevano a confronto alimenti bio con alimenti convenzionali mostrando la sostanziale equivalenza in termini di salubrità (salvo che per contenuto in nitrati per il quale i prodotti bio erano peggio rispetto ai convenzionali). Sul piano economico si rimanda invece al punto successivo.
Bio è sostenibile sul piano economico: per l’imprenditore agricolo può esserlo a patto di trovare “amatori” in grado di spendere il doppio o il triplo per lo stesso identico prodotto, visto che la produttività del bio è molto più bassa e i costi di produzione più elevati (basti pensare che il diserbo a mano di 1 ettaro di risaia comporta 450 ore di lavoro l‘anno contro meno di 10 ore l’anno richieste dal diserbo chimico)…
Luigi Mariani
Docente di Storia dell’ Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura di Sant’Angelo Lodigiano. E’ stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.