Mirabili insetti siciliani
Il canonico Antonio Mongitore nell’opera “Della Sicilia ricercata nelle cose più memorabili”, pubblicata in due volumi, nel 1742 – 43, a cura del nipote Francesco Serio, riguardo agli insetti vengono citate le locuste, venute dall’Africa (Fig.1) che, nel 1355 e successivamente nel 1657-58, “più volte assalirono la Sicilia e diedero il sacco alle campagne”. Intorno al 1699, “fu ammirabile” quel che avvenne nella città di Siracusa, ove “un immenso esercito di locuste occupò l’aria, ed il sole onde tutti temerono che dovessero devastar le campagne con danno irreparabile de’ cittadini”.
Secondo l’Autore le api, (Fig.2) “se per istrada viene ad annottare si ritirano nelle fessure d’un albero d’olivo, e a vicenda fanno la sentinella fino al giorno”. Le api “sono di tre sorti le api giovani, che vanno a cercare il mele, e cera; vecchie, che lavorano nell’alveario; e foconari di natura più rozza, e più grossa: e queste custodiscono l’alveario, e riscaldano, e covano le uova… La Maestra dell’api, che chiaman Re dell’api, è femmina, e priva d’aculeo, attende a fabbricare i favi: genera l’uova nel mese di marzo, e deposita un uovo in ogni celletta, lasciando, che l’altre le covino.”
Le larve del Baco da seta (Fig.3), “vermi della seta”, nel 1625, a Messina, “essendosi come accordate fra di loro con ammirabile artificio tesserono, invece della buccia, o funicelle, che chiamano, una fiammetta, o stendardo, e una tovaglia di sei palmi in circa di larghezza che i più valenti nostri dell’arte non avrebbero saputo tesser migliori.” Simili prodigi si erano già verificati nel 1615 a Messina e dopo alcuni anni a Catania; nel 1695 anche nella Terra di Tusa. L’autore racconta un evento del quale è stato testimone di nella Terra di S. Fratello dove nel 1716 un tal Giuseppe Mileti “applicato al traffico de’ vermi della seta, ne raccomandò il lavoro al SS Sacramento e attaccò alle canniccie una immagine di carta del Santissimo. Dopo alcuni giorni nel rivedere l’opera de’ suoi vermi, con suo stupore ritrovò, che dietro appunto dell’immagine avean lavorato co’ fili della seta una figura d’Ostia alla grandezza di quella, che si costuma nella celebrazione delle Messe” …
Gli Scarabei, vengono impropriamente chiamati “Scarafagi”, “secondo una relazione sincera del Sig. D. Francesco Emmanuello Cangiamila, erudito palermitano, Arciprete della Terra di Palma in Sicilia … in quella terra trovasi una spezie di scarafagi che hanno ali e volano per l’aria a guisa di uccelli”. Gli Scarabei, erano stati oggetto di ironiche caricature in opere teatrali del siracusano Epicarno (Vl-V secolo a.C.) e di Aristofane (450-385 a.C.). Il primo, considerato l’inventore della commedia, indica tali insetti idonei ad essere cavalcati dai Pigmei in combattimento. L’ateniese, che fu uno dei principali esponenti della Commedia antica (l’Archaia), nella comica “La Pace” descrive il pacifista Trigeo che volendo conferire con Giove per chiedere chiarimenti sulle continue guerre, sceglie come mezzo per volare uno scarabeo. Un suo servo brontola: “si è portato a casa un enorme scarabeo dell’Etna e lo accarezza come fosse un puledro”. Considerato che secondo Aristofane l’insetto si nutriva di escrementi, dovrebbe trattarsi di una delle specie di Scarabei stercorari (Fig. 4), diffusi in Sicilia e oggetto di culto in Egitto, dove erano considerati la forza che muoveva il sole attraverso il cielo, allo stesso modo con il quale facevano rotolare sul suolo una pallottola di sterco. Tali coleotteri, per le notevoli dimensioni e il rumoroso volo, hanno ispirato i due commediografi greci e alimentato il mito degli Scarabei giganti, che il Mongitore non cita ma li, inserisce fra le “cose più mirabili” dell’Isola solo perché “hanno ali e volano per l’aria a guisa di uccelli”…