Metanizzazione del Mezzogiorno. Un nuovo spreco per il Sud

Destò molta incredulità nel settembre scorso la notizia  dell’incontro fra Mse e Regione Campania per la metanizzazione del Cilento attraverso il rifinanziamento di una legge del 1997 per la metanizzazione del Mezzogiorno. Si trattava, infatti, di un provvedimento controcorrente rispetto le intenzioni del Ministro Zanonato di alleggerire la bolletta elettrica delle famiglie degli italiani. Oggi, leggiamo che la legge di stabilità ha reso disponibili 140 milioni, 20 all’anno per sette anni e che la Direzione risorse minerarie ed energetiche del MSE ha chiesto a 90 comuni di inviare  “a scopo ricognitivo” progetti di metanizzazione. Se il controllo spetta alla direzione risorse minerarie vuol dire che i soldi vengono da contributi a carico di chi estrae metano in Italia? Non si possono usare meglio?

Il Decreto legislativo 3 marzo 2011 n. 28 (la legge quadro per l’incentivazione dell’energia da fonti rinnovabili) ha previsto la diffusione delle fonti rinnovabili negli impieghi del calore, attraverso il cosiddetto conto energia termico, e l’istituzione di un fondo di garanzia per promuovere impianti di teleriscaldamento anche basati sull’uso di biomasse.

L’incentivo sulla realizzazione delle reti di teleriscaldamento  non è ancora a disposizione delle imprese perché manca il decreto attuativo, in compenso già grava dal 2012 sulle tariffe del gas naturale per circa 0,05 €cent/sm3 sul consumo di gas metano. Negli ultimi mesi si è accresciuta l’attenzione sulla necessità di dosare con molta cautela i costi che vengono trasferiti sulla collettività per la promozione delle fonti rinnovabili, correlandoli in modo preciso ai benefici e agli obiettivi vincolanti verso cui l’Italia si è impegnata con l’Unione europea (e la c.d. Direttiva 20-20-20).

In questo contesto, completamente differente da quello del 1997 quando ancora non c’era un mercato liberalizzato, la proposta di rifinanziare una legge di 15 anni fa (gravando sulla fiscalità generale oppure utilizzando royalties da pozzi italiani) appare del tutto inappropriata dal punto di vista degli obbiettivi della politica energetica nazionale, definiti anche dall’ultima stesura della Strategia energetica (SEN). Sarebbero, infatti, i contribuenti italiani con le loro tasse a pagare il costo dell’investimento della metanizzazione del Cilento.

Inoltre, promuovere l’impiego del metano, una fonte fossile che oggi l’Italia importa, è un’azione in controtendenza rispetto alla volontà del Governo, e appoggiata dall’Autorità per l’Energia, di favorire la produzione di calore da fonti rinnovabili (solare, biomasse, pompe di calore) che a parità di kWh prodotti costa meno per il sistema Paese.

Vorrei ricordare che il Governo negli ultimi mesi ha emanato provvedimenti come il Conto energia termico e l’Ecobonus nell’ottica di favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, anche se rimane in fase di attuazione il decreto per il fondo di garanzia sulle reti di teleriscaldamento. Nel caso della metanizzazione del Cilento, rifarsi ad obbiettivi di due decenni fa senza verificarne la congruenza col contesto attuale, rappresenta per il sistema paese una scelta obsoleta e costosa rispetto alle altre opzioni tecnologiche presenti ora sul mercato.

Negli ultimi anni si sono diffuse stufe e caldaie alimentate in modo automatico a pastiglie di legno (pellet) che hanno reso molto più efficiente – da punto di vista di comodità, di costi e del controllo delle emissioni inquinanti – l’uso delle biomasse, per cui si è verificato che recenti interventi di metanizzazione, in piccole comunità anche del meridione (ad esempio in provincia di Benevento) registrano grande difficoltà ad acquisire i previsti clienti perché il confronto economico risulta negativo rispetto ai costi di allaccio e di fornitura. Stesso discorso per quanto riguarda la tecnologia delle piastre ad induzione elettrica che risulta generalmente vantaggiosa rispetto all’uso del Gpl venduto in bombole.

In conclusione, questo rifinanziamento appare, come minimo, poco meditato in relazione alle strategie del Governo e i cittadini del Mezzogiorno, dopo mezzo secolo di attesa, rischiano di trovarsi ancora una volta con una infrastruttura inutile e superata.

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Redazione Fidaf

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