Ma è vero che la produttività agricola mondiale è in diminuzione?
Mi capita sempre più spesso di sentire in occasione di convegni o altri eventi pubblici, o di leggere in articoli e rapporti che la produttività agricola sarebbe in declino a causa del supersfruttamento di suoli e di altre risorse naturali o a causa dei primi effetti dei cambiamenti climatici. Gli aumenti totali della produzione agricola sarebbero quindi attribuibili esclusivamente all’aumento delle aree coltivate a costo di deforestazione e conseguente emissione di gas serra. L’ultimo (in ordine di tempo) esempio è il rapporto della ONG Oxfam sul contributo dei sistemi di produzione di alimenti ai cambiamenti climatici[1], in cui si legge: In tutto il mondo, gli agricoltori stanno ottenendo raccolti sempre più ridotti ed hanno bisogno di aree di produzione sempre più vaste, contribuendo all’aumento del prezzo delle derrate.
Pochi dubbi che gli attuali sistemi di produzione agricola spesso non siano sostenibili e che la gestione delle risorse naturali debba essere ottimizzata se non si vuole compromettere le future possibilità di produrre alimenti. Pochi dubbi sul fatto che i sistemi di produzione agricola debbano adattarsi ai cambiamenti climatici e contribuire alla loro mitigazione. Ne ho scritto più di una volta. Ma è vero che la produttività agricola è in diminuzione? È vero che i terreni agricoli, spremuti come limoni, non sarebbero più in grado di sostenere la produzione di cibo che necessita per sfamare la popolazione mondiale? Ed è vero che la frontiera agricola si sta espandendo per compensare le perdite di produttività in uno schema che ci porterà velocemente alla carestia ed alla desertificazione globale? Siamo di fronte ad una replica del modello slash and burn dei primi anni dell’era agricola, adottato però su scala mondiale?
Proviamo a basare questa discussione sui dati disponibili. Da una rapida consultazione dei dati statistici della FAO (per comodità ho considerato i cereali) emerge qualche sorpresa (figura 1). Procediamo con ordine. Produzione totale: è in costante aumento, al netto di qualche fluttuazione dovuta ad eventi stagionali. Da 877 milioni di tonnellate nel 1961 si è passati a 2 miliardi e 801 milioni nel 2014, con un incremento totale di quasi il 320% e una crescita annuale di 54 tonnellate. Negli ultimi anni l’aumento segue un trend pressoché uguale: la produzione totale ammontava nel 2000 a 2 miliardi e 60 milioni di tonnellate, di modo che l’aumento medio annuo tra il 2000 ed il 2014 è stato di 53 tonnellate, praticamente lo stesso dei 40 anni precedenti.
Come è stata ottenuta questa moltiplicazione della produzione di cereali? In parte aumentando la superficie coltivata: da 648 milioni di ettari nel 1961 a poco meno di 721 milioni di ettari nel 2014, pari al 111%. L’aumento medio è quindi ammontato a 1,35 milioni di ettari per anno. L’incremento dell’area coltivata a cereali è stato però molto meno lineare di quello della produzione totale, con fluttuazioni più importanti. A grandi linee abbiamo assistito ad un aumento della superficie investita a cereali nel primo ventennio, fino a raggiungere nel 1981 il massimo storico di 726 milioni di ettari, a una decrescita abbastante costante fino al 2002 (661 milioni di ettari), e poi di nuovo a un incremento fino al 2014.
Se l’incremento di produzione totale di cereali è attribuibile solo parzialmente e non in maniera continua all’espansione dell’area coltivata, dobbiamo immaginare che sia cresciuta in maniera sostanziale e continua la produttività per ettaro. E infatti siamo passati dai 13, 5 quintali per ettaro del 1961 ai 38,9 quintali per ettaro del 2014. La produttività è quindi quasi triplicata (+288%) in 54 anni, con un guadagno medio di 47 kg per anno, con una lieve accelerazione negli ultimi 14 anni (+59 kg/anno). Non abbiamo ovviamente nessuna garanzia che la tendenza continui allo stesso ritmo negli anni successivi, ma nei 50 anni scorsi la crescita della produttività è stata sostanziosa e costante.
Siamo tutti concordi sul fatto che la produzione ed il consumo di alimenti debbano seguire modelli più sostenibili, in modo che l’utilizzo delle risorse naturali non ecceda il ritmo naturale della loro reintegrazione. Ma per affrontare questa sfida, la più grande forse mai affrontata dall’uomo nel corso della sua storia, non occorre certo fare catastrofismo ingiustificato, ma bisogna analizzare la realtà con rigore e trarne motivate indicazioni per il futuro.
(Per inciso, i prezzi delle derrate alimentari sono scesi costantemente dal 2011 sia in termini nominali che in valori deflazionati [2]).
[1] A qualcuno piace caldo: così l’industria alimentare nutre il cambiamento climatico. Oxfam media briefing giugno 2016. http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2016/06/OXFAM-270615-Feeding-Climate-Change_OIT_final.pdf
[2] http://www.fao.org/worldfoodsituation/foodpricesindex/en/
A conferma dell’articolo si può vedere il comunicato stampa della FAO di oggi:
“La FAO ha rivisto le sue previsioni al rialzo per la produzione mondiale di grano portandole a 742,4 milioni di tonnellate, a causa degli incrementi produttivi in India, negli Stati Uniti e nella Federazione Russa – che con tutta probabilità supererà l’Unione Europea diventando il più grande esportatore di grano. La produzione mondiale di riso si prevede aumenterà per la prima volta in tre anni, con un incremento dell’1,3% raggiungendo il massimo storico di 497,8 milioni di tonnellate, grazie alle abbondanti piogge monsoniche in Asia e al considerevole aumento produttivo in Africa. La produzione di cereali secondari vedrà un aumento dell’1,8% rispetto all’anno scorso, dovuto a raccolti record negli Stati Uniti, in Argentina e in India”.
Vedi http://bit.ly/i6ivqc