L’uragano del 5 marzo 2015
Durante la notte tra il 4 e 5 marzo scorsi, una violenta perturbazione atmosferica proveniente dai Balcani ha causato in Toscana ingenti danni colpendo in modo sensibile molte aree boscate dei versanti appenninici e delle aree costiere tirreniche. Effetti gravi si sono verificati poi su parchi, giardini, alberature e, in modo diretto ed indiretto, per caduta di piante, sulle strutture urbane e di comunicazione nonché, purtroppo, su persone.
Le prime valutazioni indicano che a livello regionale l’uragano ha inciso pesantemente distruggendo il soprassuolo forestale su di alcune centinaia di ettari. Particolarmente colpiti i boschi ubicati sui versanti esposti da sud ad ovest della catena principale, quelle del Pratomagno e dell’Alpe di Catenaia. In queste aree i danni di maggiore intensità si sono verificati a spese dei soprassuoli puri e misti di conifere di impianto artificiale nello stato di sviluppo di bosco adulto ed a densità elevata. Nell’area costiera, tra Massa e Viareggio, l’uragano ha agito con forza distruttiva sulle pinete di pino marittimo e pino domestico. Numerosi poi i danni di minore entità diffusi su tutto il territorio. Anche se in presenza di pioggia e neve, il fattore distruttivo dominante è stato il vento che ha colpito gli alberi nella parte aerea (schianti di fusti) e ha causato frequenti sradicamenti. In effetti i fattori critici sono diversi che, tra l’altro, agiscono con azione congiunta. In primo luogo la violenza del vento (sono state stimate raffiche con velocità di oltre 140 km/ora) e la sua irregolarità in prossimità del suolo, le caratteristiche dei profili delle creste e dei versanti, la mancanza di barriere naturali. Tutto ciò trova una relazione stretta con l’ubicazione degli alberi. La loro resistenza è determinata dai caratteri fenotipici specifici quali la forma e la natura degli apparati radicali e di tratti che hanno una relazione diretta con l’ancoraggio al suolo della pianta: il rapporto tra la biomassa delle radici e quella della parte aerea, l’altezza e lo stadio di sviluppo, l’età, la forma, l’architettura della chioma, ecc. Essenziali sono il loro stato di salute e la loro storia pregressa. Si presenta ora imminente l’opera di ripristino: non sarà facile, necessiterà di grande impegno su tempi lunghi e applicazione continua. Una prima fase del lavoro dovrebbe riguardare un’analisi accurata descrittiva dei danni che si sono verificati il cui scopo è quello di pervenire alla più accurata stima degli agenti chi potremmo definire concomitanti o aggravanti anche se, in un primo momento, potrebbero essere giudicati insignificanti di fronte ad eventi naturali eccezionali. Una seconda fase è quella diretta alla rimozione del materiale legnoso abbattuto, quello dei fusti stroncati e ancora ancorati al suolo, ma nelle azioni operative, potrebbero essere guardati con favore e attuati interventi virtuosi di diradamento (soprattutto nel caso dei soprassuoli di conifere di impianto artificiale) la cui assenza pregressa può essere inclusa tra i fattori di danno concomitanti. Ulteriore impegno virtuoso riguarda la gestione della biomassa che sarà prelevata: sarebbe necessario uno sforzo di imprenditorialità mirato alla “salvaguardia” degli assortimenti di maggior pregio. Infine la terza fase: quella del ripristino. Si possono presentare due soluzioni. La prima è quella: “lasciamo che la natura sviluppi il suo percorso”. Potrebbe essere vista con favore nei casi di danni limitati anche a tutto il soprassuolo (piccole aperture, chiarie) o a parte di questo purchè siano presenti piante di “avvenire”. La seconda prevede il ripristino diretto ovvero il rimboschimento. Negli ultimi venti anni questo vocabolo è stato poco usato nel mondo forestale del nostro Paese. Del resto i dati statistici di riferimento confermano l’andamento temporale decrescente di questa essenziale attività che nel passato ha rappresento invece anche efficace azione di supporto a momenti di crisi economica. Il rimboschimento, che significa la realizzazione di un nuovo ecosistema bosco, è opera che richiede grande lavoro nel tempo, che è quello, anche molto lungo, dei cicli degli alberi forestali. E’ doveroso insistere su questo concetto e sottolineare come alla stabilità di un “nuovo soprassuolo” concorrono anche le cure che questo riceve. La domanda a questo punto è: siamo capaci di rimboschire? La risposta non è facile, per le varie motivazioni coinvolte, e non può essere affrontata nell’ambito di nota editoriale. Una considerazione di natura prevalentemente tecnica è comunque doverosa e che viene esposta attraverso una ulteriore domanda? Abbiamo a disposizione il materiale di propagazione con caratteri intrinseci ed estrinseci idonei per le condizioni stazionali in cui si potrebbe realizzare il rimboschimento? Purtroppo la risposta è negativa, indipendentemente dalla specie che sarebbe opportuno impiegare. Potremmo importarlo dall’estero inviando, almeno, il seme raccolto da noi!
Ecco una altra efficace testimonianza di quanto sia cambiato il clima nel nostro territorio ! Ovviamente il cambiamento non riguarda solo il nostro territorio (un tempo noto per il clima mite e gradevole)ed il patrimonio boschivo. Esso comunque (assieme ad altri fenomeni come le bombe d’acqua prima qui sconosciute) ci fornisce l’entità dei cambiamenti avvenuti nel clima e non solo da noi. Non dobbiamo però illuderci che il fenomeno sia statico ; esso purtroppo è dinamico e quindi prevedibilmente non possiamo sperare che col tempo le cose si aggiustino. Fino a che, nel mondo, l’aria continuerà a diventare sempre più densa per lo scarico di tonnellate di fumi, per la distruzione delle foreste,per inaridimento dei suoli ecc. il fenomeno continuerà prevedibilmente ad aumentare.