Tutti i politici locali, per incantare platee di agricoltori, alla ricerca disperata di consensi, armati di tecnico/burocrati, inizieranno il loro solito tour per province, comuni e frazioni, sbandierando opportunità esclusive per l’agricoltura e disegnando un quadro roseo per le nuove misure d’intervento. Quello che non sbandiereranno mai, però sono la metà delle misure che prevedono finanziamenti ad Enti come la Regione stessa e le ex comunità montane, insieme a tutto l’enorme sottobosco di studi, progetti e certificazioni atti a tenere vivo un enorme serbatoio di consensi, grazie alla quantità di personale che vi ruota intorno. Ma andiamo con ordine.
Il piano di sviluppo rurale, è il documento programmatico che ogni singola Regione Italiana produce per utilizzare “al meglio” le risorse finanziarie che la Comunità Europea destina all’ammodernamento delle zone rurali, per renderle maggiormente vive e competitive e per migliorare la sostenibilità ambientale. Quattro assi, divisi in misure di intervento, un trentina circa, atte a fornire aiuti per strumenti vari di produzione alle aziende agrarie e ai sopracitati enti.
Venti anni di programmazione, divisa in quattro tranche: 1994/99 2000/2006 2007/2013 e ora, in fase di start-up, la programmazione 2014/2015.
Ma qual è stato il beneficio di questi benedetti fondi europei? Abbiamo degli studi che documentano gli effettivi benefici di questi finanziamenti? La risposta si legge in uno studio degli economisti Roberto Perotti e Filippo Teoldi, dal titolo “Il disastro dei fondi strutturali europei” dove oltre a venire documentato lo sperperio di fondi (nello specifico i fondi strutturali, si evidenzia come non ci siano tuttora studi validi che documentano il rapporto costo/beneficio di questi aiuti). “Nessuno riesce a districarsi tra piani europei, nazionali e regionali. Centinaia di documenti stilati per fissare obiettivi che nessuno rispetta. E i soldi diventano una mangiatoia pazzesca per sindacati, assessorati regionali e provinciali”, questa la conclusione tratta da Perotti il quale propone anche una soluzione, anche se abbastanza rischiosa: “Non diamo più soldi a Bruxelles, così non rischiamo di vederli finire nelle mani dei maestri dello spreco, in un sottobosco politico parassitario” (03/07/2014, La Voce.Info, Il disastro dei fondi strutturali europei di Roberto Perotti e Filippo Teoldi).
Nel 2013, la Corte dei conti europea ha curato un rapporto: “Misure per la diversificazione dell’economia rurale: gli Stati Membri e la Commissione hanno conseguito un rapporto costi-benefici ottimale?”, secondo tale rapporto, i fondi Ue per la diversificazione dell’economia rurale conseguono, un rapporto costi-benefici ottimale solo in misura limitata.
L’audit ha riguardato le responsabilità della Commissione e 6 Stati membri tra i quali l’Italia (Campania). A seguito di tale rapporto, la Corte raccomanda: “Nei loro programmi di sviluppo rurale (PSR), gli Stati membri dovrebbero individuare in modo chiaro come e perché l’intervento pubblico in favore degli investimenti in attività non agricole possa contribuire a correggere, ad esempio, le disfunzioni del mercato relative agli ostacoli all’occupazione e alla crescita. Gli Stati membri dovrebbero quindi stabilire obiettivi specifici e misurabili in relazione a tali esigenze” (Greenreport, 17/09/2013).
In venti lunghi anni di programmazione, ne abbiamo viste di ogni tipo. Abbiamo visto misure atte a finanziare l’insediamento di giovani in agricoltura (25mila euro a fondo perduto) con criteri di assegnazione che permettevano i furbetti di turno, figli di papà, molto spesso studenti o impiegati in altri settori molto più redditizi, di accedere ai fondi, senza conoscere nemmeno dov’era sita l’azienda di famiglia (irridendo, viste le scarse opportunità che il mondo agricolo offriva, i pochi giovani che avevano avuto la malsana idea di vivere veramente di quel mestiere). Abbiamo visto agriturismi poco agri e meno turismi, nati da signorotti senza il minimo interesse per l’attività ricettiva, col solo scopo di prendere fondi per ristrutturare rustici e incrementare di fatto il capitale.
Abbiamo visto finanziare video promozionali per la fiction don Matteo (regione Umbria, 679 mila euro, 526 mila dei quali provenienti dai fondi PSR)… Tanti, tantissimi sprechi, molti dei quali documentati nel libro “Mani bucate” di Marco Cobianchi (Ed. Chiarelettere). Per rendersi conto della gravità (e dell’originalità) delle frodi, basti pensare che in Calabria nel 2012, si è arrivati persino a trasformare una squadra di calcio iscritta al campionato dilettantistico regionale, in impresa agricola.
E per gli agricoltori? Una quantità smodata di burocrazia, contornata da infiniti cavilli (talvolta frutto di fantasie Disneyane) che consentono alla politica di aprire o chiudere i rubinetti a piacimento, a seconda delle necessità di cassa, di raccomandazione dei destinatari e di consensi pre-elettorali. Questa gestione provoca lungaggini esorbitanti di erogazione dei finanziamenti, soprattutto per i non clienti, ritardi molto spesso fatali per numerose imprese, costrette per anticipare gli investimenti agli strumenti offerti dalle banche di anticipo PSR.
E’ dato Coldiretti che, con la chiusura in media di 60 aziende al giorno, l’agricoltura italiana si presenta all’Expo con 155mila imprese in meno rispetto all’inizio della crisi nel 2007.
Centocinquantacinquemila imprese in meno dal 2007 ad oggi, proprio dalla data dell’inizio della programmazione 07/13. Allora ci chiediamo nuovamente: quali sono i benefici di questo strumento?
È la cura giusta continuare a fornire fondi per produrre ad un’agricoltura sempre più vessata dai mercati in costante ribasso o con volatilità clamorose, da una GDO padrona dei mercati che strozza costantemente produttori (che magari indebitati per gli investimenti si vedono costretti a vendere comunque la merce per creare quel minimo di liquidità per continuare a sperare)?
Continuare a fornire soldi per investimenti ad un’agricoltura senza reddito, è come buttare acqua in una piscina bucata. I veri beneficiari? L’indotto che ruota intorno.
Come sostiene in un articolo di Repubblica l’economista Giulio Sapelli “Nessun paese ha tante società di consulenza sui fondi europei come l’Italia. Significa che, una volta ottenuto il finanziamento, questo spesso si disperde in mille rivoli, per cui all’obiettivo finale arrivano pochi spiccioli” (Le inchieste di Repubblica, 16/10/2014 di Luigi dell’Oio).