Le “mosche” delle giuggiole
I Lotofagi erano gli antichi abitanti della Cirenaica, regione dell’attuale Libia, i quali, secondo Omero, si cibavano delle drupe (giuggiole) del loto Ziziphus jujuba, già noto come Rhamnus lotus. Tale Ramnacea, diffusa in Asia e in Nord Africa, produce, numerosi fiori di piccole dimensioni dal colore bianco verdastro visitati dalle api; le drupe hanno epicarpo sottile che imbrunisce a maturazione assumendo una consistenza simile a quella dei datteri. La polpa è biancastra, farinosa, di sapore neutro o leggermente dolce acidulo.
Nell’Odissea Omero scrive che chi mangiava le giuggiole perdeva ogni ricordo del passato e ogni preoccupazione per l’avvenire; pertanto i compagni di Ulisse, mandati in esplorazione, dopo aver assaggiato le giuggiole, non desiderarono altro che restare nel paese dei Lotofagi e nutrirsi di tali frutti, il che costrinse Odisseo a farli ricondurre a bordo con la forza e incatenare sulle loro rispettive navi. L’espressione “andare in brodo di giuggiole”, riferita a chi manifesta grande felicità, deriva dalla bontà del liquore che viene preparato a partire dalle giuggiole. Tali frutti sono apprezzati anche da alcune specie di Ditteri Tefritidi del genere Carpomya le più comuni delle quali sono Carpomya vesuviana Costa, diffusa nell’Italia meridionale e verso Oriente fino all’India e C. incompleta (Beck.) che, dall’Italia meridionale, si spinge verso l’Africa. Le larve delle due specie, lunghe a maturità circa 1 cm, danneggiano la polpa delle giuggiole e, completato lo sviluppo, impupano nel terreno sottostante le piante a pochi centimetri di profondità…