Le conoscenze botaniche degli antichi Romani attraverso l’analisi delle fonti letterarie

Le conoscenze botaniche degli antichi Romani attraverso l’analisi delle fonti letterarie

Le principali fonti di informazione sulle conoscenze botaniche degli antichi Romani sono rappresentate dalla letteratura botanica e da evidenze archeologiche. Le ricerche sui resti delle piante presenti nelle aree archeologiche e sulle rappresentazioni iconografiche hanno consentito di pervenire ad indicazioni certe su quali siano le specie conosciute in epoca romana. Un limite è comunque rappresentato dal fatto che se l’evidenza archeologica consente l’identificazione della specie, non sempre riesce a determinare con certezza quale fosse l’impiego della pianta stessa. Da quest’ultimo punto di vista le fonti letterarie possono essere uno strumento prezioso per indicare l’uso delle piante. Fra i numerosi testi pervenuti dall’epoca romana, quello più ampio ed articolato è certamente la Naturalis historia di Plinio il Vecchio. Altre informazioni sono desumibili dai testi di agricoltura, quali quelli di Varrone, Catone e Columella; anche nei testi di poeti lirici, quale Virgilio e Orazio, si possono trovare indicazioni sulle piante e sulle stesse tecniche di coltivazione. Non sempre, però, è possibile identificare la pianta dalla descrizione fornita dall’autore; questo perché si possono verificare difficoltà nella traduzione o semplicemente perché lo scrittore non descrive la pianta accuratamente o con sufficiente dettaglio. In Italia, inoltre, è finora mancato un vero e proprio lessico della botanica latina, ad eccezione di quanto riportato nei vari dizionari latino-italiano.

In questo contesto, attraverso l’analisi dei testi di 9 scrittori latini, vissuti fra il III secolo a.C. ed il IV d.C., si è cercato di individuare quali erano le specie conosciute e il loro impiego. L’indagine ha consentito di censire 960 specie, appartenenti a 523 generi e a 138 famiglie botaniche. Si tratta di un numero esiguo, soprattutto se si fa riferimento alla consistenza della flora italiana e alle numerose piante presenti sui territori di espansione dell’impero romano. Il dato va in gran parte giustificato con il fatto che i Romani erano interessati alle piante solo se queste avevano un interesse pratico, per cui tutte le specie considerate “inutili” non erano ritenute meritevoli di menzione.

Fra gli usi maggiormente diffuso vi è quello medicinale (61% del totale), ad attestazione dell’interesse nei confronti dell’argomento e delle approfondite conoscenze erboristiche degli antichi Romani. Per il 19% delle specie veniva riconosciuto un qualche significato utilitaristico e per il 16% delle specie un ruolo alimentare; solo per l’1% del totale era riconosciuto un valore ornamentale.

L’articolo è tratto dalla relazione svolta il 9 ottobre 2014 nel Convegno “Verso Pompei: l’agricoltura dell’epoca nella storia e nelle immagini”, organizzato dalla Sezione Sud-Ovest dell’Accademia dei Georgofili insieme al Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli.

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Redazione Fidaf

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