Le colorazioni vessillifere del lepidottero dell’Erba di San Pietro

Le colorazioni vessillifere del lepidottero dell’Erba di San Pietro

L’Erba di San Pietro, Senecio squalidus aetnensis, è una delle più significative piante endemiche dell’Etna; diffusa da quota 1.750 a quota 3.050 m, limite estremo dei vegetali sul vulcano, caratterizza la vegetazione pioniera del piano alto mediterraneo, al limite del deserto vulcanico sommitale. In tali aree, la Composita assume talune caratteristiche fenotipiche proprie delle entità alpine; conseguenza dell’adattamento all’ambiente è uno xerofitismo (capacità di sopravvivenza in condizioni di siccità) più o meno marcato con superfici fogliari ricoperte di cere, margine fogliare intero, riduzione del numero di stomi ed infine una serie di meccanismi fisiologici che conferiscono alla specie una spiccata resistenza agli stress idrici e termici. La congenere Senecio jacobaea è stata accidentalmente introdotta ed è divenuta infestante in Nord e Sud America, in Canada, nonché in Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda. Sull’Etna, l’endemico S. aetnensis, viene occasionalmente infestato dall’Afide Brachycaudus helicrisi, mentre ricorrente è la presenza del Lepidottero Arctiide Tyria jacobaeae, specie diffusa, come la sua pianta ospite, in tutta Europa, Asia Minore e Asia Centro-Meridionale che, negli anni ’20 del secolo scorso, è stata introdotta in Nuova Zelanda per il controllo biologico di S. jacobaea; tentativi simili sono stati effettuati, in Australia dove, in Tasmania, dal 1930 al 1983, sono stati rilasciati 2.000 adulti e 282.000 larve, mentre, nello stato confederato di Victoria, è stato realizzato un programma di allevamento e di rilascio del Lepidottero, nel quale sono state coinvolte scuole, fornite delle necessarie attrezzature, da parte del Dairy Research and Development Corporation. I risultati ottenuti in campo, non sono stati pari alle attese, ma sono stati giudicati didatticamente rilevanti per i docenti e gli studenti coinvolti.

A partire dal 1959 in California, nel Montana e nell’Oregon, sono stati ottenuti risultati notevoli integrando l’azione del defogliatore con quella dei Ditteri Botanophila seneciella e B. jacobaeae, che distruggono i fiori, nonché con quella del Coleottero Longitarsus jacobaeae le cui larve vivono nella parte ipogea della pianta mentre gli adulti rodono i semi. L’Arctiide non è riuscito a insediarsi nei siti più asciutti nei quali le larve venivano attivamente predate dalle formiche carpentiere del genere Camponotus; altri artropodi predatori erano varie specie di Coleotteri Carabidi e Stafelinidi, nonché di Acari, di Ragni e di Dermatteri, presenti anche nei nostri ambienti. Sull’Etna, come nelle altre zone europee e asiatiche di origine, il defogliatore non raggiunge elevate densità di popolazione per l’azione di contenimento dei numerosi fattori di limitazione presenti, da alcuni dei quali riesce a difendersi efficacemente. Le larve rodono le foglie e germogli della pianta ospite, ricchi di alcaloidi pirrolizidinici tossici, dai quali derivano sostanze chimiche di difesa che rendono non commestibili i vari stadi del Lepidottero, soprattutto agli uccelli insettivori che sono i principali predatori di Lepidotteri. Larve e adulti di T. jacobaeae evidenziano la loro tossicità con vistose colorazioni di avvertimento (aposomatiche). Gli adulti hanno le ali anteriori grigio-scure con una fascia costale e due macchie marginali rosse; le posteriori sono rosse con una striscia nera lungo il margine esterno. Le larve, che vivono in gruppi da 10 a 30, sono lunghe circa 2,5 centimetri, hanno livrea gialla e bande nere, colori che, accostati tra loro, creano un pattern molto vistoso e facile da ricordare da parte degli uccelli insettivori al pari della colorazione grigio scuro-rossa degli adulti che spesso volano anche durante il giorno da maggio a luglio. La specie svolge una generazione annua e sverna da crisalide nel terreno; in primavera le femmine depongono fino a 300 uova sulla pagina inferiore, in gruppi di 30-60 elementi; le larve, che nascono dopo alcuni giorni, si alimentano della parte epigea del Senecio e completano lo sviluppo entro il mese di settembre.

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Redazione Fidaf

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