L’agrivoltaico nelle imprese agricole e l’autoconsumo dell’energia
L’integrazione dei sistemi agrivoltaici in una impresa agricola pone una serie di questioni rilevanti tra cui comprendere se e come tali sistemi possano soddisfare effettivamente i consumi energetici aziendali e contribuire al percorso di decarbonizzazione del settore agroalimentare nell’ambito degli ambiziosi obiettivi europei connessi al Green Deal, alla strategia Farm to Fork ed al recente accordo sul regolamento Effort Sharing.
Lo sviluppo dell’agrivoltaico nel nostro Paese è funzionale, oltre al raggiungimento dei ben noti obiettivi energetici delineati nel Piano nazionale Energia e Clima (PNIEC) e del PNRR, anche all’obiettivo di aumentare la competitività delle imprese agricole attraverso una diminuzione dei costi di produzione connessi al consumo di energia, rilevanti soprattutto in alcuni settori quali, ad esempio, quello zootecnico e alla diversificazione dei redditi di impresa.
Secondo i dati del GSE relativi al 2020 il fotovoltaico, nella tradizionale collocazione su tetti e capannoni o a terra, è stato adottato da circa 38.100 imprese agricole che, se paragonate alle circa 415.000 imprese della rilevazione ASIE di ISTAT sono un numero rilevante ma limitato (9,2%) tanto più se consideriamo che gli impianti attuali sono stati installati in un lasso di tempo di 10 anni.
Gli impianti FV in agricoltura hanno prodotto, nel 2020, circa 2870 GWh di energia elettrica di cui circa 423 sono stati autoconsumati. Sfruttando gli incentivi succedutesi negli anni (Conto energia I – V°), le aziende hanno investito sul FV come sistema di produzione ma la quota di energia autoconsumata è stata, al di là di pochi casi, generalmente ridotta. I dati del GSE mostrano punte del 40% di autoconsumo in Trentino Alto Adige e valori molto bassi (5-6%) nelle Marche ed in Basilicata. La media italiana di autoconsumo dell’energia generata da impianti FV nelle aziende agricole è pari al 15%.
Questo valore, apparentemente basso, non stupisce se teniamo in considerazione tre fattori: la curva giornaliera di produzione elettrica del FV, le caratteristiche dei consumi elettrici delle aziende agricole ed i meccanismi di incentivazione succedutisi negli anni.
In tale contesto i sistemi agrivoltaici, promossi da una specifica misura del PNRR, possono costituire un’opportunità ma vi sono diversi aspetti da approfondire per capire quanto e come.
Il primo elemento da considerare è che i consumi elettrici in agricoltura costituiscono solo il 20% dei consumi energetici complessivi del settore, anche se alcuni sotto settori raggiungono valori molto più elevati in virtù della presenza di azionamenti elettrici, pompaggi o sistemi di refrigerazione.
Il secondo elemento è che in una azienda agricola solo una parte dei consumi elettrici sono in “fase” con la produzione FV e che pertanto in molte imprese è difficile o impossibile autoconsumare la propria produzione rinnovabile. Alle nostre latitudini, un impianto FV produce energia per circa 1.110- 1200 ore l’anno, per poche ore del giorno nei mesi invernali ed almeno il doppio nel periodo estivo ma l’azienda, in virtù del suo specifico indirizzo produttivo domanda energia, in orari diversi spesso non allineati con la fase produttiva.
Per ovviare, almeno in parte, a questi limiti e per incrementare la quota di autoconsumo nelle imprese agricole si può operare in più direzioni:
- Dimensionamento e progettazione impianto, ad esempio installando un impianto dotato di tracking biassiale per aumentare le ore di produzione ampliando la curva di produzione solare, fino anche ad un più 30%.
- Gestione e programmazione aziendale per mettere in “fase” alcune operazioni energivore con le ore di effettiva produzione di energia solare.
- Sviluppo e diffusione di sistemi di accumulo (SDA) di energia elettrica. Gli SDA si stanno diffondendo rapidamente e certamente il settore agricolo potrebbe beneficiare di queste tecnologie ma il loro costo appare elevato e deve essere ben valutato il tempo di ritorno dell’investimento
- Progressiva «elettrificazione» del settore agrozootecnico che può realizzarsi, ad esempio, attraverso la sostituzione dei motori endotermici alimentati a gasolio, normalmente impiegati per azionare le pompe per l’irrigazione, con motori elettrici generando risparmi importanti alla luce dell’aumento dei prezzi del gasolio agricolo.
A questi interventi prettamente aziendali possiamo aggiungere la possibilità di partecipare e/o promuovere una Comunità energetica con altre imprese e soggetti per condividere l’energia prodotta. Le CER (Comunità energetiche rinnovabili) sono un elemento di punta nelle strategie del PNRR e possono costituire un’opportunità per “collegare”, nei distretti produttivi agricoli italiani, le imprese agricole con quelle agroindustriali, in queste ultime infatti i i consumi elettrici sono più elevati e continui.
L’agrivoltaico si configura come una opzione nella strategia di diversificazione del reddito agricolo ed anche di decarbonizzazione delle imprese in una ottica che va oltre il semplice investimento di una singola impresa ma guarda ad un territorio od un distretto favorendo l’inserimento degli impianti in un contesto produttivo che possa beneficiare dell’energia prodotta e fregiarsi anche di attestazioni che ne certifichino le scelte produttive “green”.
Tutto quanto descritto sopra può certamente realizzarsi dal punto di vista tecnico ma il quadro normativo attuale, in rapida evoluzione, lascia degli ampi margini di incertezza per investimenti che nascono in agricoltura per soddisfare le reali esigenze energetiche delle imprese. Le misure del PNRR ed i recenti decreti sul tema energia sembrano trascurare il settore agricolo come beneficiario privilegiato di tali sistemi che proprio per la loro denominazione “agrivoltaico” dovrebbero mettere al centro le imprese agricole e le loro produzioni.
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Sintesi dell’intervento dell’autore ad un evento tenutosi presso il Senato della Repubblica, l’11 luglio del 2022.