L’agricoltura ci salverà

L’agricoltura ci salverà

Desidero esprimere alcune considerazioni espressione di un anziano agronomo conduttore di azienda agraria nell’Oltrepò Pavese, impegnato nel sociale, georgofilo e Presidente Onorario della Società Agraria di Lombardia, l’Accademia lombarda dell’agricoltura.

Il difficile anno 2020 ha determinato alcune importanti modifiche al sistema socio-economico italiano causa l’epidemia da Coronavirus, con riflessi preoccupanti anche per il settore agricolo. La Pandemia ha messo in evidenza ciò che l’opinione pubblica e i media tendono a trascurare, ossia il ruolo determinante del settore nel garantire il primario diritto dell’uomo: la sicurezza alimentare.  Occorre che ogni Paese sia in grado di evitare di trovarsi nella situazione in cui si è trovato il sistema sanitario nazionale, carente di strumenti per evitare la diffusione del virus o apparecchiature per la cura dei casi più gravi. Se il comparto agricolo ha tenuto ed ha potuto procedere a fornire il cibo sufficiente alla cittadinanza, non per questo è stato esente da perdite economiche anche gravi in alcuni settori. Esse sono state originate dalla ridotta domanda per lo stravolgimento del settore ristorazione e ne hanno sofferto in particolare il settore uva-vino e florovivaistico, ma anche l’agriturismo. Il ruolo determinante e insostituibile del settore agroalimentare deve indurre a valutare con maggiore attenzione l’importanza del fattore produzione degli alimenti, pilastro della sicurezza alimentare e della qualità dei prodotti nel rispetto della sostenibilità ambientale nel processo di sviluppo economico del Paese, troppo spesso ostaggio di un ambientalismo di maniera. Se il fine di ogni azione umana deve essere rivolto migliorare il benessere socio-economico di una popolazione occorre la consapevolezza delle sfide da affrontare: crescita economica per sconfiggere la povertà e difesa dell’ambiente dove si vive e si lavora e ci si nutre. Ecco quindi l’interesse per l’agricoltura nel ruolo primario della produzione alimentare e in secondo luogo per la difesa del territorio.

Se osserviamo le sfide a livello globale le vere catastrofi sono la povertà, la fame, l’inquinamento, le malattie, fattori sui quali l’uomo può intervenire, sul riscaldamento globale antropogenico non vi sono certezze, ed è prevalente la nuova religione anticapitalista. Allora l’obbiettivo principale è la sicurezza alimentare, sconfiggere la fame, migliorare la nutrizione e contemporaneamente promuovere un’agricoltura sostenibile. Sconfiggere la fame ossia ridurre il popolo dei sottoalimentati nel mondo è un obbiettivo imprescindibile oggetto di reiterati tentativi e solo parzialmente raggiunto. Nel 1950 i sottonutriti erano circa 900 milioni di persone pari al 30% della popolazione del pianeta. Nel 2018 la percentuale è ridotta al 12%, ma essendo la popolazione cresciuta di altri 5 miliardi di persone, il risultato è ancora di circa 800 milioni di sottonutriti (dati FAO). Il progresso è dovuto alla lotta alla malaria e alla Rivoluzione verde della seconda metà del secolo scorso, proposta dall’agronomo Borlaug, iniziata nel Messico con l’uso dei fertilizzanti, delle nuove varietà genetiche prodotte in Italia e con l’uso mirato dell’irrigazione. Ma sconfiggere la fame nei paesi poveri non è un’azione a senso unico. L’obbiettivo non si raggiunge se parimenti non si combatte la povertà, le malattie endemiche come la malaria, e si controllano le guerre interne fra etnie e bande criminali. La povertà rende più difficile la difesa dell’ambiente. La decrescita è la fonte dei peggiori disastri.

Raggiungere la sicurezza alimentare è un corollario del punto precedente, ma non riguarda solo i PVS. Osserviamo il caso del nostro Paese in quanto qui il problema è grave e poco conosciuto e considerato. Il deficit agricolo italiano è preoccupante: perdiamo 14 miliardi ogni anno per importare gli alimenti che non produciamo necessari ai cittadini italiani rischiando il peggio nel caso di una crisi internazionale. Siamo infatti importatori netti di grano tenero e duro, di mais e soia per 10 miliardi di euro e di carne per 3 miliardi ogni anno. Su 12,7 milioni di ton. di mais per il consumo interno ne importiamo ben 6,9 mil. pari al 50%; importiamo il 64% di grano tenero e il 38% di grano duro; importiamo il 50% delle farine per mangimi zootecnici e per gli animali da compagnia. Si deve produrre di più. Questa è la lezione dell’epidemia in atto in Italia e in Europa. La politica agricola italiana ed europea hanno sempre ostacolato il fattore produttività delle aziende agricole italiane. Hanno imposto il set-aside, il green, l’obbligo delle tre colture nelle aziende produttive, imponendo la riduzione dell’uso di fitofarmaci efficaci, unico mezzo attualmente disponibile a difesa delle coltivazioni. Molto si è speso per una politica di aiuti e sviluppo delle coltivazioni biologiche che limitano la produzione unitaria, quindi in controtendenza per una politica produttiva, con generosi ristori dallo Stato e dall’UE a carico dei cittadini.

Tuttavia denunciare la carenza della produzione nazionale (fato che dovrebbe essere a conoscenza di ogni decisore politico con un minimo di competenza) non è sufficiente se non si passa a proporre mezzi e strumenti per aumentare la produttività della terra senza trascurare la necessità di minore impatto sull’ambiente e sugli ecosistemi agrari. Per produrre di più e mantenere la competitività economica occorre intraprendere la via del miglioramento delle tecniche aziendali e il miglioramento delle specie e cultivar vegetali. Le tecniche agrarie si possono migliorare con l’agricoltura di precisione, la semina su sodo, la meccanizzazione soft, l’era del digitale è entrata in agricoltura con l’uso del Gps, l’irrigazione intelligente. Tuttavia il grande salto di qualità può avvenire con il miglioramento genetico. La genetica applicata dopo le recenti scoperte del CRISP/Cas9 per la sintesi di molecole in grado di combattere i funghi, gli insetti e le erbe infestanti e di produrre cultivar autodifese dalle avversità atmosferiche è un mezzo idoneo all’aumento della produttività sostenibile.

Occorre innovare con la scienza. Negli ultimi decenni la visione di un pianeta con risorse illimitate è messa in discussione, mentre cresce la necessità di aumentare le produzioni alimentari per soddisfare la necessità di sfamare la popolazione del pianeta che nel 2050 raggiungerà nove miliardi di individui. Si aggiunga che l’urbanizzazione ha reso indisponibili molte terre prima coltivabili e nel pianeta si verificano fenomeni di progressiva salinizzazione come in Australia, o desertificazione o acidificazione come nelle zone tropicali. In queste condizioni è auspicabile il ricorso alla ricerca di soluzioni innovative per consentire l’irrinunciabile aumento delle produzioni alimentari. Già si è avviata la ricerca di fattori nuovi che consentano di registrare progressi nel campo della nutrizione delle piante. Un notevole contributo viene fornito dal miglioramento genetico grazie alle nuove tecnologie del “genome editing” ed altre in grado di orientare la ricerca verso nuove varietà più resistenti ai parassiti e agli stress ambientali.

Finora la capacità di esplorare il suolo e assorbire gli elementi nutritivi è stata poco indagata dalla genetica ed ora la scienza entra risolutamente in questo campo per intervenire e risolvere situazioni di difficili condizioni ambientali conseguenti ad esempio ai cambiamenti climatici in corso. Le linee di ricerca sono promettenti quanto inattese perché tendono a sperimentare le vie per estendere la capacità di sintetizzare composti azotati dai cereali ed altre colture come già avviene nelle leguminose. Altre promettenti ricerche riguardano il potenziamento degli apparati radicali per migliorare la loro capacità di espandersi nel terreno per esplorare una maggiore quota di suolo, in particolare in profondità, ed assorbire nutritivi ed acqua. Si desume chiaramente che tale modificazione consentirebbe la coltivazione delle piante in ambiti più aridi o più umidi. Altra linea della ricerca riguarda la possibilità di modificare le piante a ciclo annuale, in particolare i cereali, e trasformarle a ciclo perenne o quantomeno in piante a ciclo pluriennale con evidente riduzioni dei costi di produzione e impatto sull’ambiente. Dall’esito di queste ricerche dipenderà in buona misura la possibilità per l’agricoltura del futuro di soddisfare le esigenze dell’umanità. Se i risultati, come sembra, saranno pari alle aspettative si riuscirà a conciliare produzione e difesa dell’ambiente, produttività e sostenibilità, progresso tecnologico e accettabilità sociale. Oggi la scienza applicata ha aperto le vie per un sostegno al futuro prossimo dell’agricoltura e alla produzione del cibo per tutti. In questo settore occorre superare l’ostracismo ingiustificato verso la biotecnologia per ridurre il gap produttivo con i partner mondiali imposto da leggi antiscientifiche e antistoriche. E’ ora di consentire agli scienziati di immettere sul mercato il frutto dei loro studi di genetica applicata e agli agricoltori di coltivare ciò che consentirebbe di produrre di più con meno sia cereali che soia e frutta. E’ noto che molti prodotti ottenuti nel mondo con tecniche Ogm sono importati, lavorati e portati sulle tavole degl’italiani e concorrono a produrre i formaggi e i salumi vanto della qualità alimentare italiana. E’ un paradosso senza giustificazione.

Per quanto riguarda l’agricoltura sostenibile occorre considerare il concetto di sostenibilità: “soddisfare i bisogni della generazione attuale senza compromettere la possibilità di soddisfare i bisogni delle generazioni future”. Spesso viene identificata con quel sistema di coltivazione detto biologico o si fa riferimento alla progettazione di sistemi di produzione del cibo resilienti. Il ricorso sempre più esteso alle produzioni biologiche è frutto dell’illusione di avere prodotti più sani in quanto più cari per il consumatore abbiente del 50 % e soprattutto perché è diventato ormai un business accattivante. Su questo tema la strategia “Farm to fork” lanciata nell’ambito del “Green Deal” europeo ha posto fra i suoi obbiettivi quello di coltivare l’agricoltura biologica fino al 25% della superficie coltivabile. Impostazione pericolosamente controproducente. Considerato che i sistemi biologici riducono la produzione di alimenti almeno di un terzo, ne risulta una produzione di cibo ridotta con la necessità di nuovo terreno da coltivare, altre foreste da disboscare e per l’Italia maggiori importazioni agroalimentari con uno sbilancio previsto di 25 miliardi di euro all’anno e aumento dei prezzi al consumo. Sarà ancora più difficile raggiungere la sicurezza alimentare. La sostenibilità nell’agricoltura moderna si consegue con il miglioramento genetico e con agrotecniche precise nel tempo e nello spazio e deve avere valenza ambientale, sociale ed economica.

Sulle energie rinnovabili, tema spesso collegato alla sostenibilità ambientale, osservo che l’agricoltura produce energia elettrica e biogas con i biodigestori ormai molto diffusi nelle aree degli allevamenti zootecnici intensivi, sebbene occorre evitare di usare il mais come materia prima, prodotto già carente, da destinare piuttosto all’alimentazione zootecnica. Sulle energie rinnovabili atmosferiche, il vento e il sole molti anni di utilizzo hanno ridotto di poco il consumo degli idrocarburi sfregiando l’ambiente e sono costati all’Italia ben 240 miliardi in dieci anni di incentivi e gravano ancora per 12 miliardi di euro ogni anno sulle bollette delle imprese e delle famiglie italiane. Sempre sul tema delle energie rinnovabili si è riaperto il confronto su tutte le soluzioni che la scienza e la tecnica possono proporre per avere energia pulita. E’ tornato al centro del dibattito l’uso e la produzione di energia nucleare. Un gruppo di parlamentari europei ha presentato una mozione nella quale si afferma che l’obbiettivo dl raggiungere il CO2free nel 2050 si potrà ottenere solo con la rinascita del nucleare in quanto non saranno sufficienti l’energia solare e il vento e saranno necessarie tutte le sorgenti a basse emissioni di carbonio. In questo campo l’Italia ha già chiuso ogni prospettiva, mentre la Francia produce il 20 % dell’energia col nucleare e la vende anche a noi. Ricordo che vi sono 58 centrali nucleari a corona dei nostri confini alpini, e che nel mondo operano 443 Reattori nucleari e questa fonte fi energia è al quarto posto dopo carbone, gas e idroelettrico naturale. Il nucleare di terza generazione ha il vantaggio di essere sicuro, con zero emissioni e basso costo di esercizio, contro l’alto costo iniziale e il problematico trattamento dei rifiuti radioattivi.

Rientra nel tema delle rinnovabili l’ambizioso obbiettivo fissato dalla UE di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Si considera ciò possibile, seguendo le direttive del Trattato di Parigi, di abbattere le emissioni di CO2 nella convinzione sostenuta dall’IPCC che essa sia la causa prevalente dell’effetto serra e che sia prodotta dalle attività umane. Tale tesi non è dimostrata ed è sostenuta dai parametri elaborati dagli algoritmi in funzione di sibille in grado di prevedere il futuro. Noi agronomi, a conoscenza del metabolismo dei vegetali, non possiamo accettare tale tesi senza considerare che la CO2 è cibo per le piante che viene assorbita per produrre i propri tessuti emettendo ossigeno. Quindi è vita sia per le piante che per l’uomo, scienziati compresi. Si pensa anche allo stoccaggio della CO2, ma non vi è migliore stoccaggio di un campo di mais. Noto che gli autori meno condizionati dal pensiero unico mondiale ricordano le variazioni di temperatura globale durante il neozoico e il neolitico, quando l’uomo non bruciava petrolio, o il clima caldo dell’epoca dell’Impero Romano e del XIII secolo, mentre nel 1650/1750 si è registrata la cosiddetta “piccola glaciazione”.

A sostegno delle tesi esposte per ridurre la sottonutrizione si può condividere l’affermazione di Papa Francesco in occasione della cerimonia inaugurale del Consiglio Direttivo del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo: “Considerare i progressi nell’innovazione e nell’imprenditoria come elementi chiave per trasformare le comunità rurali e sradicare la malnutrizione”. E riguardo alla nostra situazione il Responsabile Agroalimentare di Nomisma, Denis Pandini ha affermato: “Non dobbiamo dimenticare che per molte derrate primarie l’Italia non è autosufficiente e negli ultimi dieci anni il nostro import agricolo è cresciuto del 55 % e la tenuta socioeconomica dei nostri territori è legata alla filiera alimentare”.

La politica agricola italiana non può quindi in alcun modo prescindere dalla competitività e produttività delle aziende agricole e nel tempo stesso non può esimersi dall’essere sostenibile.  Nello scenario che dobbiamo affrontare strumenti come le tecnologie del genere precision farming o il miglioramento genetico sono un insostituibile contributo verso un futuro accettabile.

Redazione Fidaf

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