La storia celebra i campi di battaglia nei quali l’uomo ha incontrato la morte, ma non sa raccontarci l’origine del grano

La storia celebra i campi di battaglia nei quali l’uomo ha incontrato la morte, ma non sa raccontarci l’origine del grano

L’agricoltura oggi è in grado di nutrire i 7 miliardi di persone che popolano il pianeta, utilizzando 1,5 miliardi di ettari di terreno, ossia poco più della superficie coltivata all’inizio del secolo scorso, quando il pianeta era abitato da 1,7 miliardi di persone e solo pochi potevano alimentarsi a sufficienza. Alla base di tale successo c’è il miglioramento genetico delle piante agrarie.
Esemplare è la storia del grano che meriterebbe una sua trattazione a parte, come scriveva il famoso entomologo francese Jean Henri Fabre : “La storia celebra i campi di battaglia nei quali l’uomo ha incontrato la morte, ma disdegna di parlare dei campi coltivati che sono alla base della sua prosperità; la storia ci annuncia i nomi dei bastardi dei Re, ma non sa raccontarci l’origine del grano. Questo è il senso dell’umana follia”.
Un tempo non esisteva il grano come lo conosciamo oggi, era come l’erba che cresce ai lati della strada, con spighette che, alla maturazione, si staccavano, “si disarticolavano” e cadevano a terra per assicurare la continuazione della specie. Spighette dotate di una specie di “trivella” che, avvalendosi del ciclo naturale “secco/umido”, consentiva loro di penetrare nel terreno, germogliare e produrre una nuova pianta.
Si può immaginare che agli albori della civiltà qualcuno abbia notato una spiga che rimaneva compatta, non si disarticolava; l’abbia raccolta e abbia seminato con cura i pochi semi in essa contenuti, ottenendo piante con spighe compatte che non disperdevano le spighette ed i semi. Nasceva l’agricoltura, probabilmente per opera di una donna, non impegnata nella caccia e certamente più interessata a un’attività di tipo stanziale. Cominciava così la selezione dei semi più belli, più utili alle necessità dell’uomo e sempre meno “naturali”!
Fin dall’inizio, l’agricoltura è stata una attività volta a soddisfare le esigenze dell’uomo e non funzionale alla legge naturale della conservazione della specie. Per oltre 10.000 anni, l’uomo si è adoperato, con scarso successo, per aumentare la produttività del grano, finalmente, nei primi anni del secolo scorso, quando in Italia la produzione media per ettaro oscillava tra 4 e 6 quintali per ettaro, l’agronomo Nazareno Strampelli, nato a Crispiero di Castelraimondo nelle Marche e laureato a Pisa in Scienze Agrarie, incominciò a incrociare diverse varietà di grano con l’obiettivo di ottenere, piante più precoci, più resistenti alle malattie, e soprattutto più basse, in modo da resistere al vento e alla pioggia. Di particolare aiuto fu una varietà di grano giapponese (Aka Komugi) che gli consentì di selezionare e ottenere grani bassi, precoci, resistenti alle malattie e più produttivi (oltre 60-70/quintali ad ettaro!). Egli combinò con gli incroci, tanta biodiversità che proveniva da grani francesi, olandesi, inglesi e giapponesi in un solo tipo, una sola varietà.
Fu l’inizio di una rivoluzione che si sarebbe estesa in tutto il mondo: i pro-pro-nipoti dei grani di Strampelli, forniscono attualmente due terzi dei 6 miliardi di quintali di grano annualmente prodotto. La rivoluzione del grano, accompagnata dall’analogo sviluppo delle altre colture, è stata favorita dalla meccanizzazione agricola, dall’impiego dei fertilizzanti e dei “fitofarmaci”.

di Luigi Rossi

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Redazione Fidaf

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