La situazione della coltura del mais in Italia dopo Expo 2015
Ad oltre un anno dall’inaugurazione di Expo 2015, conclusa con la sottoscrizione della Carta di Milano da parte dei Paesi partecipanti e con la fitta serie di dichiarazioni d’intenti, mirate a conseguire l’obiettivo fondamentale di garantire un equo accesso al cibo a tutti, il mondo degli agricoltori si ritrova a fare da sé i conti di sempre, cercando ispirazione nella vasta nebulosa di riflessioni e proposte che gli arrivano da quella che è oggi l’informazione in agricoltura in Italia.
E si era parlato anche di Mais nelle intense e febbrili giornate che hanno caratterizzato la seconda parte dell’Expo milanese, dai primi di settembre, quando sono scesi finalmente in campo i produttori europei associati nella Confederazione Europea della Produzione di Mais (CEPM) , di cui fa parte anche l’Associazione Maiscoltori Italiani (AMI), efficacemente guidata da quindici anni dal dottore agronomo Marco Aurelio Pasti di Eraclea (Venezia), uno dei più noti esponenti della grande Famiglia di bonificatori e di valenti agricoltori del Basso Piave.
Oltre all’AMI italiana, la CEPM rappresenta oggi una decina di Paesi della UE 28, praticamente la totalità dei 15 milioni di ettari coltivati a Mais in Europa.
Lunedì 7 settembre, presso il Padiglione dell’Unione Europea, la CEPM ha presentato un’originale relazione sulla coltura del Mais di Sylvie Brunel, una docente dell’Università degli Studi parigina della Sorbona, geografa e scrittrice, dga anni impegnata sui temi della fame nel mondo e dello sviluppo sostenibile.
Nella presentazione dell’evento, il Presidente della CEPM Cristophe Terrain aveva sottolineato la grande opportunità dell’Expo milanese che, con il tema della Nutrizione del Pianeta, poneva l’agricoltura di fronte alla scena mondiale, rappresentata dai 20 milioni di visitatori attesi.