La grande nebulosa del “vero o falso” ha inglobato anche la Scienza
Anche in Italia, come in molti altri contesti del mondo, si sta ragionando su di un tema che solo alcuni anni fa sarebbe stato impensabile: le informazioni false in ambito scientifico. Il problema non era del tutto sconosciuto, ma certamente era assai contenuto rispetto al dilagare delle informazioni di oggi che hanno messo sotto accusa la scienza e, soprattutto, hanno contribuito a destituire l’attività scientifica di ogni pretesa di verità oggettiva. Il dato scientifico viene criticato e sottoposto a dileggio come qualsiasi altro. Siamo quindi di fronte ad una “fine della scienza”? Il dato scientifico è opinabile di per sé, senza ricorrere alla faticosa dimostrazione sul piano sperimentale? Cosa è avvenuto di così importante da rompere un rapporto fiduciario che ha resistito per secoli? Sono alcuni degli interrogativi che Shanto Iyengar della Stanford University (California) e Douglas S. Massey della Princeton University (New Jersey) si sono posti, elaborando l’articolo che è apparso su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) del 26 novembre 2018.
Il titolo del loro lavoro è chiaramente esplicativo: “Scientific communication in a post-truth society” *. In altre parole, la nostra società è ormai proiettata a “superare o andare oltre” la verità; per questo motivo la comunicazione scientifica ne deve tener conto.
Abbiamo sostenuto, per molti anni -sin dalla fine degli anni ’80 del secolo passato- che i ricercatori dovevano imparare a comunicare al pubblico i loro risultati, affinché alcune grandi tematiche a forte componente scientifica, ma di interesse generale, fossero ben comprese da tutti. Questo aspetto rimane valido, ma si è aggiunta una nuova questione che, se vogliamo, rende ancora più arduo il problema; si tratta della volontà di alterare la veritiera comunicazione dei fatti, così come praticato, con una certa frequenza, sia dai mezzi di comunicazione che da parte della politica, negli ultimi trenta anni. La domanda diviene pertanto: cosa è accaduto, durante gli anni ’80, di così rivoluzionario da non consentire più un controllo adeguato sulla verità delle notizie comunicate? Nell’articolo citato l’accadimento fondamentale, negli USA, è rappresentato dall’affermazione delle TV via cavo e dal moltiplicarsi dei “Talk show”. Contemporaneamente cessa il controllo, da parte della Commissione Federale per le Comunicazioni, sui programmi televisivi e radiofonici che vennero pertanto liberati dal vincolo di essere “factual and honest”.
A partire dagli anni ’90 anche Internet è diventato uno dei maggiori fornitori di notizie e informazioni e la sua influenza sul pubblico è stata amplificata dalla nascita dei “social media” come LinkedIn, Facebook, YouTube, Twitter, Instagram, Snapchat. A seguito di questi eventi è stato reso disponibile, a chiunque avesse accesso alla rete, un numero incalcolabile di dati e notizie, talmente elevato da rendere molto difficile -se non impossibile- la verifica della loro veridicità. Negli USA hanno tentato di dare una misura di quanto fossero vere le affermazioni di personalità coinvolte, a vario livello, con la politica. E’ nato un sito web specializzato, PolitiFact, che ha fornito risultati non incoraggianti in quanto è stato verificato che sia la CNN che Fox News -due grandi emittenti di opposte tendenze politiche- diffondevano notizie del tutto o parzialmente false in percentuali variabili dal 27%, per la prima, al 59%, per la seconda. Questo fatto dà un’idea della confusione che esiste nella rete, senza tener conto che gli algoritmi che sono a disposizione di chi gestisce i siti, possono “elaborare” le varie notizie restringendo l’informazione cui l’utente può accedere, limitandola a quella desiderata. In altre parole, le “macchine” possono attirarci in un vortice di notizie pre-selezionate. In tal modo, tanto per fare un esempio, YouTube, con il suo miliardo di utenti, può essere considerato come un potenziale strumento di informazione “orientata”. Infatti si parla ormai da tempo di notizie false e gli Statunitensi, amanti delle definizioni, ne distinguono ben tre tipi: le “fake news” notizie costruite appositamente per sostituirsi alla verità; le informazioni fuorvianti, quelle messe in circolazione per creare allarme o confusione; infine le disinformazioni, informazioni false che vogliono ingannare.
La diffusione di notizie erronee interessa ormai anche l’attività scientifica, tanto da far variare l’atteggiamento della pubblica opinione verso la scienza. Un dato, abbastanza sorprendente, rilevato negli USA, segnala che nel 2016 coloro che esprimevano totale fiducia nella comunità scientifica erano solo il 40%, che si riduceva ad un modestissimo 28% tra coloro privi di un diploma di maturità mentre raggiungeva il 61% tra coloro che avevano conseguito un titolo di studio universitario. D’altro canto, nel clima culturale della società statunitense, analogamente a tante altre società occidentali, non sorprende che la fiducia nella scienza sia diversa a seconda della ideologia professata; esiste cioè una polarizzazione ideal-politica che ha un forte impatto sulla comunicazione scientifica. Potremmo dire che una comunicazione è sana e efficace quando si basa su fonti attendibili e su dati comprovati. Sembrerebbe ovvio; tuttavia, nelle attuali società polarizzate, i fautori di una parte non vedono quelli dell’altra parte come soggetti dialoganti, ma come oppositori imbevuti di ideologie minacciose sul piano esistenziale. E’ questo un processo che ha avuto una accelerazione nelle prime due decadi del 21° secolo.
Una delle cause che ha facilitato la polarizzazione risiede nella “rivoluzione digitale” causa, a sua volta, di profonde modifiche nella comunicazione. A fronte dei pochissimi “provider” di qualche lustro fa, oggi il mercato offre dozzine di gruppi che convogliano informazioni sui vari aspetti dell’attualità senza che sia stato effettuato alcun “editorial gatekeeping”. Per cui può essere prescelto quel “provider” che trasmette notizie in linea con le proprie, senza preoccuparsi della loro accuratezza. Questo processo, protrattosi per molto tempo, ha abituato percentuali sempre più consistenti di cittadini a respingere quelle informazioni e quegli argomenti che si scontrano con la propria visione del mondo, così che, invece di analizzare criticamente le informazioni ricevute, si preoccupano di proteggere le loro opinioni dalle minacce esterne. Pertanto se un dato, o una notizia o un evento, contrasta con quella visione, viene respinto o distorto, impedendo in tal modo la verità “scientifica”.
Concludendo, l’analisi di PNAS si basa sulla constatazione che il 1970 rappresenta un discrimine per quanto riguarda si la modalità dell’informazione che la predisposizione del pubblico verso le notizie. Dopo quella data si sono verificate modifiche strutturali così profonde, nell’ambito dei media, da rappresentare una vera e propria deregolamentazione delle radiotrasmissioni, tramite l’inizio della TV via cavo, dell’avvento di Internet, della diffusione e della crescita incontrollata dei “social media”. Queste modifiche hanno avuto varie conseguenze, una delle quali -assai preoccupante- è la polarizzazione del modo di pensare che va alla politica, sino ai vari aspetti della vita, ivi inclusa la ricerca scientifica, dove anche qui si registra, e era impensabile alcuni decenni fa, una continua e crescente animosità di parte. La conseguenza è che anche la scoperta scientifica (pensiamo ai cambiamenti climatici, alle trasformazioni genetiche o ai vaccini), entra nei media, ma frequentemente associata a “fake news” e disinformazioni varie. Per cui la notizia viene rifiutata come falsa o assorbita come vera a seconda della personale “predisposizione”.
L’impressione è che, nonostante queste analisi, il futuro della buona informazione sia alquanto incerto. D’altra parte un buon governo della comunicazione sembra molto difficile, anche a causa dell’esistenza di enormi interessi che dovrebbero essere contrastati. In concreto: ci sono rimedi per intervenire in una società ormai tribalizzata? PNAS propone che le organizzazioni scientifiche dovrebbero creare apposite strutture con lo scopo di verificare tutte le informazioni in modo da intervenire immediatamente, appena si rileva una notizia scientifica falsa, con una controinformazione adeguata. Visto il diffuso livello di confusione esistente, anche nella informazione scientifica, quanto ci viene proposto da PNAS forse è l’unica cosa da fare, senza aspettarsi, però, risultati eclatanti. Il danno, se così si può dire, è stato fatto; ripararlo è molto impegnativo.