L’ insostenibile incoerenza del dibattito sul CETA
A breve l’Italia dovrà esprimersi sulla ratifica di un accordo commerciale con il Canada, il CETA, improvvisamente portato all’attenzione generale ai primi di luglio da una serie di prese di posizione prevalentemente negative. Prima di chiederci se si sia trattato della classica vampata estiva, che non è esclusa, e insospettiti per l’immediata eco politica cerchiamo di orientarci sul tema. Partiamo dal canto del cigno del Gatt che chiudeva la sua missione con il risultato dell’Uruguay Round e apriva una seconda fase degli accordi multilaterali con l’avvio della Wto animata da speranze rivelatesi eccessive. Questi accordi si stringono fra un numero elevato di paesi e i risultati vengono estesi di fatto a tutti. Ma la crisi si è incaricata di accantonarli e aumenta le difficoltà relative all’ampliamento degli scambi mentre acuisce la necessità di proseguire la liberalizzazione per ridare fiato all’economia. Una soluzione è stata ricercata attraverso la proliferazione di accordi bilaterali e regionali o mega regionali con un numero ridotto di contraenti. A questa categoria appartengono i negoziati come il TPP e il TTIP, oltre al CETA fra Ue e Canada e a quello fra Ue e Giappone.