LE TERRE DEL RISO

LE TERRE DEL RISO

IL TERRITORIO

“Fraterna, schiva e umida è questa terra, d’angoli e riquadri senza limiti….. d’agricolo rigore!

Così Giorgio Sambonet, industriale, designer e poeta vercellese descrive la terra del riso.

Il viaggiatore che si sposta da Milano a Torino, poco dopo aver oltrepassato il Ticino, incontra un paesaggio strano nella sua unicità, fatto appunto di angoli e riquadri senza limiti, fino a raggiungere la Dora Baltea. I riquadri sono terrazze livellate alla perfezione, e contornate dagli arginelli destinati a contenere l’acqua, un tempo tracciati a seguire le curve di livello, poi resi rettilinei per favorire il lavoro delle macchine. Sono le terre del riso italiano, protette dal grande anfiteatro delle Alpi occidentali, che dirottano i venti freddi settentrionali e permettono ad una pianta tropicale come il riso di adattarsi alle nostre latitudini, più elevate di quelle dove è nato. Oltre che madri, le Alpi sono matrigne: questa pianura “alluvionale” è stata appunto generata da ricorrenti alluvioni, che hanno eroso la montagna trasportandone a valle i detriti, fino a scacciare il mare che in precedenti ere geologiche la occupava. Il regime idraulico del territorio è sempre stato ostile agli insediamenti umani: le piene dei fiumi principali e degli innumerevoli torrenti e corsi d’acqua secondari, liberi di divagare nella pianura, causavano allagamenti ricorrenti. Le acque si impaludavano negli avvallamenti, creando zone umide, alimentate anche dalle diffuse risorgenze della falda freatica. La piovosità media del territorio, abbondante in primavera ed autunno, ed avara nei mesi estivi, consentiva scarsi raccolti nelle zone rilevate, poste al riparo dalle alluvioni.

Colonizzare questo terreno non è stato facile per l’uomo, che ha dovuto comportarsi da conquistatore. Dapprima ha tracciato canali di scolo per svuotare le aree paludose, poi ha scavato i fontanili per incanalare, ed utilizzare per l’irrigazione, le acque risorgenti. Ma i risultati della coltivazione di frumento, orzo, segale, e dei foraggi per il bestiame rimanevano comunque magri.

Nel XIII secolo, quando il mais ed il riso erano ancora sconosciuti, le derivazioni dei canali da fiumi e torrenti servivano precipuamente per la forza motrice ed i trasporti, ed anche per ottenere migliori e abbondanti foraggi. Nelle stagioni estive ed invernali i fiumi, allora come ora, talora entravano in magra, tanto che le cronache riportano addirittura una guerra, scoppiata in quel secolo, tra il libero Comune di Vercelli ed i Conti di Biandrate, per una disputa sulle acque della Sesia. La coltivazione del riso, introdotta in un tempo indeterminato tra il quattordicesimo ed il quindicesimo secolo, fu la soluzione ideale per poter coltivare i terreni intrisi d’acqua. I primi tentativi furono fatti dai pastori transumanti, che lo seminavano nelle paludi durante il loro tragitto verso gli alpeggi, e lo raccoglievano al ritorno verso i ricoveri invernali. In base a quegli esperimenti, i pochi abitanti stanziali iniziarono successivamente la coltivazione vera e propria. Per ottenere il controllo totale della disponibilità idrica, oltre alla bonifica iniziarono ad ampliare l’irrigazione estiva. Nel tempo molti canali furono scavati: tra gli ideatori ed artefici possiamo elencare numerosi personaggi importanti: Mercurino Arborio di Gattinara, i Marchesi del Monferrato, Ludovico il Moro, Leonardo da Vinci, Camillo Cavour, Carlo Noè, e molti altri.

Il lavoro secolare mutò totalmente la situazione dei luoghi, scavando 15.000 km di canali grandi e piccoli, e terrazzando il terreno in una infinità di riquadri, detti “camere”.  I primi risicoltori intuirono la potenzialità dei terreni e di una precisa irrigazione per la coltivazione del riso, molto prima che le attuali statistiche lo certificassero: attualmente nel mondo circa la metà delle terre coltivate a riso dispone di sistemi irrigui, l’altra metà dipende dalle piogge, in prevalenza monsoniche. La prima metà produce i ¾ del riso, l’altra solo ¼: è valsa quindi la pena di tutto quel lavoro. Il riso è una pianta molto duttile, può crescere in terreni sia umidi, sia sommersi, adattandosi mediante lo sviluppo di canali aeriferi che dalle foglie portano l’aria, quindi l’ossigeno, necessario, alle radici. Nella coltivazione del riso servono, con le tecnologie attuali, circa 20 ore di lavoro per ettaro, delle quali 10 per la coltivazione vera e propria, e le altre 10 per la manutenzione dei canali aziendali, argini, scoline, livellamento delle camere, controllo dell’irrigazione.  Inoltre per il funzionamento del sistema irriguo consortile, a partire dalla tassa di derivazione dai fiumi, a seguire con la manutenzione dei canali principali e della loro regolazione, tutti i costi sono a carico dei risicoltori, per un importo stimato di 500 €/ettaro. Queste attività sono anche utili per la gestione idrologica del territorio, a vantaggio di città e paesi del comprensorio, che ne beneficiano gratuitamente. L’introduzione della meccanizzazione nella risicoltura ha reso conveniente l’ampliamento della superficie delle camere. La lunghezza di 90 metri delle passate, utili per i cavalli che potevano rifiatare durante le svolte, è cresciuta a 300 metri e oltre, perché le macchine non hanno necessità di rifiatare, ma sprecano tempo e gasolio durante le svolte. Le camere di grandi dimensioni permettono di ridurre lo sviluppo dei canali d’irrigazione, quindi i costi della loro manutenzione e l’occupazione di superfici improduttive.

IL VALORE DELL’ACQUA

L’acqua dolce non si consuma, la si sporca tramite gli usi domestici, le attività industriali ed agricole, impedendone il riuso, se non tramite sistemi di depurazione efficienti. Oppure finisce nel mare, diventa salata e non idonea ai nostri usi. La fitta popolazione richiede molto cibo, producibile in quantità grazie all’uso irriguo dell’acqua, ma anche molta acqua per usi domestici ed industriali che contribuiscono a sporcarla. I sistemi di depurazione, almeno in Italia, lasciano a desiderare, quando non mancano del tutto. Dal prossimo gennaio, entrerà in vigore il “deflusso ecologico” che impone, tramite la limitazione dei prelievi irrigui, un maggiore deflusso nei fiumi, in grado di diluire gli inquinamenti per ottemperare ai limiti di legge. Ma la limitazione dell’irrigazione riduce la produzione di cibo… Si stima che il ciclo dell’acqua, dalla evaporazione alla formazione delle nuvole e delle piogge duri due settimane. Si prevede che il riscaldamento climatico porterà ad un incremento di evaporazione, capienza di vapore acqueo nell’atmosfera, quindi di piovosità. Ci sarà una maggior frequenza di piogge molto intense, che insieme alla mancata manutenzione di fiumi e torrenti creano un’intensificazione delle alluvioni. Un esempio di danni dovuti alla mancata manutenzione di un torrente si è verificato lo scorso ottobre, dove il sovrappasso del Canale Cavour sul torrente Cervo è stato danneggiato da una piena: un pilastro dei sei che reggono il ponte-canale è stato danneggiato dalla furia dell’acqua che ne ha scavato le fondamenta. Il manufatto, costruito 155 anni fa, si compone di 7 campate, che hanno finora smaltito tutte le piene del torrente. Ma negli ultimi 30 anni il torrente non ha ricevuto manutenzioni, per cui 4 delle sette campate sono state ostruite da depositi ghiaiosi ricoperti da sterpaglie quasi fino alla sommità. L’acqua si è accumulata contro il ponte, allagando anche la vicina autostrada A 4; la pressione si è sfogata sulle tre campate ancora pervie, approfondendo il fondo del torrente fino a scoprire le fondamenta di un pilastro che ha ceduto. Il ponte-canale, che è rimasto in piedi grazie a progettazione e realizzazione impeccabili, è stato riparato prima dell’inizio della campagna irrigua 2021dalla Coutenza Canali Cavour, composta dai Consorzi Irrigui Ovest ed Est Sesia, che hanno anticipato i 7 milioni di € necessari, in attesa del finanziamento che compete alla Regione Piemonte, ad oggi non ancora versato. Il disastro è tutto da attribuire al cambiamento climatico, o sarebbe bastato mantenere pervie tutte le sette campate per scongiurare i danni? 

Come dimostra questo episodio molto rappresentativo, il valore dell’acqua può passare da molto negativo in caso di eccedenza, a molto positivo in caso di siccità. Non potendo controllare le piogge, si può reagire integrando due attività: mantenere efficiente la rete di scolo, dai rigagnoli ai fiumi, e costruire invasi in grado di accumulare le acque in eccesso, per utilizzarle in caso di necessità. Creare invasi in territori poco popolati sarebbe facile, lo sarebbe molto meno nella pianura Padana che sostiene una densità abitativa superiore all’India. Dove trovare gli spazi? In effetti, la zona risicola già presenta un invaso sotterraneo, senza sbarramenti né rischi di cedimenti, composto dalla sommersione delle risaie e dal rimpinguamento delle falde, che all’inizio della sommersione si innalzano in tutto il territorio dalla profondità media di -3,5 a quella di -0,5 ÷ 0 metri rispetto al piano di campagna, con un accumulo di 1,736 miliardi di mc. Questo si ottiene solo sommergendo le risaie nel periodo di aprile e maggio, quando il valore dell’acqua è basso, grazie allo scioglimento delle nevi della bassa montagna ed alla piovosità media della primavera molto elevata. L’accumulo viene restituito al Po da metà agosto in avanti, quando generalmente i fiumi sono in magra e la parte orientale della Pianura Padana ha grandi esigenze irrigue, quindi il valore dell’acqua è elevato. 

IL “CONSUMO” DELL’ACQUA

Con il crescere dell’attenzione mediatica al cambiamento climatico, quando si è svolta l’EXPO 2015 alcuni giornalisti hanno scoperto nel padiglione del riso uno scritto che dichiarava il “consumo” di mille litri di acqua per produrre un kg di riso. Si è creato uno pseudo-scandalo, come se quell’acqua sparisse dal mondo. Naturalmente lo scritto si riferiva all’acqua traspirata dalla pianta del riso, che come tutte le altre si nutre tramite l’assorbimento della soluzione circolante nel terreno. Da questa, la pianta assimila i sali minerali, e introduce in atmosfera vapore acqueo, che entrando nel circolo dell’acqua viene restituito con la rugiada e le piogge. Le altre graminacee, frumento, mais ed orzo, hanno un comportamento molto simile, quindi non serve scandalizzarsi: l’acqua non viene consumata dall’agricoltura, solo utilizzata.

L’ACCORTO UTILIZZO DELL’ACQUA

Il metodo di sommersione perfezionatosi in sei secoli ha sviluppato la tecnica di riutilizzo dell’acqua, che viene fatta scorrere lentamente sui campi. Esperienze annuali eseguite su di una camera estesa su di un ettaro, forniscono i seguenti risultati: ingresso mc 33.500; percolazioni in falda mc 4.200; scarico recuperato (in loco denominato colature) mc 24.500 (73% dell’ingresso); evapotraspirazione mc 4.800. Le percolazioni in falda, oltre a fare accumulo per i mesi di agosto e settembre, risorgono nei fontanili e vengono in parte riutilizzate, mentre le colature vengono addotte ai campi sottostanti e riutilizzate più volte. In totale i consorzi irrigui derivano dai corsi d’acqua 230 mc/s e ne somministrano ai territori 600 mc/s.

Il metodo della distribuzione, un tempo applicata dagli affittuari del Demanio statale (si parla ancora del Regno di Sardegna), lasciava molto a desiderare: nessuna misurazione né controllo e recupero delle colature. Il Conte Camillo Cavour, dal 1850 Ministro di Agricoltura e Commercio, oltre che gestore di 1008 ha di terreni di risaia intorno a Leri, era scontento di quella gestione nelle vesti di agricoltore e di Ministro che sentiva le lamentele dei suoi Amministrati. Dopo alcuni sondaggi propose di assegnare ad una associazione di agricoltori la gestione dell’irrigazione. Incaricò un gruppo di esperti della stesura di uno statuto, e nel 1853 riuscì a far approvare in Parlamento la legge costitutiva, che fu messa in atto dalla primavera 1854.  L’adesione fu volontaria da parte di 3.500 agricoltori. Lo Statuto, ancora in vigore oggi con modifiche marginali, prevede di suddividere il territorio in Distretti, corrispondenti all’incirca ai territori comunali, per ognuno dei quali vengono votati dagli utenti un Consiglio Direttivo ed un Presidente. L’Assemblea dei Presidenti distrettuali elegge il Consiglio Direttivo ed il Presidente dell’Associazione, e li controlla approvando i bilanci e le decisioni più importanti. Lo Statuto prevede che a novembre gli utenti dichiarino al loro Distretto le colture che intendono seminare l’anno successivo, ed entro gennaio ogni Distretto richiede la portata di acqua ritenuta necessaria. Il canone irriguo da corrispondere all’Amministrazione centrale è proporzionato alla portata richiesta.  Inoltre, lo Statuto obbliga tutti gli utenti e restituire le colature in luogo utile al riutilizzo da parte dell’Associazione. In questo modo si superarono le carenze dimostrate dagli affittuari dei canali demaniali, che non misuravano le portate e non si curavano di recuperare le colature. L’Associazione Ovest Sesia, e l’Associazione Est Sesia, fondata nel 1922, hanno insieme costituito nel 1981 la Coutenza Canali Cavour, alla quale è stata affidata la gestione diretta di tutti i canali demaniali della zona.

Entrambe, a partire dalla fine del secolo scorso, hanno installato sui canali molte centraline idroelettriche, per una produzione di 264 milioni di Kwh annui, riducendo le corrispondenti emissioni di CO2.

In tempi più recenti, sono state fatte sperimentazioni per migliorare ulteriormente l’utilizzo dell’acqua, limitandone l’introduzione in risaia:

1 LA SEMINA INTERRATA A FILE

Dopo alcuni anni di sperimentazione si è diffusa la semina interrata a file su terreno non sommerso, specie in Lomellina. Quando il riso emette la terza foglia lo si sommerge continuamente fino alla fine del ciclo. Si risparmia l’irrigazione nei mesi di aprile e maggio, quando il valore dell’acqua è basso, vista la piovosità del periodo e la morbida dei fiumi per lo scioglimento delle nevi in bassa montagna. Per attivare il rimpinguamento delle falde ed il massimo delle colature in tutto il territorio servono in media 40 giorni, mentre a metà giugno tutte le risaie seminate a file interrate, ed i campi di mais, iniziano contemporaneamente a richiedere l’irrigazione, in quantità superiore alle portate dei canali. Allora l’acqua diventa preziosa, non essendo in grado di soddisfare tutti.

2 LA SOMMERSIONE ALTERNATA

Nel 2005 l’Istituto di Idraulica Agraria dell’Università di Torino sperimentò una tecnica di sommersione alternata, confrontando due camere contigue, una irrigata in sommersione continua, e l’altra in sommersione alternata. In questa, fu chiuso lo scarico; venne allagata al livello di 12 cm, poi si chiuse anche l’ingresso. Ogni volta che la camera si asciugava, ed il potenziale di matrice nella zona radicale raggiungeva il valore di -35 ÷ -45 KiloPascal, fu ripristinato il livello di sommersione a 12 cm. L’operazione fu ripetuta in media ogni 8 ÷ 10 giorni per tutta la stagione irrigua.  Risultati: risparmio di immissione del 60%, riduzione della produzione di risone dell’8%. Ma non si produsse nessuna colatura, e si ebbe una riduzione significativa della percolazione in falda. Il commento dello sperimentatore, ing. Lorenzo Allavena, fu che, se la tecnica fosse stata applicata su vasta scala, sarebbe stato necessario a livello aziendale ridurre le dimensioni delle camere, scavare nuove canalizzazioni ed ampliare quelle esistenti, mentre a livello comprensoriale modificare radicalmente la rete per adattarla alla distribuzione in assenza di colature.

3 LA SUBIRRIGAZIONE

La regione Lombardia negli anni 2017 e 2018 finanziò una sperimentazione di subirrigazione, su tre piccole camere di risaia, in tre siti diversi. Si interrarono a circa 30 cm di profondità una serie di tubi di plastica, del diametro di mezzo pollice, con forellini per la somministrazione dell’acqua. Furono posati in parallelo, distanziati tra loro di 80 cm, e fatti sbucare in una fossa in testata, dove furono collegati ad un tubo di adduzione principale. Una motopompa prelevò l’acqua da un canale d’irrigazione, la spinse a 3,5 bar in una serie di filtri, e poi al tubo di adduzione.  La motopompa venne messa in funzione ogni volta che il potenziale di matrice scendeva ad una soglia prefissata, simile a quella citata per la sommersione alternata. Ogni camera fu divisa in due parti, una con pacciamatura di plastica biodegradabile per controllare le infestanti, l’altra diserbata. In entrambi i casi, senza sommersione il controllo delle infestanti fu insufficiente. Il risparmio idrico fu notevole: fu somministrato solo il necessario per l’evapotraspirazione, 5.000 mc/ha.

Nessuna colatura, nessuna infiltrazione in falda. A livello comprensoriale, se la tecnica venisse applicata in grande scala, sarebbe necessaria una completa revisione della rete irrigua, e verrebbe a mancare il rimpinguamento delle falde, con il conseguente accumulo delle riserve idriche.

L’IMPATTO AMBIENTALE

L’analisi dei costi rilevò che, per coprire le spese richieste, il prezzo del risone dovrebbe raddoppiare. Il consumo del gasolio per le motopompe, che spinsero l’acqua a 3,5 bar, pari a 35 metri di altezza, equivalse a tutto il gasolio necessario alla coltivazione ed essiccazione del risone prodotto, per un impiego di energia pari a 4,8 MJ per ogni kg di riso lavorato. Non disponiamo di una analisi LCA (Life Cycle Assesment), che dovrebbe aggiungere gli impatti ambientali della produzione, interramento, recupero e smaltimento, ogni venti anni, di 11,5 chilometri di tubazioni per ettaro e delle motopompe.  Se li confrontiamo con i 15,72 MJ che risultano da una analisi LCA sul riso lavorato e trasferito al consumo, dal punto di vista ambientale non sarebbe conveniente. Se poi osserviamo la LCA della sola cottura di 1 kg di riso, scopriamo la necessità di 28 MJ: il consumo energetico maggiore. Dove sarebbe utile indirizzare la ricerca, per ridurre l’impatto ambientale della filiera risicola?

Redazione Fidaf

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