GLI ALBERI “INUTILI”. Emozioni da un indimenticato passato

GLI ALBERI “INUTILI”. Emozioni da un indimenticato passato

Chi ha una memoria antica di un dato ambiente rurale può cogliere le profonde differenze segnate dalla rivoluzione tecnologica, che ha coinvolto anche il settore agricolo, cancellando secolari sistemi di lavorazione, diffuse tradizioni, condizioni particolari di vita.

Ritorno ormai raramente alla città avita – Lucera – e noto, forse anche per questa ragione, quei cambiamenti marginali, ma assai significativi, che a molti, di norma, sfuggono.

Ho così constatato che vanno scomparendo del tutto i radi alberi che punteggiavano la piatta campagna del Tavoliere delle Puglie, stagliandosi – nei torridi mesi estivi – in un orizzonte assai ravvicinato dalla caligine, che unisce cielo e terra. Alberi infruttiferi – querce e olmi, in genere – che sottraevano poco terreno alle coltivazioni e non intralciavano i pesanti lavori dell’uomo, aiutato – non sempre – da irrequieti cavalli o da pazienti muli.

La semina del grano era assecondata dall’aratro, al pari di quella dei legumi (fave, di norma) sul maggese : riposo – “sabbatico”, quasi – offerto ai terreni, dopo più anni di investimenti a cereali. Ma le assai rare concimazioni, la pulitura dei seminativi dalle erbe infestanti, la mietitura, la legatura dei covoni, la estirpazione delle fave e delle altre leguminose, venivano eseguite manualmente.

Lavorazioni – queste – tutte pesantissime, effettuate la gran parte sotto il sole cocente, da braccianti che si giovavano – per brevi soste – del prezioso refrigerio dell’ombra degli alberi “inutili”, spontanei, ma ben salvaguardati.

A molti saranno apparse inspiegabili le ragioni della conservazione e della cura riservata, in passato, ad alberi improduttivi ed anche un po’ fastidiosi per le lavorazioni delle coltivazioni ; ma soltanto perché ignoravano che essi offrivano l’unico ristoro a lavoratori sfiniti, che iniziavano il lavoro all’alba e terminavano dopo una giornata assai lunga. Una protezione, naturale ed efficace, contro il sole implacabile, utile anche per la pausa per consumare il magro pranzo ; una pausa che favoriva la indispensabile ricarica per affrontare le non poche ore di lavoro pomeridiano, sotto un sole sempre più cocente, che provocava sudorazione disidratante e agevolava il lavorio di  mosche sempre più accanite.

Ulteriore conforto – pur’esso indispensabile – era costituito dalla borraccia, quasi sempre di legno, dalla quale – a turno – era consentito bere parsimoniosi sorsi d’acqua, calda e inaffidabile, perché generalmente attinta da pozzi mal curati.

Lo stressante lavoro dei braccianti e dei contadini iniziava alle prime luci dell’alba, raggiungendo il campo a piedi o su traballanti “carrettoni” – sui quali era pressoché impossibile riprendere il sonno troppo presto interrotto – e si concludeva in coincidenza con le prime luci accese in città. Giornate lunghissime, che si giovavano del beneficio dei rari ristori offerti dagli alberi “inutili”.

La meccanizzazione dei lavori agricoli ha cancellato il ruolo da essi svolto per secoli. I possenti motori e le moderne mietitrebbie – dotate quasi tutte di aria condizionata – hanno imposto, anzi, di eliminare siffatti ostacoli al loro inarrestabile incedere.

Arrivo a Lucera con sempre minore frequenza e noto, con crescente rammarico, che i radi alberi della mia lontana giovinezza sono stati definitivamente eliminati dalla meccanizzazione, in quanto costituivano un impaccio per le sofisticate macchine agricole, che hanno sostituito, per fortuna, i dannati della zappa e della falce.

MONDRIAN - L'albero rosso

Autore : Nicola Santoro

Un pensiero su “GLI ALBERI “INUTILI”. Emozioni da un indimenticato passato

  1. La scomparsa degli alberi porta alla graduale mortalità degli esseri umani sul pianeta, a cui proprio gli alberi avevano preparato e favorito la comparsa. E che dire della perdita di bellezza, di armonia, di benessere e sensibilità che la Natura e l’Albero hanno portato nello sviluppo della civiltà e cultura umana? non resta che vivere e assistere ad un graduale impoverimento nello imperdonabile silenzio da parte di amministrazioni pubbliche e potere politico o piuttosto sollevare dei movimenti civici e di volontariato che denuncino la gravità del fenomeno?Di fronte ai giovani, alle nuove generazioni, a cui neghiamo il rapporto e il godimento della natura possiamo chinare il capo senza reagire?

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