Commento al rapporto dell’ISMEA sull’accesso al credito agrario

Commento al rapporto dell’ISMEA sull’accesso al credito agrario

L’indagine che l’ISMEA ha svolto nell’ambito dell’Osservatorio Regionale sull’accesso al credito agricolo, il cui Report è stato pubblicato recentemente dalla Rete Rurale 2014 – 2020, fornisce un quadro esaustivo del contesto economico generale e del settore agroalimentare con riferimento al 2021 e ai primi sei mesi del 2022, nel quale emerge chiaramente la rilevante considerazione che il mondo bancario riserva al comparto primario.

Gli ultimi dati disponibili, a fine 2022, mostrano che il 5,6% del totale dei prestiti bancari, pari a circa 40 miliardi di euro, è destinato alle imprese che operano nel settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, in aumento rispetto al 4,6% registrato a fine 2012; un risultato di tutto rispetto se consideriamo che la branca di attività economica rappresenta il 2,2% del valore aggiunto complessivo della nostra economia.

Anche l’analisi storica degli ultimi 30 anni valorizza il ruolo svolto dalle banche nel comparto: nel 1991 gli impieghi all’agricoltura rappresentavano il 5,1% del totale degli impieghi al settore produttivo – in particolare, la quota era più alta per gli istituti di credito speciale (7,1%) mentre per le aziende di credito era pari al 4,1% – quando l’agricoltura, all’epoca, rappresentava il 3,8% del valore aggiunto dell’economia nazionale (cioè quasi il doppio rispetto al livello attuale).

Pertanto, come anche evidenziato nel rapporto, il credito all’agricoltura manifesta una dinamica migliore rispetto a quella del totale degli altri settori; una dinamica crescente in termini relativi rispetto al totale delle imprese che sembra dipendere dalla minore rischiosità del settore: il rapporto sofferenze lorde su impieghi nel corso degli ultimi 10 anni, di certo non facili per l’economia italiana, è stato sempre inferiore alla media del totale delle imprese e si colloca a dicembre 2022 al 2,3% rispetto al 2,6% del totale economia (rispettivamente 2,3% e 2,7% a gennaio 2023), e di circa quattro punti percentuali inferiore ai livelli pre-crisi finanziaria del 2007.

I dati evidenziano, peraltro, con riferimento allo stock dei crediti a fronte di investimenti nel comparto primario, una riduzione a fine 2021 del 3,4%, seguito nel primo semestre 2022 da un -7,5%, dovuto essenzialmente alla flessione del credito finalizzato alla costruzione di fabbricati rurali (-15,7% nel 2021 e -22% a giugno 2022).

Le cause di questo fenomeno possono risiedere in una serie di fattori che non riguardano esclusivamente il settore agroalimentare italiano né tanto meno problematiche relative all’accesso al credito o ai rapporti tra banche e imprese agricole.

La diminuzione dei prestiti destinati alle costruzioni, infatti, si registra non solo per il comparto primario ma in tutti i comparti di attività economica: in particolare il totale di tali prestiti oltre il breve termine di imprese (escluse quindi le famiglie consumatrici) registravano una diminuzione del -5,6 nel 2021 rispetto al 2020 e del -6% nel 2022, mentre quelli in costruzioni non residenziali scendevano del -5,9% nel 2021 e del -7,9% nel 2022.

Preliminarmente è necessario evidenziare che i dati relativi a specifici settori economici non vengono corretti dalla Banca d’Italia per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari. In conseguenza di ciò, potrebbero anche non rappresentare esattamente il reale andamento del fenomeno.

Tutto ciò premesso, occorre comunque rilevare che nel corso dei mesi precedenti, e imprese italiane hanno affrontato un periodo particolarmente difficile, iniziato con l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 e aggravata ulteriormente dagli effetti negativi del conflitto russo-ucraino e dal conseguente aumento delle materie prime e dell’energia.

Per limitare i rischi di illiquidità legati alla crisi il Governo è intervenuto, non solo riconoscendo alle imprese sussidi a fondo perduto, ma anche e soprattutto facilitando l’accesso delle imprese alle garanzie pubbliche (tramite il Fondo di Garanzia per le PMI, le garanzie di SACE e quelle di ISMEA) e attraverso la previsione di moratorie sul rimborso dei prestiti e relativi interessi.

Sono state, quindi, introdotte importanti deroghe alla normale operatività degli strumenti di garanzia per consentire anche alle imprese altrimenti non ammissibili di accedere al credito bancario, con percentuali di copertura elevate e criteri di accesso semplificati.

In questo periodo, grazie alle misure governative, molte imprese – soprattutto quelle che più hanno risentito delle conseguenze dell’emergenza sanitaria – hanno visto aumentare significativamente il proprio livello di indebitamento, compromettendo tra l’altro la loro capacità di investimento.

Nel caso specifico dell’agricoltura, inoltre, le imprese che invece erano in grado di realizzare nuovi investimenti, hanno accantonato provvisoriamente eventuali progetti in attesa dell’approvazione del Piano strategico nazionale della Politica agricola comune (PAC) 2023-2027 dell’Italia e dell’avvio, avvenuto il primo gennaio scorso, della nuova programmazione che garantirà una maggiore integrazione e complementarità tra i diversi strumenti a disposizione della PAC; in termini finanziari questo si traduce in un ammontare di risorse complessive disponibili pari a 36,6 miliardi di euro, di cui 16,40 miliardi (44,8% del budget) in favore degli interventi per lo sviluppo rurale.

Le aspettative di ricevere aiuti per poter realizzare nuovi investimenti emerge chiaramente anche dai risultati della consultazione aperta che la Rete Rurale Nazionale, nell’ambito delle attività di accompagnamento alla nuova programmazione PAC 2023-2027 a settembre 2021.

La consultazione, conclusa il 28 febbraio 2023 con 355 risposte, ha evidenziato che gli agricoltori, circa due terzi dei partecipanti, si aspetta che il nuovo Piano Strategico Nazionale sia in grado di proteggere l’ambiente e contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico (15,5%) e sostenere il reddito degli agricoltori (12,9%) attraverso i pagamenti per pratiche agro-ambientali sostenibili (22,4%) e gli investimenti strutturali nelle aziende agricole e nelle aree rurali (20%).

Presumibilmente, quindi, con la definizione dei Complementi regionali alla PAC 2023-2027 e l’apertura dei primi bandi a livello locale la domanda di finanziamento da parte delle imprese per la realizzazione di nuovi investimenti, anche per fabbricati rurali, per la quota parte non coperta dall’eventuale contributo pubblico, dovrebbe registrare finalmente un nuovo trend positivo.

Autore : Francesca Macioci - ABI

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