In Pericolo le Risorse Suolo ed Acqua. Quale futuro per la Produzione Alimentare Mondiale?
La situazione attuale
La Divisione della FAO che si occupa della utilizzazione dei suoli e delle acque per la produzione agricola ha già pubblicato, alla fine del 2011, un dettagliato rapporto sulla situazione mondiale di tali risorse, fondamentali per lo sviluppo dell’umanità, dal titolo: “The State of the World’s Land and Water Resources for Food and Agriculture. Managing Systems at Risk”.
In tale documento si afferma che il 25% dei suoli del mondo in cui oggi si attua la produzione agricola sono già fortemente degradati, mentre altri 10% si stanno degradando rapidamente. Tale degrado è ormai molto presente anche nelle aree montane dell’Himalaja, delle Ande e nelle vaste aree semiaride nord e sud Africane.
Ma questo fenomeno si sta verificando anche in vari Paesi del Nordamerica e dell’Europa, come pure in aree di tre grandi Paesi emergenti: Cina, India e Brasile.
In base alle stime più recenti, ben 18 Paesi (di cui 9 nel Sahel e 4 nel Sudest asiatico) ne sono gravemente affetti, particolarmente nelle aree più popolate e povere. Complessivamente, in 10 Paesi (Bangla Desh, India, Birmania, Filippine, Tailandia, Vietnam e Cina in Asia, Messico e Brasile in Sudamerica e la Repubblica Popolare del Congo nell’Africa tropicale) oltre mezzo milione di persone vivono in aree già gravemente degradate. Ma nel resto del mondo altri milioni di persone stanno affrontando lo stesso problema: lo spettro della fame per riduzione della produttività delle loro terre.
La “Rivoluzione Verde”
Oggi, con 7 miliardi di abitanti, l’ Agricoltura produce quasi il triplo di alimenti rispetto a quanto produceva nel 1950 (quando la popolazione mondiale era la metà!).
Si stima che, da ora in poi, vi sia solo un possibile aumento del 12% di terre finora non coltivate e passibili di messa a coltura. Quindi un incremento della produzione alimentare potrà essere realizzato solo se si miglioreranno gli altri importanti fattori di produzione.
Negli anni dal 1950 al 1985, le importanti innovazioni agronomiche, energetiche, chimiche e genetiche sviluppate dalla cosiddetta “Rivoluzione Verde”, prima nei Paesi sviluppati e poi in quelli Emergenti, valorizzando in particolare i fattori acqua e suolo, hanno permesso di triplicare la precedente produzione degli alimenti. Infatti, le superfici irrigue si sono raddoppiate ed un uso intensivo dei suoli e delle acque piovane, con lo sviluppo di pratiche agronomiche ed ingegnieristiche sviluppate per il loro uso, anche se con forti costi e possibili inconvenienti, sono state tra i principali fattori per l’incremento della produzione alimentare mondiale.
Però, in molti ambienti, specie tropicali, alcune delle tecnologie agronomiche sviluppate in aree temperate, quali una intensa e continuata lavorazione dei terreni, un elevato uso delle irrigazioni, dei fertilizzanti e dei pesticidi di sintesi ecc., hanno in molti casi danneggiato la struttura e la composizione dei suoli, promosso la loro erosione ed inquinamento, arrivando, in alcuni casi, fino alla desertificazione dell’ambiente rurale. Molte utilizzazioni errate o esagerate di vecchie e nuove tecnologie hanno messo a rischio le due risorse fondamentali per la produzione agricola: la fertilità del suolo e la quantità e la qualità dell’acqua nelle aree rurali.
Vi sono ormai segnali indiscussi di tale situazione: da incrementi della produzione media di generi alimentari del 3% annui durante i quattro decenni della Rivoluzione verde, siamo passati a solo un incremento medio annuale dello 0,5% – 1% attuali. Occorre tuttavia notare che l’incremento dell’1% di oggi è su una base di produzione più che doppia rispetto a quella iniziale degli anni ’50 e che quindi l’ 1% di oggi equivale a molto di più di quello di allora. Inoltre, è opportuno anche considerare come, nella seconda metà del secolo scorso si sia rapidamente diffusa nel mondo la disponibilità, anche per l’agricoltura, di energia meccanica ed elettrica che, in molti Paesi, hanno ormai quasi completamente sostituito l’uso di equini, bovini e bufalini per le lavorazioni e per i trasporti, mettendo a disposizione, per le coltivazioni alimentari umane, i terreni (dal 20% al 25% del totale) fino ad allora coltivati per produrre foraggio per il loro mantenimento.
Quindi la produzione di cibo per gli umani ha goduto, in tale periodo, anche un buon incremento della disponibilità di suoli, oltre che dei risultati forniti dalle innovazioni della genetica, della chimica, dell’ingegneria ecc. che ormai non sono forse più così facilmente ripetibili.
Le prospettive future
Quali obiettivi dobbiamo oggi perseguire e quali tecnologie dobbiamo sviluppare per risolvere una serie di pressanti futuri problemi riguardo:
1) Il prossimo futuro ulteriore incremento della popolazione umana nei prossimi decenni, da 7 a 8-9 miliardi di persone (che vorranno mangiare ogni giorno).
2) L’atteso incremento mondiale della vita media (da circa 50 a 70-80 e forse più, anni),
3) La limitazione dei terreni coltivabili.
4) Un atteso generale miglioramento quantitativo e qualitativo della nutrizione umana.
5) La continua diminuzione degli addetti all’agricoltura.
Nella storia relativamente recente (dalla fine del medioevo) siamo passati attraverso una serie di evoluzioni riguardo le attività prioritarie, cioè di lavoro che produce ricchezza: dalla iniziale civiltà basata sull’ agricoltura e l’artigianato, alla civiltà commerciale basata sui trasporti marini iniziata nel ‘500 (che ha dato origine alla colonizzazione dei continenti extra-europei), alla civiltà industriale sviluppata agli inizi del ‘800, alla attuale prevalente civiltà dei servizi (che però forse non produce ricchezza come le precedenti).
Come sarà la civiltà futura? Dati i presupposti non è poi così improbabile un ritorno alla ribalta dell’iniziale settore primario dello sviluppo umano, cioè dell’Agricoltura.
Data la globalizzazione dei mercati, eventuali modeste diminuzioni di produzioni alimentari di base non dovrebbero influenzare in modo drastico la situazione socio-politica, se non a livello locale (vedi la recente primavera araba, in parte legata alla non autosufficienza alimentare di popolazioni viventi in aree semiaride).
Ma se si verificasse un negativo e consistente cambiamento climatico in alcune aree di elevate produttività e finora in grado di esportare grandi quantità di prodotti, alimentari di base, le conseguenze sociali potrebbero essere del livello delle tre grandi rivoluzioni mondiali già sperimentate nel recente passato(francese, russa e cinese) dovute anche al fatto che molto più della metà dei Paesi oggi esistenti non ha l’autosufficienza alimentare.
Di qui la necessità di incrementare la produzione dei generi alimentari di base mediante: 1) Tecnologie innovative ed interventi agronomici meno costosi e che conservino ed anche migliorino la fertilità dei suoli e l’uso delle acque irrigue, ma che incrementino, o almeno mantengano, le attuali produttività. 2) Tecnologie genetiche che ottimizzino le potenzialità produttive, la resistenza a fattori negativi abiotici e biotici e che permettano una utilizzazione di tutti i prodotti e sottoprodotti ottenuti. 3) Tecnologie che permettano di ridurre le perdite di pre- e post- raccolta dei generi alimentari, oggi a livelli molto elevati in vari Paesi. 4) Tecnologie di processo innovative che permettano originali e maggiori valorizzazioni alimentari delle varie biomasse prodotte.
Alcuni esempi di possibili Innovazioni Tecnologiche.
1). A livello Agronomico
La tecnologia agronomica evoluta e largamente utilizzata dopo la seconda guerra mondiale, specialmente nel mondo sviluppato (ma anche nei Paesi emergenti tramite la “Rivoluzione verde”) è basata su una continua e ripetuta lavorazione meccanica dei suoli (tillage technology), operata con lavorazioni profonde per ogni successiva coltura, in rotazioni annuali, usando potenti aratri assolcatori o voltaorecchi, con la finalità di modificare la struttura del suolo, aumentarne l’aerazione e la capacità idrica, ma anche al fine di interrare la biomassa residua dopo il precedente raccolto ed i fertilizzanti chimici applicati sempre più copiosamente, nonché di seppellire in profondità i semi delle specie annuali infestanti caduti in superficie. Con tale tecnologia, successivamente, i suoli vengono ulteriormente lavorati per preparare lo strato superficiale per la semina di cultivar selezionate per un potenziale elevato “harvest index”, ma che spesso necessitano di elevato supporto idrico e di una elevata concentrazione di elementi fertilizzanti di sintesi, nonchè dell’uso di pesticidi per un efficace controllo delle malattie, dei parassiti e delle specie infestanti, in particolare se viene praticata di continuo la monocoltura.
L’uso di tale tecnologia ha quindi spesso prodotto una serie di inconvenienti, che si sono verificati in molti casi ed in molti Paesi, sia sviluppati (ad es. in USA) che emergenti, con particolare riferimento ad un incremento della erosione idrica ed eolica dei suoli, facilitata anche dai cambiamenti ambientali, che si sono recentemente aggravati.
Tale tecnologia, inoltre, risulta essere una delle principali cause della degradazione di molti suoli coltivati, che va appunto ricercata in un eccessivo impiego delle lavorazioni meccaniche che profondamente alterano l’ecosistema naturale dei suoli agrari, impoverendoli del contenuto di sostanza organica, alterando la naturale ecologia microbica e quindi le simbiosi tra le piante coltivate e la flora micotica e microbica utile: tutti fattori fondamentali per la conservazione di una ottimale struttura e funzionalità del sistema bio-ecologico naturale.
Inoltre, per compensare la perdita di struttura e fertilità, sono state spesso applicate dosi eccessive di fertilizzanti chimici, sempre più costosi, ma necessari per mantenere la produttività desiderata, contribuendo però, anche a causa di un uso eccessivo di pesticidi, ad un crescente inquinamento dell’ambiente, delle acque e dei prodotti ottenuti. Per ovviare a questi inconvenienti i pionieri dell’Agroecologia a suo tempo hanno proposto che i sistemi agro-ecologici siano basati su nuovi principi ( Altieri, M. A., 1971):
1). Favorire il riciclo delle biomasse non alimentari prodotte nei terreni dalle coltivazioni, a favore di una continua disponibilità dei principi nutritivi organici e quindi mantenere condizioni del suolo favorevoli per la crescita delle piante mediante l’incremento della sostanza organica presente nei suoli ed il mantenimento della flora microbica utile.
2). Minimizzare le perdite riguardo l’utilizzazione della radiazione solare, la disponibilità idrica e delle sostanze nutritive mediante una corretta gestione del microambiente, mediante la raccolta e la gestione delle acque e, possibilmente, con una permanente copertura vegetale dei suoli, promuovendo la biocenosi e la variabilità e la diversificazione biologica e genetica del suolo coltivato.
3). Promuovere le simbiosi con la microsfera e tutte le interazioni biologiche positive e benefiche, anche per minimizzare l’uso dei fertilizzanti e dei pesticidi di sintesi.
Quindi, alla tecnologia oggi corrente in molte aree coltivate, si contrappone una tecnologia basata su lavorazioni meccaniche minime o nulle (minimum or zero tillage) che, iniziata intorno agli anni ’40, privilegia un approccio che la rende maggiormente eco-sostenibile: sono le modalità preconizzate dalla cosiddetta “Conservative Agriculture”(CA). (Kassam, 2011)
Tale approccio lascia la struttura basica del suolo agrario quanto più possibile indisturbata, contribuisce ad incrementare il contenuto organico e la stabilità del suolo mediante l’uso dei residui organici epigei delle colture (normalmente usati come pacciamatura) utilizzando sia cultivar moderne che tradizionali, la cui nutrizione sia garantita da fonti sia inorganiche che organiche, valorizzando anche la bioflora microbica che produce la fissazione biologica dell’azoto, utilizzando la biodiversità, sia naturale che migliorata, delle specie coltivate, per una più corretta produzione di alimenti, materie prime ed altri prodotti utili. (Bozzini, 2012).
La produzione delle piante coltivate mediante tali tecnologie egro-ecologiche può ricostituire la stabilità produttiva anche in aziende attualmente in deperimento a causa di precedenti pratiche negative utilizzate. Inoltre, la riduzione delle lavorazioni dei suoli può notevolmente contribuire alla diminuzione dei costi di produzione, sia per i costi degli attrezzi finora largamente usati che per i costi energetici e di personale coinvolti, ultimamente sempre crescenti.
Le aree mondiali in cui è stata utilizzata questa tecnologia “conservativa” già nel 2008-2009 hanno raggiunto 117 milioni di ettari ( per l’82% in nord e sud America, per il 15% in Australia e nuova Zelanda, ma solo per il 3% in Europa, Asia ed Africa ). Nei 5 anni successivi è però ulteriormente aumentata, anche nei 3 ultimi Continenti.
Si spera che queste modificazioni delle tecnologie agronomiche si diffondano sempre più, specialmente nelle piccole aziende d’Europa, Asia ed Africa.
2). A livello genetico e fisiologico.
Le tecnologie agronomiche preconizzate potrebbero essere più facilmente ed efficacemente applicate se esistesse nelle principali specie coltivate per l’alimentazione umana e zootecnica (cereali, leguminose da granella e foraggiere, oleaginose, in particolare) anche la disponibilità di varietà con abito pluriennale (come ad esempio è l’erba medica) e non più annuale o addirittura stagionale, come nei caso dei più importanti cereali, nelle principali leguminose da granella e oleaginose non arboree.
In tal caso, le rotazioni potrebbero avvenire ogni 2, 3 o 4 anni, eseguendo semine sul sodo e mantenendo tutte le modalità di produzione tipiche di tale tecnologia. (Cox. TS et al. (2002); De Haan LR, et al. (2005); Cox TS. et al. ( 2006); Glover et al. (2010); Bozzini A. and M. Del Gallo (2012).
Con tali varietà (ottenibili mediante incroci con specie affini perenni o con altre bio- tecnologie avanzate oggi disponibili) si ridurrebbero di molto i costi per le lavorazioni del terreno, per le sementi, per le fertilizzazioni ed i controlli parassitari, sempre però mantenendo la produttività e la qualità oggi ottenute con le tecnologie tradizionali. Verrebbe inoltre garantita una costante stabilità dei suoli, più elevate utilizzazioni dei fertilizzanti (in quanto le radici sono sempre vive, attive e molto più sviluppate) ed il mantenimento di una corretta simbiosi tra la specie coltivata e la flora fungina e microbica utile, che potrebbe inoltre essere potenziata con l’uso di sementi inoculate con una costellazione di simbionti, inclusi batteri N fissatori.
Per fare un esempio immaginiamo di ottenere un ibrido stabile che producesse l’infiorescenza ed i semi del girasole accoppiati alla formazione sotterranea di tuberi come nel Topinambour e che quindi ricacciasse uno o più fusti produttivi ogni anno. Ovvero un orzo che avesse simili caratteristiche produttive, ma con un cormo sotterraneo come l’ Hordeum bulbosum. Ovvero un ibrido fertile e perenne da un incrocio tra il Sorgum halepense (perenne) ed il sorgo coltivato (annuale) con le caratteristiche della granella di quest’ultimo. Ovvero il reinserimento della perennità presente nel Linum perenne nel lino annuale coltivato per la produzione di olio ecc.
Inoltre le specie divenute perenni dovranno avere anche altre caratteristiche necessarie per la sopravvivenza durante tutto l’anno, come in aree caratterizzate da freddi invernali più o meno intensi (ad es. nel caso del sorgo, del mais ed altre specie di origine tropicale ecc.) o da periodi siccitosi prolungati per molti mesi, ecc. Anche nelle poche specie erbacee o arbustive perenni coltivate (come nel Cajanus cajan, nel ricino, nella melanzana ecc.) basterebbe introdurre la resistenza al freddo per non limitare la loro perennità alla coltivazione nelle aree tropicali.
Con gli attuali progressi della genomica riteniamo che non siano lontani i risultati riguardanti il riconoscimento dei complessi genici che controllano i caratteri perennità e resistenza al freddo in molte specie affini a quelle coltivate che, con le tecniche di “innesto genico”, potranno essere inseriti nel genoma di molte specie alimentari importanti ora annuali. Si tratterebbe, peraltro, di cisgenesi, cioè di trasferimento di tali caratteri da specie affini, caratteri che, peraltro, potrebbero essere trasferiti, anche se con maggiore difficoltà e con richiesta di molto tempo, per incrocio.
L’inserimento della perennità ed una serie di semplici tecnologie di pacciamatura con i residui e sottoprodotti della coltura potrebbero inoltre garantire un adeguato incremento della sostanza organica che la flora microbica potrebbe efficientemente elaborare e quindi rendere disponibili gli elementi metabolizzati necessari per il successivo sviluppo nell’annata seguente, come del resto avviene normalmente in natura nelle aree boschive e nei prati-pascoli permanenti, quando utilizzati in modo corretto e razionale.
Resta comunque essenziale che tali nuove realizzazioni genetiche mantengano ed anche possibilmente aumentino la produttività attuale.
3). A livello di diminuzione delle perdite dei prodotti alimentari.
In molte aree coltivate risultano oggi molto elevate le perdite che si verificano pre-, durante e post- raccolta del prodotto alimentare utile.
Benché non sia certo facile una corretta stima di tali perdite, che coinvolge molte variabili e diverse competenze specifiche, in base a molti dati oggettivi risulta che una riduzione di tali perdite potrebbe aumentare anche notevolmente la disponibilità alimentare, specialmente nelle piccole aziende dei Paesi emergenti.
Si tratta del controllo dei numerosissimi parassiti e delle varie condizioni ambientali che danneggiano le piante nella fase di crescita e di produzione del prodotto utile, delle varie tecnologie di raccolta non efficienti ed infine dei danni ambientali e dei parassiti che possono rendere non utilizzabili i prodotti dopo la raccolta, se conservati in modo inadeguato. La diffusione di tecniche e di attrezzature, anche semplici, che possono limitare questi danni, potrebbero fornire una notevole quantità di prodotti alimentari disponibili sia per gli agricoltori che per tutti i consumatori.
4). A livello di Processi Innovativi che permettano una originale e maggiore valorizzazione alimentare di varie biomasse prodotte.
In questo settore esistono un gran numero di innovazioni possibili.
In questa sede vorremmo fare solo un paio di esempi che possano illustrare alcune possibilità che riteniamo potrebbero essere affrontate ed approfondite da parte dei ricercatori, per verificare la loro possibile realizzazione, anche se parziale.
Nel primo esempio dovremmo studiare di come utilizzare le leguminose da granella ed i cereali per ottenere, (come nel caso del latte di soia e dei vari prodotti solidi derivati) alimenti liquidi e solidi innovativi derivati da vegetali che abbiano una composizione chimico-nutrizionale abbastanza simile a quelle del latte e delle carni da utilizzare direttamente, in particolare da parte di giovani ed anziani, inserendo eventualmente nel prodotto finale anche estratti, succhi e componenti di varia origine che conferiscano sapori, colori e profumi gradevoli per i consumatori.
Potremmo anche, ad esempio, usare i vari tipi di malto, prodotti con i cereali più idonei e disponibili, non solo per produrre liquidi alcolici, come prevalentemente fatto finora, ma per fornire carboidrati ben digeribili a liquidi sostitutivi del latte ed a prodotti solidi anche parzialmente sostitutivi delle carni, cui potrebbero essere aggiunte proteine e lipidi ottenuti dalla granella di soia (le cui proteine già sono oggi in Italia presenti per il 30% negli hamburger industriali!), ma utilizzando a tal fine anche granella di lupini, varie specie di Vigna, fagioli, piselli, ceci, lenticchie ecc.
Il tutto utilizzando anche varietà geneticamente arricchite con aminoacidi essenziali e lipidi appropriati, per produrre cibi con caratteristiche idonee alla alimentazione umana e con composizione simile a quelli finora prodotti allevando e sacrificando ogni anno vari miliardi di animali domestici.
Un maggiore uso diretto, anche parziale, di alimenti di base di origine vegetale (proteine, lipidi e carboidrati) già ora prodotti, senza passare nelle “biofabbriche” di trasformazione animale, ben poco efficienti nella loro trasformazione, specialmente in carne, potrebbe già ora far fronte alla domanda di cibo di tutti gli umani anche per vari decenni futuri.
Del resto centinaia di milioni di vegetariani vivono in India in buona salute da secoli!
Inoltre un ulteriore incremento di metano in atmosfera, derivato da un ulteriore aumento degli allevamenti animali, potrebbe aumentare il forte impatto sul clima e l’ambiente, già compromessi dal continuo aumento di CO2 derivata dall’uso sempre crescente dei carburanti fossili.
Usando in maggiori quantità prodotti vegetali contenenti sostanze antiossidanti e nutraceutiche di elevato valore, potremmo anche ridurre problemi di salute derivati da eccesso di consumi di prodotti animali contenenti colesterolo, grassi saturi ecc. che possono sempre più incrementare, nelle popolazioni, disturbi cardiocircolatori, obesità, scompensi vari, aumentando ulteriormente i costi dei servizi sanitari già oggi elevati.
Un secondo esempio può essere fornito da ricerche che usino un innocuo polimero semisintetico viscoelastico, l’Hypromellose (hydroxypropylmethylcellulose, HPMC) oggi prodotto industrialmente in USA e Cina, come sostituto del glutine per ottenere vari prodotti da forno incluso il pane, usando farine di cereali non contenenti il glutine. L’HPMC, come il glutine, può intrappolare i gas formati dai lieviti nell’impasto con acqua, permettendo la sua lievitazione e la cottura in forno.
Pani derivati da farine di altri cereali privi di glutine (ad es. per persone affette da morbo celiaco) sono già stati sperimentalmente prodotti in USA (Wood M., 2010). Varrebbe la pena di studiare la possibile utilizzazione di altre farine di cereali e pseudocereali (sorgo, migli, riso, mais bianchi e gialli, grano saraceno ecc.) nonché di farine di patate, patate dolci, manioca e di altre specie amilifere, tal quali od in miscele, per ottenere prodotti da forno di più lunga conservazione e miglior sapore rispetto a prodotti tipo polentine, semolini ecc. che hanno una limitatissima conservabilità dopo la cottura.
Conclusioni
Ancora una volta saranno necessarie, per risolvere i problemi della nutrizione umana di oggi e di domani, una serie di specifiche ricerche che ottengano innovazioni che possano risolvere i numerosi problemi che dovranno affrontare le future generazioni per la loro alimentazione e che dovranno essere perseguite con intelligenza, costanza e pervicacia.
23/07/2015