Il riso, coltura pioniera della rivoluzione verde in Italia
Sul piano agronomico, uno dei tratti più peculiari del XX secolo è costituito dal sostanziale incremento delle rese delle grandi colture, che ha supportato il quadruplicamento della popolazione mondiale in 100 anni, portando la sicurezza alimentare a livelli mai visti in passato: la percentuale della popolazione mondiale al di sotto della soglia di sicurezza alimentare è infatti scesa dal 50% del 1945 al 10% odierno.
Gli incrementi di resa unitaria (tonnellate per ettaro) hanno interessato decine di specie vegetali coltivate, erbacee e arboree e hanno principalmente riguardato quattro grandi colture, da cui dipende oggi il 65% del fabbisogno mondiale di calorie e cioè il frumento, il riso, il mais e la soia.
Il primato del riso
In chiave storica è interessante chiedersi quale di queste colture abbia fatto aperto la strada al fenomeno del forte incremento delle rese che nella seconda metà del XX secolo sarà indicato come rivoluzione verde. In Italia, a precorrere i tempi, è stato senza alcun dubbio il riso, come emerge da una ricerca pubblicata da Gabriele Cola, Aldo Ferrero e Luigi Mariani sull’Agronomy journal, rivista della Società scientifica statunitense di agronomia (American Society of Agronomy – ASA). In tale ricerca dal titolo “The evolution of cereal yields in Italy over the last 150 years: The peculiar case of rice” si analizzano gli incrementi delle rese ettariali di frumento, mais e riso dal 1870 (anno della breccia di Porta Pia) a oggi, sviluppando anche interessanti comparazioni con quanto avvenuto sia negli Stati Uniti d’America (per frumento, mais e riso) sia in Francia e Gran Bretagna (per frumento).
Come evidenziato in questo lavoro, le rese del riso hanno fatto registrare nel nostro paese incrementi significativi a partire dal lontano 1895, precedendo di circa mezzo secolo il mais e il frumento, colture le quali hanno manifestato incrementi analoghi solo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale (si veda in proposito il diagramma allegato).
Il ruolo dello sviluppo scientifico e tecnologico
Le ragioni di tale precoce fenomeno sono da ricercarsi nella fiducia che i risicoltori ebbero nell’innovazione tecnologica su base scientifica, ai tempi promossa anche attraverso una serie di convegni internazionali sul riso tenutisi nei primi anni del XX secolo a Novara e Pavia. L’innovazione si concentrò in particolare sulle tecniche colturali (trapianto, gestione delle acque e delle infestanti, concimazioni) e sulla genetica (dalle cinque varietà che risultavano coltivate nel 1872 – Ostiglia, Bertone, Novara, Francone e Giapponese – si passa alle 44 razze/varietà segnalate dal Gobbetti nel 1905, fra cui il Chinese Originario, il cui nome includeva, quasi certamente, più varietà, caratterizzate da buona resistenza al brusone ed elevata produttività). La rapida diffusione di queste innovazione fu senza dubbio favorita dal fatto che il riso era coltivato in pochi distretti specializzati del Nord Italia (in primis Lomellina, Novarese e Vercellese), in cui i risicoltori agivano a stretto contatto gli uni con gli altri e con il resto della filiera. Ciò si tradusse in un successo produttivo impensabile per colture, a quel tempo, molto più sparse sul territorio, quali il mais e il frumento. A tal proposito è interessante segnalare l’articolo sul Corriere della Sera di Luigi Einaudi (1910), in cui il grande economista1 evidenziava la necessità di restringere l’aerale colturale del frumento alle zone maggiormente vocate per incrementare le rese unitarie ad ettaro, allora particolarmente scarse. Proprio l’opposto di quanto fece, poi, il regime fascista che, con la battaglia del grano, puntò ad aumentare la produzione nazionale complessiva mediante la coltivazione in aerali non vocati di collina e montagna, penalizzando le rese unitarie e vanificando, in larga misura, l’originalissimo lavoro di miglioramento genetico attuato dal genetista Nazzareno Strampelli, creatore delle varietà di frumento a taglia bassa.
Un precursore dell’incremento delle rese nella coltura del riso, con un approccio fondato sula scienza, fu senza dubbio Camillo Benso conte di Cavour che, sensibile alle esperienze innovative attuate in vari paesi europei (Francia, Svizzera, Germania, Inghilterra e Scozia), si impegnò nello sviluppo dell’innovazione varietale (con l’introduzione delle varietà Ostiglia, Nostrale, Resca nera, Bertone, Americano.. ) e delle tecniche colturali (con l’impiego dei concimi di sintesi, del drenaggio tubolare, ecc.), come dimostrato con grande dettaglio dal carteggio con il socio agronomo Giacinto Corio, tenuto durante il periodo compreso fra 1846 e 1856, allorché dirigeva le aziende di famiglia di Leri, Montarucco e Torrone site nei pressi di Trino Vercellese. Tali aziende, ad orientamento cerealicolo-zootecnico, presentavano una superficie superiore ai 400 ettari ed erano condotte a risaia avvicendata con mais, frumento e prato mente il bestiame era in prevalenza di razza bruno-alpina, a quei tempi la più produttiva in latte.
Quali insegnamenti si possono trarre da questo passato
Sul piano tecnico le prospettive per il futuro della nostra risicoltura resteranno positive se si manterrà immutata l’attenzione allo sviluppo della ricerca scientifica e al trasferimento dei suoi risultati a livello pratico applicativo. In tal senso ad esempio i risi ibridi e i risi geneticamente modificati prodotti con tecnologia CRISPR costituiscono interessanti opportunità.
A tale riguardo è essenziale per il riso tenere in considerazione la lezione negativa che ci viene dal mais, coltura che la diminuita sensibilità verso l’innovazione (particolarmente nefasta fu la decisione, tutta politica, di non consentire in Europa neppure la ricerca sui mais OGM) ha condannato ad una stagnazione delle rese del cereale, che persiste ormai dalla fine degli anni ’90, determinando un dimezzamento delle superfici coltivate nel nostro paese e un conseguente aumento delle importazioni di prodotto, in larga misura OGM.
L’augurio è che, nel settore risicolo, non si ripeta lo stesso errore strategico fatto per il mais, che ci porterebbe a cedere quote di mercato sempre più ampie ai nostri competitor stranieri.
1 Einaudi, L. (1910). L’Italia coltivava troppo grano? Una rivelazione della nuova statistica agraria, Corriere della sera, 23 luglio 1910. http://www.luigieinaudi.it/doc/litalia-coltivava-troppo-grano-una-rivelazione-della-nuova-statistica-agraria/?id=876
BIBLIOGRAFIA
Mariani L., 2020. Le specie agrarie pioniere della rivoluzione verde in Italia, I tempi della terra, n.5 , marzo 2020, 21-34.