Il ripristino del verde dopo un uragano come quello del 5 marzo 2015 in Toscana

Il restauro  di ambienti devastati da eventi naturali prende avvio da osservazioni  post evento che ci consentono di comprendere e stimare i fattori coinvolti, le modalità di azione di questi, l’intensità e la gravità dei danni anche se, non sempre, sono disponibili scale di riferimento specifiche.

La violenta perturbazione atmosferica verificatasi nella notte tra il 4 e 5 marzo scorsi, ha causato in Toscana ingenti danni colpendo in modo sensibile molte aree boscate dei versanti appenninici  e delle aree costiere tirreniche nonché il verde urbano (viali, parchi, giardini).
Anche se in presenza di pioggia e neve, il fattore distruttivo dominante è stato il vento che ha colpito gli alberi nella parte aerea (schianti di fusti) ed ha causato frequenti sradicamenti. In questi casi le criticità di maggiore valenza si sono dimostrate l’ubicazione degli alberi, il loro stato di salute e il loro ancoraggio al suolo.
Entrano in giuoco le tipologie del terreno, lo stato di imbibizione di questo, le caratteristiche fenotipiche degli alberi. Di queste ultime, tra le principali, si indicano la forma e la natura degli apparati radicali, il rapporto tra la biomassa di questi  e quella della parte aerea, l’altezza del fusto, la forma, sviluppo e architettura della chioma, l’altezza di inserimento di questa sul fusto e le interrelazioni tra di esse. Altri punti determinanti sono rappresentati dall’età così come dalla capacità di resilienza e resistenza  a stress biotici ed abiotici (stato di salute). Non ultima poi entra in giuoco la loro storia pregressa. Con il passare del tempo gli alberi raggiungono dimensioni maggiori: aumenta la loro attrattiva scenica sollevando ammirazione ed acquisendo valore di alta conservazione, può diminuire però la loro stabilità a causa di una ridotta funzionalità degli apparati radicali (espressione frequente, a posteriori: “aveva le radici marce!”).
Si sottolinea che il ripristino è un lavoro non facile e di grande impegno, che richiede tempi lunghi ed applicazione continua.
Di seguito si espongono alcune considerazioni di carattere generale che assumono importanza qualora si operi nel rimboschimento o si agisca nell’ambito di parchi e di verde  urbano.
Un primo punto riguarda l’individuazione dello scopo delle realizzazioni che devono essere intraprese. Nell’ambiente urbano più marcata è la preoccupazione dei possibili danni a persone, animali e cose.
L’esito del ripristino è condizionato poi dalla scelta delle specie che, al di là di motivi conservativi  del preesistente (esigenze storiche e paesaggistiche) si deve basare sempre su valutazioni riguardanti l’ambiente in cui si opera. Tutto ciò è di aiuto anche per la scelta delle tecniche attuative che devono essere rispettose della conservazione ambientale. Così si impone una conoscenza della loro variabilità intraspecifica e delle singole esigenze autoecologiche. Più in generale la scelta deve essere circoscritta ad un numero limitato di specie corrispondenti a quelle caratteristiche del piano di vegetazione in cui si opera e nel caso di specie non autoctone a quelle ecologicamente affini.
Per assicurare la riuscita del ripristino occorre anche disporre di materiale di propagazione con elevate qualità intrinseche ed estrinseche. Il ricorso a materiale con pane di terra in contenitori, ha rappresentato aiuto eccezionale nella produzione vivaistica. Restano peraltro non poche perplessità nel modo in cui si realizza il “pane di terra”, mentre non sempre ottimali appaiono molti dei substrati di più vasto impiego.
Una attenta osservazione di come si è operato nel passato e quali soluzioni siano state individuate ed attuate, può essere molto istruttiva. Non possiamo però trascurare il fatto che loro realizzazione era in armonia con le realtà di quel tempo. La presenza di nuove modalità di uso del territorio o, ad esempio, le esigenze legate al traffico e alla viabilità, pongono situazioni di forte criticità nel ricostruire  o restaurare il passato, per cui forse è necessario intraprendere un percorso critico anche sulla scelta delle specie e  sulla collocazione di queste in base alle attese del presente e le previsioni del futuro.
Un breve elenco che consideri anche gli aspetti più tradizionali ed affettivi, dovrebbe dare comunque la preferenza alle specie autoctone. Vediamo con favore l’impiego di faggio, delle querce (farnia, roverella, leccio), acero di monte, acero opalo, acero campestre, carpino bianco e carpino nero, frassino, frassino osifillo, ciliegio, orniello, bagolaro, tiglio cordato e tiglio platifillo, albero di Giuda, cipresso e pino domestico, pino d’Aleppo. Una indicazione per le specie esotiche che hanno conquistato naturalità: quercia rossa, magnolia grandi foglia,  douglasia sempreverde, cedro dell’Atlante, pino bruzio.
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Redazione Fidaf

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