Il falso mito della dieta paleolitica
Una vita sempre più urbanizzata e la recente progressiva presa di coscienza di un cambiamento climatico in atto portano a considerare la necessità di un nuovo equilibrio tra la società umana e l’ambiente e anche a desiderare una natura spesso solo sognata e non di rado, tra il turbinio delle più diverse diete, tra queste spunta anche la Dieta Paleolitica secondo la quale dovremmo mangiare naturale come i nostri antenati. Un’idea a prima vista non stravagante che si rifà al principio di Theodosius Dobzhansky (1900 – 1975) “Nothing in biology makes sense except in the light of evolution” (niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione) e quindi anche l’alimentazione umana avrebbe un senso solo se fosse quella risultante dall’evoluzione dei nostri antenati nel periodo paleolitico, ma qual è l’evidenza della dieta e dell’alimentazione e della salute umana paleolitica prima dell’adozione dell’agricoltura? Purtroppo estremamente limitati sono i dati e abbiamo soltanto un quadro molto parziale delle diete dei tempi passati che restano in gran parte ancora ignoti anche nei loro rapporti con le condizioni ambientali. Molto diverse sono anche le popolazioni di ominidi che ci hanno preceduti e loro stili di vita, dalla prima comparsa della nostra linea genetica in Africa circa quattro milioni di anni fa, fino all’adozione dell’agricoltura iniziata circa diecimila anni fa.
In base ai cambiamenti nella morfologia del cranio, della progressiva riduzione della mandibola e per l’aumento della dimensione del cervello nel corso dei millenni si può ragionevolmente ritenere che in un’alimentazione e onnivora nella linea Homo vi possa essere stato un aumento del consumo di carne. Poiché questa conclusione si basa su analogie con primati viventi non si può escludere che vi sia anche stato un crescente uso di alimenti vegetali ricchi di energia. Non bisogna dimenticare che una evoluzione con il completo passaggio a una stazione eretta bipedale e uno sviluppo del cervello portano ad avere bisogno di molta energia che può essere raggiunto con una grande adattabilità e variabilità alimentare e anche con un significativo apporto di alimenti provenienti da ogni tipo di animali. La linea Homo negli alimenti d’origine animale e non nei vegetali si procura il ferro in forma facilmente assimilabile, la vitamina B12 e due acidi grassi essenziali, docsaesaenoico e arachidonico, essenziali per lo sviluppo del cervello. Le migliori fonti di questi due acidi grassi sono il midollo osseo e il cervello degli animali (ma anche dei suoi simili) e il loro consumo avrebbe facilitato l’espansione delle dimensioni del cervello e l’aumento della capacità cranica. Da qui il successo di linee di ominidi con comportamenti, anche ereditari, preferenziali per alimenti grassi (midollo osseo e cervello) e dolci (frutta e miele) ricchi di zuccheri semplici di rapida utilizzazione. Unitamente vi è lo sviluppo di preferenze sessuali riproduttive per femmine con depositi di grassi corporei soprattutto posteriori (emblematiche le statuette di Veneri Paleolitiche) segnali di una capacità di un’alimentazione energetica capace di sostenere un prolungato allattamento e quindi un successo riproduttivo. La ricerca di grassi, zuccheri e amidi, caratteristica della più probabile dieta paleolitica, è utile se non necessaria per ominidi che hanno un elevato dispendio energetico per una vita con elevata attività fisica per la caccia e la raccolta, scarsi ripari contro climi freddi ambientali e una durata della vita media che non supera i trenta, quaranta anni e in un’ampia variabilità e duttilità alimentare non mancano le carni soprattutto se grasse. Variabilità e duttilità sono i più importanti caratteri dell’alimentazione paleolitica perché ogni tendenza a una monofagia è rischiosa, come tende a dimostrare la scomparsa dell’Homo neanderthalensis che si sarebbe estinto quando – secondo una delle ipotesi basata sui risultati di ricerche sulle loro ossa di isotopi particolarmente stabili che indicano che fossero carnivori di alto livello – non può più soddisfare gli elevati fabbisogni di un’alimentazione prevalentemente carnea. Tuttavia, quando la nostra specie riduce drasticamente l’attività fisica, si ripara dal freddo e cala il dispendio energetico e ha una quasi infinita disponibilità di cibi energetici (grassi, zuccheri e amidi) l’accumulo di grasso corporeo prezioso nel paleolitico diviene un rischio che si aggrava soprattutto nel prolungamento della vita media che si raddoppia e tende a triplicarsi.
Ripetendo che è impossibile scientificamente definire una Dieta Paleolitica, quella che oggi è proposta come tale vorrebbe riportarsi alle presunte abitudini alimentari dei nostri antenati usando gli alimenti che l’uomo aveva a disposi-zione nell’età della pietra, quindi non coltivati e cresciuti senza l’intervento dell’uomo. Una proposta molto teorica e difficile da eseguire, perché la stragrande maggioranza degli alimenti di origine vegetale e animale in dieci migliaia di anni e soprattutto negli ultimi secoli è stata profondamente modificata dall’agricoltura e dall’allevamento. Inoltre molti piatti proposti dalla Dieta Paleo-litica sono poveri di amidi e con alto alto contenuto di proteine e più vicini alla dieta dell’estinto uomo di Neanderthal che non ai nostri progenitori Sapiens, usando grassi al posto dei carboidrati con la speranza che il corpo impari ad usarlo come fonte energetica invece di immagazzinarlo. Anche se non esiste una Dieta Paleolitica dagli ominidi dai quali deriviamo dobbiamo imparare che avuto successo per la loro grande duttilità alimentare e costruendo diete adeguate alla loro costituzione, fisiologia e stile di vita, corrispondente alle condizioni ambientali e alle caratteristiche degli alimenti di cui aveva disponibilità e sfruttando la loro onnivorità e capacità alimentare adattativa e lo stesso deve fare ora la nostra specie non cercando di tornare in un improponibile e solo mitico passato.