Il calcolo dell’indennità d’esproprio per aree edificabili e non edificabili

Il calcolo dell’indennità d’esproprio per aree edificabili e non edificabili
 Il calcolo delle indennità di espropriazione nel D.P.R. 327/2001 (di seguito denominato T.U) è disciplinato dal Capo VI – Dell’entità dell’indennità di espropriazione – SEZIONE I Disposizioni generali ed in particolare dagli articoli:

32: “Determinazione del valore del bene”;
33: “Espropriazione parziale di un bene unitario”.

Una breve cronistoria è necessaria per capire come il sistema indennitario si sia evoluto nel corso degli ultimi quindici anni.

Il calcolo delle indennità è distinto nel T.U. tra aree edificabili e non edificabili.

Calcolo delle aree edificabili

La determinazione dell’indennità da corrispondere per le superficie espropriate relative alle aree edificabili, fino alla sentenza n. 348 del 22 ottobre 2007 – con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali l’art. 5 bis della Legge 359/1992 e conseguentemente i commi 1 e 2 dell’art. 37 del DPR 327/2001 – era caratterizzata da un sistema di calcolo dell’indennità prevalentemente slegata dai valori venali dei beni espropriati ed ancorata ad un procedimento che diluiva enormemente l’indennità da corrispondere per la superficie ablata.
Infatti, il calcolo dell’indennità di esproprio per le aree fabbricabili veniva effettuato sulla base di una operazione in cui subentravano numerosi parametri che portavano alla determinazione di un’indennità non corrispondente al reale valore venale del bene.

Più precisamente, la determinazione dell’indennità di esproprio per un’area edificabile veniva calcolata, nel caso in cui l’espropriato accettasse l’indennità offerta, sommando il Valore Venale al Reddito Dominicale moltiplicato per 10 per poi dividere per due il valore ricavato.

Nel caso in cui l’indennità offerta non fosse stata condivisa veniva effettuata un’ulteriore riduzione del 40% sull’indennità di espropriazione .

Pertanto, con la sentenza n. 348 del 22 ottobre 2007 la Corte Costituzionale ha riportato l’indennità di esproprio per le aree edificabili al valore venale del bene escludendo qualsiasi altro fattore di riduzione.

L’art. 37 del T.U. al primo comma riporta: ”L’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico sociale, l’indennità è ridotta del venticinque per cento”.

Calcolo delle aree non edificabili

Anche la determinazione dell’indennità da corrispondere nel caso di aree non edificabili, per la determinazione dell’indennità provvisoria, era basata su rigidi criteri tabellari legati al Valore Agricolo Medio (VAM). Perciò, il valore del terreno espropriato era intimamente connesso alla coltura praticata al momento dell’esproprio e non al valore intrinseco del terreno, corrispondendo il valore del terreno al tipo di coltura in atto, in quel momento, nell’area da espropriare.

Il valore agricolo medio (VAM) è determinato dall’Istituto centrale di statistica che ha suddiviso l’intero territorio nazionale in regioni agrarie delimitate.

Il VAM dovrebbe essere determinato, entro il 31 gennaio di ogni anno, da un’apposita Commissione Provinciale.

Con la sentenza n.181/2011 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali i commi 2 e 3 dell’art. 40 del DPR 327/2001 che stabilivano l’impiego del VAM per la determinazione dell’indennità di esproprio, riagganciando il valore del terreno espropriato al valore venale del terreno; eccezion fatta per l’indennità aggiuntiva (art 40 comma 4 del T.U. – Al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta un’indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata) che rimane legata al VAM.

Appare evidente che, dopo queste due sentenze della Corte Costituzionale, il valore venale del bene sia l’unico riferimento da considerare per la determinazione dell’indennità di esproprio.

L’indennità di esproprio, nel caso in cui venga espropriato un bene nella sua interezza, è normata dall’art. 32 del T.U.

Più precisamente:
il comma 1 del detto articolo riporta: “Salvi gli specifici criteri previsti dalla legge, l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù.”

E’ importante sottolineare come siano le caratteristiche intrinseche del bene che determinano, al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio il valore venale del bene e sono solo questi due momenti che individuano con precisione non derogabile qual è il momento in cui deve essere valutato il bene.

Naturalmente la valutazione del bene deve sempre tener conto dell’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura preesistenti, non aventi perciò natura espropriativa, e non deve considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista.

Il comma 2 riporta: ”Il valore del bene è determinato senza tenere conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che esse siano state realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennità. Si considerano realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennità, le costruzioni, le piantagioni e le migliorie che siano state intraprese sui fondi soggetti ad esproprio dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento”.

Viene, pertanto, chiarito che solo le opere preesistenti all’avvio del procedimento espropriativo (costruzioni legalmente realizzate, piantagioni ed altre eventuali migliorie realizzate) possono essere inserite nella stima che conduce alla determinazione dell’indennità di esproprio da corrispondere al soggetto che subisce la perdita del bene.

Mentre tutti gli interventi realizzati dopo l’avvio del procedimento espropriativo non possono essere inseriti nella determinazione dell’indennità di esproprio.

Il comma 3 riporta: “Il proprietario, a sue spese, può asportare dal bene i materiali e tutto ciò che può essere tolto senza pregiudizio dell’opera da realizzare”.

L’ultimo comma dell’art. 32 riveste notevole importanza perché sancisce un principio estremamente importante: è consentito al titolare di un bene soggetto ad esproprio, ultimata l’immissione in possesso e redatto il verbale di consistenza, di asportare “i materiali e tutto ciò che può essere tolto senza pregiudizio dell’opera da realizzare”

Possono così essere recuperati dal proprietario, a titolo esemplificativo, diversi soprassuoli agricoli, olivi, piante ornamentali di pregio o alberi secolari senza che l’asportazione influisca sull’indennità da ricevere.

Unica condizione è che le operazioni di asportazione non creino pregiudizio all’opera da realizzare.

Ben più complessa appare la determinazione dell’indennità di esproprio nel caso dell’espropriazione parziale di un bene unitario regolato dall’art. 33 del T.U. – Espropriazione parziale di un bene unitario.

Il comma 1 riporta: “Nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore”
Giurisprudenza costante (Cass. n° 7075 del 2016, 11504 del 2014) ormai afferma che in presenza di un procedimento espropriativo che non interessi l’intera proprietà va applicato il calcolo differenziale di cui all’art. 40 della L n. 2359 del 1865 (oggi art. 33 del DPR n. 327 del 2001), qualora sussistano i presupposti sotto riportati (Cass. n° 7075 del 2016):

Che la parte residua del fondo sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo, tale da conferire all’intero immobile il carattere di un’unità economica e funzionale;
che il distacco di una parte di esso abbia influito oggettivamente (con esclusione, dunque, di ogni valutazione soggettiva), in modo negativo sulla parte residua.

Ciò implica che nel caso di un’espropriazione parziale di un bene unitario, se sussistono i presupposti sopra citati “ é, quindi, dovuta un’unica indennità, ricavata dalla differenza tra il giusto prezzo che l’immobile avrebbe avuto prima dell’espropriazione ed il giusto prezzo della parte residua dopo l’espropriazione stessa, in modo da ristorare l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, ivi compresa la perdita di valore della porzione residua, non essendo, invero, concepibile, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, l’attribuzione di distinte somme, imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui terreni (cfr. da ultimo, Cass. n. 11504 del 2014). Tale risultato potrà esser conseguito dal giudice di rinvio mediante calcolo differenziale, oppure accertando e calcolando detta diminuzione di valore, mediante il computo delle singole perdite, ovvero aggiungendo al valore dell’area espropriata quello delle spese e degli oneri che, incidendo sulla parte residua, ne riducono il valore” . (Cass. n° 7075 del 2016).

Concetti meglio esplicitati in una recente sentenza che chiarisce ulteriormente i presupposti che sono alla base del calcolo differenziale: “Ora, il meccanismo di calcolo differenziale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 33 (in precedenza L. n. 2359 del 1865, articolo 40) presuppone un collegamento tra parte residua e parte espropriata, tale da conferire all’intero immobile il carattere di un’unita’ economica e funzionale, cosicche’ il distacco della porzione espropriata abbia influito, oggettivamente in modo negativo sulla quella residua. L’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo, deve, infatti, esser ristorata mediante l’indennita’, che, com’e’ noto, deve coprire ogni pregiudizio, diretto ed indiretto, conseguente all’esproprio, tra i quali vi e’ certamente quello derivante dalla perdita di accesso in zone rimaste intercluse a seguito della realizzazione dell’opera pubblica” (Cass. n° 9567 del 2018).

Il T.U. prevede però anche i casi in cui in seguito alla realizzazione dell’opera si determina un vantaggio immediato alla parte del fondo non espropriata, tale vantaggio deve essere quantificato e detratto dall’importo dovuto per la parte ablata.
Recita, infatti, il 2° comma dell’art. 33: “ Se dall’esecuzione dell’opera deriva un vantaggio immediato e speciale alla parte non espropriata del bene, dalla somma relativa al valore della parte espropriata è detratto l’importo corrispondente al medesimo vantaggio “.

Nei casi in cui l’importo della riduzione prevista per i vantaggi che l’opera che viene realizzata apporta sulla parte residua siano superiori ad un quarto dell’indennità, il proprietario del fondo può abbandonare il medesimo.
E’ data facoltà all’Ente espropriante di accettare o meno l’abbandono del fondo.
Riporta, infatti, il comma 3: “ Non si applica la riduzione di cui al comma 2, qualora essa risulti superiore ad un quarto della indennità dovuta ed il proprietario abbandoni l’intero bene. L’espropriante può non accettare l’abbandono, qualora corrisponda una somma non inferiore ai tre quarti dell’indennità dovuta. In ogni caso l’indennità dovuta dall’espropriante non può essere inferiore alla metà di quella che gli spetterebbe ai sensi del comma 1”.

Concludendo, la determinazione dell’indennità di esproprio di un bene unitario o di parte di esso, sia esso edificabile sia non edificabile, è ormai sempre calcolata in base al valore venale del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio.

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Redazione Fidaf

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