I villaggi forestali per l’accoglienza degli immigrati
La regione mediterranea è stata interessata durante il secolo scorso da un imponente fenomeno migratorio rivolto prevalentemente verso Israele e la Francia. Dal 1919, migliaia di ebrei furono costretti ad abbandonare la Russia, l’Estonia, la Lituania, la Polonia, la Romania, l’Ungheria in seguito ai nuovi assetti geopolitici alla fine del primo conflitto mondiale. La situazione si presentava di notevole complessità e richiese la rapida creazione in Israele di centri di prima accoglienza per l’inserimento dei profughi e delle loro famiglie in un ambiente totalmente diverso da quello di origine. Le modeste attività agricole e pastorali sviluppate sotto il protettorato britannico della Palestina, non erano i grado di offrire possibilità di sopravvivenza e di lavoro ai nuovi arrivati. L’Agenzia per lo sviluppo del paese, il Keren Kayemeth, (KKI) d’intesa con il Fondo Nazionale ebraico, diede inizio ad un programma di rimboschimenti, realizzando dei piccoli villaggi in cui disporre la mano d’opera necessaria. In ogni villaggio forestale furono accolte 50-70 famiglie addette ai lavori di sistemazione del suolo ed ai rimboschimenti, con l’aiuto di mano d’opera temporanea. Nel 1938 e dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’emigrazione in Israele degli ebrei dall’Europa centro-settentrionale riprese con particolare intensità, accompagnata da nuove popolazioni provenienti dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia minore.
I villaggi forestali rappresentarono, così, i punti di riferimento per il miglioramento dell’ambiente e la valorizzazione del territorio soprattutto nelle aree sub desertiche, non idonee all’agricoltura. Inoltre, per oltre mezzo secolo, hanno svolto una funzione fondamentale per la sopravvivenza di decine di migliaia di immigrati, offrendo loro la possibilità di venire gradualmente inseriti nella nuova realtà economica-produttiva d’Israele o di consentire di attendere il permesso di trasferimento in altri continenti o paesi, come gli Stati Uniti od il Canada. I risultati positivi conseguiti mediante la presenza dei villaggi forestali nelle aree più degradate e difficili sono facilmente verificabili nel padiglione di Israele nell’EXPO a Milano.
Negli anni 80-90, la Francia, in seguito al riconoscimento dell’indipendenza dell’Algeria, si trovò improvvisamente di fronte all’imponente esodo dei coloni francesi ed algerini. Il governo di Parigi era contrario all’abbandono delle terre d’oltre mare ed in particolare il Generale De Gaulle temeva delle ripercussioni negative sulla vita della nazione nel medio periodo, affermando che nei prossimi decenni anche il nome del suo paese natale “Colombey les Deuz Eglise” avrebbe corso il rischio di essere cambiato in “Colombey les Deux Mousquée”. La situazione dell’immigrazione clandestina era di una gravità eccezionale, anche a causa della presenza di circa 100.000 uomini delle forze ausiliarie algerine (Harkis), che avevano combattuto a fianco dei francesi, e che cercavano di salvare la loro vita e quella delle loro famiglie dalle rappresaglie. Il governo decise di organizzare nelle varie Regioni una rete di villaggi forestali in modo da garantire l’immediata accoglienza, d’intesa con il Servizio Forestale (ONF) ed i Prefetti. I villaggi furono allestiti nelle aree in cui erano disponibili dei progetti di miglioramento ambientale, comprendenti le sistemazioni idraulico forestali nei bacini pilota, le aree di naturalizzazione della vegetazione per la conservazione della biodiversità e delle risorse genetiche, la realizzazione della difesa dagli incendi nel Sud del Paese. Ogni villaggio era responsabile di un progetto, ma all’occorrenza nei periodi di emergenza, tutta la forza lavoro era a disposizione dei sindaci per il pronto intervento. L’assegnazione delle famiglie ai villaggi teneva conto dell’etnie di provenienza e della capacità lavorativa. Le donne si dimostrarono ben presto abili nell’assicurare l’autonomia dell’alimentazione dei villaggi, gestendo il pascolo, gli allevamenti minori ed il lavoro artigianale. Lo Stato assicurava l’istruzione dei giovani, l’assistenza sanitaria e l’inserimento, non sempre facile, nelle realtà regionali. Nei decenni di attività dei villaggi forestali furono superate numerose difficoltà a causa delle diversità delle etnie e dell’incertezza del supporto finanziario, ma nel complesso i risultati sono stati positivi, poiché ha consentito l cambio generazionale e l’inserimento graduale nel territorio. In sintesi, l’esperienza dei villaggi forestali in due paesi diversi, Israele e Francia, in un contesto storico diverso, ha dimostrato che si può conseguire un sensibile miglioramento ambientale, utilizzando in maniera efficace l’opportunità offerta dall’immigrazione, che meriterebbe di venire presa in considerazione anche nel nostro Paese.
I villaggi forestali per l’accoglienza degli immigrati dalle coste del Mediterraneo e la difesa del territorio: un progetto multinazionale.
La situazione che si sta delineando nel bacino del Mediterraneo lascia prevedere che l’afflusso di profughi dalle coste meridionali ed, in particolare dalla Libia, è destinato a durare a lungo. La criticità degli eventi bellici non ha ancora trovato una concreta soluzione da parte dei Paesi dell’Unione europea e pone l’Italia in serie difficoltà. I centri di raccolta e di accoglienza sono insufficienti e l’Unione Europea ha imposto delle quote di assorbimento selettive che penalizzano l’Italia, poiché i paesi centro-europei accettano gli immigrati soltanto da paesi progrediti (Siria, Libano, Iraq) e lasciano alla Spagna ed al nostro paese quelli non qualificati, provenienti dall’area sub sahariana.
L’organizzazione di una rete di villaggi forestali, d’intesa con le Regioni, potrebbe rappresentare una soluzione temporanea accettabile e vantaggiosa per i seguenti motivi:
- rendere immediatamente disponibile, a basso costo, la mano d’opera per la difesa del suolo nelle zone interne ed in quelle montane nei Comuni privi di adeguata popolazione attiva, in gradi di svolgere la tradizionale manutenzione del territorio;
- ridurre il pericolo degli incendi forestali in prossimità delle case isolate e dei centri abitati,
- contribuire al pronto intervento per ristabilire la viabilità minore in occasione di precipitazioni eccezionali, su richiesta dei sindaci;
- collaborare alla sistemazione di piccole frane e smottamenti anche ad alta quota, da troppo tempo trascurati;
- partecipare alle operazioni di soccorso, nel caso di calamità naturali;
- provvedere al restauro del verde e dei rimboschimenti;
- valorizzare i pascoli abbandonati ai fini produttivi o paesaggistici.
L’opera degli immigrati dovrebbe venire riconosciuta quale servizio civile volontario, in modo da poter offrire le garanzie sugli infortuni sul lavoro ed il conseguimento della cittadinanza italiana, dopo un adeguato periodo, se richiesto o l’accesso preferenziale alle quote per l’espatrio in altri paesi europei.
E’ evidente che le condizioni e le esigenze dell’Italia sono diverse da quelle di Israele e della Francia, e sarebbe opportuno uno studio di fattibilità da affidare alla FIDAF ed alla SIGEA, con il supporto dei Ministeri interessati e dell’Unione Europea per poter disporre dell’esperienza acquisita anche da altri paesi nella difesa del territorio.
Ervedo Giordano
intervento molto significativo con risvolti di notevole interesse sulle dinamiche dei flussi migratori, i problemi occupazionali e le realtà territoriali.