I sistemi di allevamento in acquacoltura

Come ho detto nella nota “L’acquacoltura: origini e attualità” (Georgofili INFO, 2 settembre 2015 – http://www.georgofili.info/detail.aspx?id=2266) questa attività in Italia ha radici molto antiche ma i sistemi di allevamento si sono evoluti dall’estensivo, al semi-intensivo, all’intensivo ed all’iperintensivo in base ai criteri di gestione in bacini artificiali o vasche con acqua dolce, salata o salmastra o in mare con gabbie galleggianti offshore o inshore.

L’acquacoltura estensiva è basata sulle risorse trofiche dell’ecosistema e garantisce l’equilibrio dell’ambiente naturale o semi-naturale nel quale sono allevati pesci eurialini (spigole, orate, cefali e anguille) catturati poi con le tecniche tipiche: sistemi fissi o reti, trappole ed ami. Il prodotto per ettaro è basso rispetto alla superficie del bacino ed è legato alle condizioni ambientali (natura del fondale e temperatura) e talora potenziato da attività agrituristiche. L’acquacoltore semina allevime raccolto in lagune, stagni o laghi (anche di aree extraeuropee) o prodotto in avannotterie nelle valli di pesca o in lagune e laghi costieri dei quali controlla natura e stato del fondo e degli argini, flusso delle acque e stato sanitario del pesce. Negli stagni la densità del pesce è bassa e l’alimentazione è naturale ma il rendimento è superiore rispetto all’ecosistema naturale. Un ruolo nella conservazione del patrimonio naturale è attribuito alla vallicoltura: in apposite lagune sono mantenuti i pesci portati dalle correnti marine ma possono anche essere introdotti avannotti da vivaio. Le specie prodotte nell’acqua dolce vanno da trota a coregone, carpa, luccio, pesce gatto, storione. Nell’acqua salmastra vengono allevati anguilla, spigola o branzino, sogliola, orata, cefalo, gamberi e molluschi. Nel bacino estensivo può essere praticata la policoltura cioè l’allevamento di due o più specie con abitudini alimentari non competitive che consentono un miglioramento della produttività del sistema. In Italia un esempio è dato dalla carpicoltura spesso associata a pesci commensali (cefalo, tinca, pesce rosso, pesce gatto) o predatori (trota iridea, luccio, persico trota) o erbivori (carpe e tilapie).
L’acquacoltura semiestensiva fornisce produzioni superiori a quelle ottenibili con le sole risorse naturali; è prevista la concimazione con azoto e fosforo, maggiore densità di allevamento, un contributo di mangimi e di allevime di avannotteria. I bacini sono di maggiore profondità per favorire l’ossigenazione delle acque con il movimento dal basso verso l’alto determinato dalle variazioni di temperatura.
Il sistema intensivo, in espansione in Italia, si dedica a spigole, trote, orate, sarago, anguille, pesci gatto e storioni. Le tecnologie e le strutture consentono superfici più limitate rispetto alle forme estensive, per l’aumento della densità del pesce al quale vengono somministrati alimenti naturali o industriali. In acqua dolce i pesci sono allevati in vasche di cemento o terra di diverse dimensioni secondo lo stadio di crescita; è continuo il flusso di acqua di fiume a monte e la restituzione a valle con riutilizzazione per la fertirrigazione o per il ricircolo, più costoso ma con migliore controllo delle condizioni di igiene, temperatura, salinità, ossigenazione, acidità. La capacità di auto-depurazione non è sufficiente a mantenere sotto controllo feci e avanzi di cibo e le acque reflue possono essere convogliate in bacini estensivi per rimuovere i cataboliti. Il ciclo parte da riproduttori reperiti in natura e fecondazione in avannotteria; gli avannotti passati a novellame sono rilasciati nelle acque, sia dolci che marine.
Nell’acquacoltura iperintensiva l’acqua è continuamente rinnovata e controllata per i parametri ambientali (temperatura, salinità, ossigenazione, acidità) mentre l’alimentazione è a base di mangimi industriali. In relazione alla specie allevata ed alle tecnologie l’impatto ambientale può essere elevato ed è importante il controllo igienico. L’acqua, normalmente a ricircolo, viene sottoposta a ossigenazione, biofiltraggio e abbattimento batterico e trattamenti termici per le specie da acqua fredda (soprattutto salmonidi), da acqua calda (carpa, tinca, pescegatto, anguilla, spigola) o da acqua tiepida (storione).
La maricoltura, anello di congiunzione tra pesca e acquacoltura, attrae interesse per i minori investimenti richiesti per gli impianti. Le gabbie sono galleggianti e ancorate al fondo sottocosta (inshore), per orata e spigola (Mediterraneo), salmone (Norvegia, Scozia, Cile, Canada, Giappone), tilapia e pangasio (Asia); le gabbie sommerse (soprattutto per tonni e ricciole) si sottraggono al moto ondoso e riducono l’intasamento delle reti con le alghe ma hanno maggiori sfide tecnologiche. Le gabbie in mare aperto (offshore) sono il nuovo obbiettivo dell’acquacoltura; richiedono maggiori costi per strutture e tecniche sofisticate (alimentazione automatica, radar e monitoraggio remoto, sistemi elettronici di posizionamento geografico, cartografia), ma la maggiore profondità delle acque dà minori problemi di inquinamento.
La molluschicoltura è condotta in estensivo con novellame selvatico o da vivaio, nelle aree costiere (lagune e golfi protetti) e raggiunge in Europa (soprattutto Francia e Paesi Bassi) il 90 % della produzione di ostriche e di cozze. Si è diffuso dove la costa consente l’installazione di impianti fissi grazie a due innovazioni tecnologiche: capacità degli impianti di sopportare le sollecitazioni del mare aperto e introduzione di reti tubolari in polipropilene al posto dei libani per preparare le reste di mitili. In Italia l’ostricoltura è diventata marginale mentre la mitilicoltura è la prima voce della produzione nazionale. I molluschi non richiedono risorse trofiche esterne perché utilizzano quelle naturali ed hanno un effetto depurante sulle acque perché possono riciclare i residui di allevamenti piscicoli, nei quali perciò è necessario un uso limitato di prodotti chimici che potrebbero inquinare gli apparati filtranti dei molluschi. L’allevamento della vongola è più recente delle precedenti ma ha portato il maggiore impatto socio-economico. Dopo tentativi con la specie nostrana, Ruditapes decussatus, nel 1983 fu introdotta la vongola filippina, Tapes philippinarum, prima nella laguna di Venezia e poi in Sardegna, nel Lazio e in Toscana, dove con una rapida acclimatazione in pochi anni ha sviluppato estesi banchi, trasformando l’economia della pesca.
Marina a Castiglioncello, Raffaello Sernesi
Marina a Castiglioncello, Raffaello Sernesi

Redazione Fidaf

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