Gli Imprenditori agricoli sono i principali se non gli unici protagonisti di un percorso di consolidamento competitivo della nostra Agricoltura
Nel contesto di una estrema vulnerabilità della nostra Economia, le domande che impongono una risposta sono due: cosa fare e, soprattutto, chi lo deve fare.
Nella millenaria struttura istituzionale antecedente l’era elettronica, la responsabilità di un intervento non poteva che essere politica.
La globalizzazione sta conducendo, però, ad una progressiva separazione del potere dalla politica. Come insegna Zygmunt Bauman, il potere politico restando locale e territoriale viene fortemente limitato, mentre le transazioni finanziarie e la circolazione delle informazioni fluiscono sempre più entro i confini del cyberspazio, emancipandosi dalla loro dimensione locale e divenendo extraterritoriali.
Ne deriva un’ampia esposizione all’impatto eteronomo di forze essenzialmente non politiche: in primo luogo quelle associate ai mercati finanziari e commerciali. Tali forze, spesso occultate o di difficile conoscenza e comprensione incombono dall’alto, in una dirompente invasività, disattivando sempre di più le leve necessarie per una efficace gestione governativa.
Le incertezze sul piano economico e politico, appesantite da permanenti perturbazioni internazionali, dovrebbero sollecitare soprattutto le democrazie occidentali ad assumere responsabilmente all’interno ed a livello dei consessi sopranazionali, decisioni idonee a supportare l’ordine sociale compromesso da una crescente disuguaglianza: decisioni radicali e coraggiose anche se rischiose sul piano elettorale.
La crescente sfiducia dei cittadini spinge il politico, consapevole della propria impotenza per effetto della pressione implacabile ed irreversibile di un’autorità esterna, ad assicurarsi un maggior consenso gridando all’untore, invece di farsi carico delle esigenze collettive. Le incertezze esistenziali e sociali vengono in tal modo percepite focalizzando la punta dell’iceberg in chiave di sicurezza personale e non quali componenti di una paura correlata alla incapacità di individuare una direzione alla continua ed accelerata evoluzione degli eventi, in un mondo che più che essere semplicemente fuori controllo appare incontrollabile.
Tale paura appare irrefrenabile e permanente, sotto la spinta di una solitudine rabbiosa di cittadini che, trovando sempre meno nella Comunità Sociale l’istituzionale coagulo degli interessi pubblici condivisi, sono costretti a subire una crescente precarietà pur di scongiurare un incombente degrado verso la evidenza di una povertà sempre più diffusa.
Una svolta verso una diversa gestione della globalizzazione non può non essere legata a progetti di autoemancipazione, il cui esito è correlato al grado di dipendenza extraterritoriale di ciascun comparto.
Il comparto alimentare, per la sua peculiarità, consente al quesito preposto di trovare una idonea individuazione nell’assunzione dell’impegno e della responsabilità del ruolo.
In effetti, la esigenza primordiale di una certezza assoluta nella disponibilità e qualità del cibo è sempre stata incontenibile sia in un passato remoto che con riferimento agli avvenimenti del tempo presente: una forza endogena, un sentimento ancestrale che lega l’uomo alla terra ed alla vita.
Il tasso di autoapprovvigionamento agricolo nazionale si è andato sempre di più riducendosi nel corso degli anni, suscitando preoccupazioni che verranno ad accentuarsi con il susseguirsi delle aperture commerciali della UE. Nella prospettiva non certo teorica di una limitatezza delle risorse della Terra ed in un contesto nel breve e nel lungo termine di una forte vulnerabilità di fronte alle tensioni internazionali, alle perturbazioni dei mercati anche speculative, ai cambiamenti climatici, il controllo della sopravvivenza alimentare rischia di essere monopolizzato, con un sconfinato rischio di disordine sociale di difficile contenimento.
Spetta agli imprenditori agricoli evidenziare il pericolo e proporsi quali principali se non gli unici protagonisti di un percorso di forte autonomia nei confronti dei condizionamenti eteronomi: un percorso estremamente arduo, ma che può avere un esito favorevole, se verranno disattivate le ambiguità che impediscono al momento una obiettiva lettura delle prospettive produttive.
Tale ruolo non libera comunque il Governo dalle proprie responsabilità istituzionali.
Spetta infatti al Governo supportare lo sforzo agricolo con linee guida di indirizzo economico basate su un’ampia evoluzione tecnologica e rafforzare una maggiore partecipazione democratica nell’ambito di una più ampia integrazione europea.
Gli accordi commerciali costituiscono le vere tappe nel percorso di internazionalizzazione dei mercati: un processo che non potendo più essere arrestato né tanto meno invertito può e deve essere gestito con precauzione e gradualità. Il richiamo ad interventi protezionistici, appare assolutamente fuori del tempo e può essere considerato solo una delle tante bufale elettorali
Ogni accordo deve presupporre un preliminare confronto di compatibilità tra i sistemi economici e sociali, spesso fortemente diversificati, delle aree interessate, rendendo conseguentemente possibile una obiettiva valutazione dell’impatto, senza trascurare il rischio di un effetto domino sugli accordi successivi.
Si impone, quindi, un rallentamento delle aperture internazionali della UE, onde acquisire i tempi necessari per il necessario consolidamento delle aree e dei comparti meno competitivi e contrastare con grande decisione una catastrofica omologazione culturale.
(30 luglio 2017)