EXPO, l’insostenibile “peso della sostenibilità”
Mettiamo pure il diritto al cibo in Costituzione, purché non finisca come con il pareggio di bilancio dello Stato, pure finito in Costituzione ma solo sulla carta … Mentre si avvicina l’Expo il diluvio, la valanga di chiacchiere e di retorica sta diventando quasi insopportabile.
Però per chi – come noi – fa sempre e comunque il tifo per il proprio Paese, vale la pena di sopportarle purché alla fine tutto finisca per il meglio. Come dicono gli inglesi: right or wrong, it’s my country. Certo che è dura. Non si è ancora capito se a Milano manderemo in passerella le nostre eccellenze enogastronomiche o spiegheremo come coltivare il pianeta con minor impiego di chimica, di acqua, ecc. Nel qual caso bisognerebbe anche parlare di Ogm senza guerre di religione e magari – come invita a fare il prof. Romano Prodi – pensare ad investire di più nelle ricerca in agricoltura. Perché va bene voler sfamare e dissetare il mondo, ma forse bisogna pensare, più che al culatello e all’Amarone, a come produrre più cereali, a coltivare in zone semiaride, a fare carne senza distruggere suolo e sottosuolo, a varietà di frutta più adattabili ai vari climi e più resistenti agli attacchi dei patogeni.
Ormai la retorica dilaga senza freni. Sulla sostenibilità non ci si salva più: l’altro giorno una banca parlava di sostenibilità a proposito dei suoi mutui, e persino un grande salone di profumi e cosmesi si dichiarava pienamente “sostenibile”. Per non parlare del vino: al recente Vinitaly non c’era cantina che non proponesse vini “sostenibili”, magari autocertificandosi. Poi va tutto bene. E’ vero che non si possono produrre cose buone in un ambiente degradato e che la nostra vitivinicoltura ha fatto passi da gigante verso metodiche di produzioni ‘pulite’e il più possibile naturali.
Dispiace solo vedere che la stessa enfasi non si applica al mondo dell’ortofrutta dove produrre ‘pulito’ ormai è una prassi consolidata da anni (con tutte le certificazioni e controlli del caso) anche se gli sforzi e i costi sopportati dalle imprese non trovano quasi mai riscontro nei prezzi finale dei prodotti. Perché la stessa Gdo, che vuole tutto ‘sostenibile’, quando si tratta di remunerare i produttori si dimostra alquanto “insostenibile”.
Domanda finale: cosa è lecito aspettarsi da questa Expo? Nel 1992, da capoufficio stampa della Regione Emilia Romagna, partecipai attivamente all’Expo di Siviglia in Spagna (l’Emilia era capofila delle Regioni italiane). Bene se qualcuno mi chiedesse oggi cosa ricordo, cosa mi è rimasto dei temi di quella Expo, rispondo: nulla. Ma sicuramente l’Expo di Milano sarà diversa, sarà un successo planetario per il nostro Paese. D’altronde il ritorno turistico pare sia già garantito: parlano di 10 milioni di biglietti venduti. Quindi avanti tutta. E speriamo che qualcosa di questo oceano di chiacchiere rimanga e si radichi almeno nella consapevolezza della pubblica opinione: rispettare di più l’ambiente, sprecare meno cibo, nutrirsi in maniera più naturale, capire il valore reale degli alimenti. Sarebbe già tanto.
Da: Corriereortofrutticolo.it, 30/03/2015
EXPO, the unbearable “burden of sustainability ”
The rhetoric is now spreading like wildfire, with sustainability out of control. The other day a bank was talking about sustainability regarding its mortgages and even a large perfume and cosmetics fair declared itself to be fully “sustainable”. To say nothing of wine, not a single winery at the recent Vinitaly fair offered a wine that was not “sustainable”, not to mention a possible self-certification. Then everything is fine. It is true that good things cannot be produced in a deteriorated environment and that our winegrowing has made great strides towards “clean” production methods that are the most natural possible.
We are just sorry to see that the same emphasis has not been applied to the fruit and vegetable market where “clean” production has been well-established for years (with all appropriate certifications and controls). The effort and costs incurred by businesses are almost never reflected in the final prices of products because the very same retail chains that want everything “sustainable” have shown themselves to be quite “unsustainable” when it comes to paying the producers.