Esproprio in un’azienda agricola: farsi risarcire al meglio

Esproprio in un’azienda agricola: farsi risarcire al meglio

La stima dell’indennità di espropriazione nel D.P.R. 327/2001, sempre calcolata in base al valore venale del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, presenta, nel caso di un’espropriazione parziale, delle difficoltà ulteriori rispetto all’espropriazione totale di un bene unitario.

Difficoltà che si palesano ulteriormente quando l’esproprio riguarda le aziende agricole e la loro attività.

Preliminarmente, occorre precisare che l’indennità di espropriazione, essendo sempre legata alla destinazione urbanistica del bene – aeree edificabili e/o edificate o non edificabili – deve essere sempre determinata tenendo presente le caratteristiche intrinseche ed estrinseche, economiche e giuridiche del bene da espropriare.

In ogni caso l’indennità di espropriazione non deve tener conto degli effetti che l’ablazione dell’area determina sulle attività esercitate, effetti che possono spingersi fino alla scomparsa dell’attività economica/finanziaria che su tale area veniva esercitata.

Quanto affermato è in linea con i seguenti principi:
– l’indennità di espropriazione deve essere unica;
– il valore dell’indennità di espropriazione dell’area non può superare, in relazione alla sua destinazione urbanistica, il valore che il bene avrebbe qualora venisse posto sul mercato.

Ciò comporta che, nella determinazione dell’indennità di esproprio, non si debba tener conto del pregiudizio economico subito dal proprietario del bene che, a causa del procedimento espropriativo, ha visto ridursi o cessare del tutto la propria attività economica a causa dell’espropriazione del fondo su cui tale attività si svolgeva.

Inoltre, non devono essere considerati ai fini indennitari tutti quei parametri economici che, normalmente, vengono inclusi nella valutazione di un’azienda, quali:
1. l’avviamento;
2. lo spostamento dei beni;
3. i costi necessari per riavviare l’attività;
4. nuovi oneri concessori;
5. altri costi non individuabili e quantificabili al momento dell’esproprio.

A parziale compensazione dei danni subiti in seguito all’esproprio, nel caso di un esproprio parziale l’art. 33 – Espropriazione parziale di un bene unitario del D.P.R. 327 del 2001 (T.U.) – riporta al comma 1: “Nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore” per cui, anche se in misura ridotta, alcuni dei parametri che incidono nella determinazione dell’indennità possono essere considerati.

Ben diversa è stata la previsione e l’attenzione del legislatore in relazione alle espropriazioni inerenti alle aree su cui sorge ed è ubicata un’azienda agricola.

Infatti, il primo comma dell’art 40 del T.U. riporta: “Nel caso di esproprio di un’area non edificabile, l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, senza valutare la possibile o l’effettiva utilizzazione diversa da quella agricola.”
Nel caso di terreni edificabili l’art 37 del T.U. al comma 9 riporta: “Qualora l’area edificabile sia utilizzata a scopi agricoli, spetta al proprietario coltivatore diretto anche una indennità pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato. La stessa indennità spetta al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte il fondo direttamente coltivato, da almeno un anno, col lavoro proprio e di quello dei familiari”. La norma, quindi, prevede che al coltivatore diretto o agli altri soggetti aventi diritto, spetti un’indennità pari al Valore Agricolo Medio (VAM).

E’ evidente e di grande rilevanza la differente previsione legislativa, ai fini indennitari, per le attività agricole svolte su terreni con diversa classificazione urbanistica rispetto a quella edificabile.
Occorre sottolineare, inoltre, che anche per altre attività economiche non agricole, siano esse commerciali che industriali, ubicate su suoli la cui destinazione è non edificabile, non si applica quanto riportato nel primo comma dell’art. 40 del D.P.R. 327/2001.

Pertanto, nel caso di un’espropriazione parziale vale quanto più volte affermato da numerose sentenze di Cassazione, tra cui la n. 22783 del 28/09/2017, nelle quali si legge: “in subiecta materia questa Corte ha, per contro, affermato che, in tema di espropriazione parziale, l’art. 40 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e l’art. 33 del D.P.R. 8 giugno 2011, n. 327, non postulano soltanto che l’espropriazione abbia suddiviso in almeno due parti il fondo, ma richiedono, altresì, la duplice condizione che la parte residua sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo (per destinazione ed ubicazione), tale da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale, e che il distacco di una parte di esso influisca oggettivamente in modo negativo sulla parte residua (Cass. 26/03/2012, n. 4787; Cass. 23/09/2016, n. 18697);
Ciò determina che il proprietario di un bene, non agricolo, che subisce un’espropriazione parziale, se sussistono i requisiti sopra esposti, può richiedere l’applicazione dell’art. 33 del D.P.R. 327/2001.
Nel caso di espropriazione parziale di terreni agricoli, viceversa, la Cassazione ha ribadito più volte quanto segue: “Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9814 del 1999; n. 23967 del 2010; n. 9541 del 2012) nei casi di espropriazione parziale la liquidazione dell’indennità è commisurata alla differenza tra il giusto prezzo dell’immobile prima dell’esproprio ed il giusto prezzo della parte residua dopo l’esproprio stesso, dovendo, in ispecie, tenersi conto oltre che del valore della porzione ablata, anche del decremento della parte di fondo residuata all’espropriazione, ciò comporta, per i suoli agricoli, l’attribuzione di un valore complementare, che, nel caso, ricorrente nella specie, di esercizio di azienda agricola, compensa anche i maggiori oneri di conduzione aziendale, in quanto la legge introduce quale componente essenziale dell’indennità, anche il ristoro del pregiudizio subito dall’azienda. (Cass. 26243 del 2017).

Pertanto, la determinazione dell’indennità di esproprio nel caso in cui esso verta su terreni agricoli sui quali ricade l’attività aziendale, deve essere calcolata seguendo questi concetti che sono stati ulteriormente illustrati con estrema chiarezza in una recente sentenza, ove si legge: “Dalla legge del 1865 fino alla normativa del T.U., l’indennità di espropriazione è sempre stata rapportata al “bene immobile” espropriato quale connotato dalle caratteristiche naturali, economiche e giuridiche. L’unica eccezione a questo sistema si rinviene nell’espropriazione dei terreni non edificatori sui quali, come nella specie, sia impiantata un’azienda agricola, regolata dall’art. 40 del T.U. secondo cui “nel caso di esproprio di un’ area non edificabile, l’indennità definitiva è determinata in base al valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, senza valutare la possibile o effettiva utilizzazione diversa da quella agricola”. In base a tale disposizione, significativamente reputata legittima dalla Corte Cost. con la sentenza n. 181 del 2011, nell’ipotesi, qui ricorrente, di espropriazione parziale, il proprietario ha, dunque diritto a conseguire quale componente essenziale dell’indennità la diminuzione di valore dell’area residua dell’espropriazione riferita al valore dell’azienda nel suo insieme (Cass. 26423 del 2017), senza che sia necessario accertare la ricorrenza dei presupposti richiesti dal principio generale posto dall’art. 33 TUE: l’art. 40 nel prevedere di dover “tener conto” della destinazione ad azienda agricola si pone in altri termini in rapporto di genere a specie col precedente art. 33 in quanto muove dal presupposto che la parte espropriata e quella non espropriata dell’immobile costituiscano un’unica entità funzionale ed economica e, così, recepisce per tale specifica fattispecie il criterio generale di stima differenziale (cfr. Cass. 23697 del 2010, n.4848 del 1998 in riferimento al regime pregresso artt. 40 della L. 2539 del 1865 e 15 della L. n. 865 del 1971, in parte qua immutato). Tanto non comporta, tuttavia che siano indennizzabili tutte le conseguenze pregiudizievoli dovute al ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, che non è in sé oggetto di espropriazione, e quindi, alla diminuita attitudine al fine di lucro cui essa è destinata, ma comporta che l’indennizzo debba comprendere il ristoro del pregiudizio arrecato all’attività aziendale agricola esercitata sul terreno espropriato; di quel pregiudizio avente, cioè, una diretta incidenza sul fondo- sia su quello ablato che su quello residuo – che integri un danneggiamento materiale o ne alteri le condizioni di utilizzazione o di godimento, e si risolva sul piano economico in un’effettiva diminuzione del valore venale del bene “unitario” su cui si svolgeva l’azienda agricola”. (Cass. 19754 del 2018).

In conclusione, il primo comma dell’art. 40 del T.U. non consente la valutazione del complesso dei beni finalizzato all’esercizio dell’attività agricola includendo al suo interno il valore dell’avviamento, i mancati guadagni, il ridimensionamento o chiusura dell’attività imprenditoriale che rimangono parametri esclusi dall’indennità di esproprio. Ma consente che l’indennizzo, derivante dall’espropriazione parziale del bene unitario, debba comprendere il ristoro del pregiudizio prodotto dall’espropriazione all’attività aziendale agricola praticata su quel terreno; sia sulla parte espropriata sia su quella residua.
Deve, pertanto, sussistere un danno materiale diretto e concreto sull’immobile che compromette il suo effettivo utilizzo ovvero deve verificarsi una condizione tale che limiti o inibisca la sua utilizzazione.
Il pregiudizio deve pertanto tradursi, sul piano economico, in una effettiva diminuzione del valore venale del bene unitario all’interno del quale era ubicata l’azienda agricola.

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Cipressi, 1889
Cipressi, 1889

Redazione Fidaf

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