Dopo la COP21: quali le prospettive più realistiche?
Alla ventunesima Conferenza delle Parti (COP21), svoltasi recentemente a Parigi, ben 195 paesi, tutti i partecipanti, hanno raggiunto un accordo su clima ed energia che dovrebbe regolare le emissioni di CO2, e di conseguenza la produzione e l’utilizzo dell’energia, per gli anni successivi al 2020. L’accordo, infatti, potrà entrare in vigore, a partire dal 2020, soltanto se sarà ratificato da almeno 55 paesi, rappresentanti almeno il 55% delle emissioni.
Nell’accordo sottoscritto a Parigi, tuttavia, non si fa riferimento a clausole vincolanti per i dati quantitativi delle emissioni, ma solo per le scadenze delle future verifiche. L’accordo va comunque oltre la suddivisione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, che caratterizzava il Protocollo di Kyoto, e tutti i paesi a partire dal 2020 dovranno comunicare ogni cinque anni i propri obiettivi, ed ogni nuovo obiettivo dovrà essere più sfidante rispetto al precedente, riflettendo il grado massimo di ambizione che un paese può raggiungere. Resta tuttavia il fatto che 160 dei paesi presenti a Parigi sono collettivamente responsabili di meno del 10% delle emissioni globali di gas climalteranti; invece Stati Uniti, Cina, India e Unione europea ne producono il 75%.
Il nocciolo dell’accordo è contenuto all’Articolo 2, qui di seguito riportato, dove si indica che l’obiettivo prefissato è di bloccare la crescita della temperatura globale “ben al di sotto dei 2 °C” rispetto all’era pre-industriale, e di cercare di contenere tale aumento “entro 1,5 °C”. Altro punto nodale è che l’accordo è sottoscritto secondo un principio di equità e di “responsabilità comuni ma differenziate” in base alle caratteristiche dei singoli paesi…