Dialoghi per la costruzione di processi decisionali efficaci

Dialoghi per la costruzione di processi decisionali efficaci

Introduzione

Lo scollamento tra scienza e società e tra professione e pubblico sta diventando sempre più ampio. Il grande pubblico ha infatti acquisito un livello medio di istruzione più elevato di qualche anno fa e conseguito un ampio e veloce accesso alla informazione (Sonnino et al., 2017), e ritiene quindi di possedere il diritto, la forza e gli strumenti critici per partecipare attivamente ai processi decisionali che lo riguardano (Sykes e MacNaghten, 2013). Questa esigenza è particolarmente avvertita per quanto riguarda i temi connessi con l’alimentazione nelle sue interazioni con la salute dei consumatori e con l’ambiente. L’informazione (non solo scientifica, peraltro) non segue più un flusso lineare che parte dai soggetti ”esperti” creatori di conoscenza (ricercatori e tecnologi), è mediato da professionisti e tecnici per arrivare a soggetti passivi che ne beneficeranno, siano essi operatori economici, consumatori o semplici cittadini.  Le conseguenze di questo scollamento sono almeno due:

  1. In molti casi i risultati della ricerca – in particolar modo, ma non esclusivamente pubblica – fanno fatica a trovare accettazione sociale, per cui non vengono – o vengono solo parzialmente – tradotti in valore sociale, economico o ambientale. Questo significa che le risorse che la società mette a disposizione della ricerca, già scarse, volatili e non predicibili, sono utilizzate in maniera poco efficace, dando luogo a quella che è stata definita come ‘death valley’ delle acquisizioni scientifiche potenzialmente utili, ma non applicate.
  2. I portatori tradizionali di conoscenza, scienziati e professionisti delle varie materie, non sono più riconosciuti come tali, ed il loro ruolo stenta a essere riconosciuto come socialmente rilevante.

È opinione condivisa dalle istanze politiche nazionali e comunitarie e da altre parti interessate che è necessario ed urgente colmare, almeno parzialmente, questa separazione tra conoscenza ufficiale e società, restituire dignità ai portatori tradizionali di conoscenza, assicurare impatto ai programmi di ricerca e ripristinare l’efficacia dei relativi investimenti pubblici. Questa breve nota discute brevemente l’approccio necessario.

Uno sguardo al passato

Per gran parte del XX secolo il rapporto tra scienza e società è stato basato su di un semplice contratto: la società forniva attraverso la mano pubblica le risorse per effettuare ricerca e sviluppo, la comunità scientifica si impegnava a produrre e a rendere pubblicamente disponibile conoscenza scientifica, della cui qualità si rendeva garante attraverso meccanismi interni di controllo – come per esempio la peer review degli articoli scientifici o la cooptazione nell’accademia (Gibbons, 1999). L’approccio utilizzato per le decisioni riguardanti lo sviluppo e l’applicazione di nuove tecnologie era pertanto un approccio “elitario” o “tecnocratico”, (Tabella 1) basato sul principio che il pubblico non può comprendere la base scientifica dei fatti perché non domina i concetti e le conoscenze necessarie (principio del deficit cognitivo) (National Science Board, 2004). Le decisioni erano quindi delegate a scienziati o ad altri specialisti della materia che possedevano le conoscenze e le capacità tecniche necessarie. Il pubblico doveva essere semplicemente informato delle decisioni prese attraverso un processo di comunicazione lineare e unidirezionale secondo il modello Decide, Announce, Defend (Oughton, 2005).

Come accennato nell’introduzione, questo modello, che ha funzionato efficacemente per alcuni decenni, è stato messo in discussione nell’ultima parte del secolo scorso, quando alcune tecnologie, per il cui sviluppo erano state investite ingenti risorse, sono state rifiutate dalla società. Gli esempi più rilevanti, ma non gli unici, sono la produzione di energia nucleare, l’uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM) (Sonnino e Sharry, 2017; Borel, 2017) e le applicazioni delle nanotecnologie  nell’industria alimentare (MacNaghten et al., 2015).

Non a caso negli esempi citati l’oggetto della discussione è un intreccio tra validità delle conoscenze acquisite dalla scienza e conseguente condivisibilità della decisione di utilizzarle su ampia scala. Il ruolo dello scienziato viene a estendersi da quello di generare conoscenze e correlate capacità tecnologiche a quello di valutare, consigliare, al limite codecidere come applicarle.

E’ nella fase dell’adozione di nuove tecnologie che si manifesta appieno la presenza due entità: il potere economico e politico e il sistema dei media. E’ forte la preoccupazione nella pubblica opinione che le scelte e i messaggi degli scienziati non siano del tutto esenti da influenze provenienti da lobby del modo produttivo a sostegno di interessi di parte. Il mondo della politica, per ruolo dovrebbe rappresentare la sede di mediazione delle posizioni e di costruzione del consenso in vista di un bene comune, in questo svolgendo il ruolo di garante che nello schema elitario era svolto dalla comunità scientifica simultaneamente sorgente e garante della “correttezza” non solo della conoscenza, ma anche delle potenzialità applicative. Negli ultimi decenni le istituzioni politiche hanno perso credibilità sia sul fronte della competenza, sia su quello della stessa indipendenza dai poteri economici. Il sistema dei media riceve anch’esso poca fiducia quanto a competenza e terzietà e viene percepito come sussidiario, più o meno esplicito e più o meno consapevole, degli assetti di potere. In particolare sui temi della ricerca scientifica e dell’innovazione sono da varie parti messi in discussione la trasparenza e la validità dei meccanismi di programmazione e finanziamento delle attività.

Sono stati operati vari tentativi di superare gli ostacoli posti dal pubblico alla diffusione di nuove tecnologie. Di seguito si analizzeranno alcuni degli approcci concettuali proposti, utilizzando per comodità di esposizione una successione cronologica, anche se essi non hanno seguito una sequenza temporale chiaramente definita, ma si sono largamente sovrapposti tra loro.

Supponendo che l’opposizione della società alle nuove tecnologie fosse generata da ignoranza, si pensò di dover educare il pubblico e si adottò quindi l’approccio “pedagogico” (Tabella 1), nel presupposto che una migliore conoscenza scientifica avrebbe indotto nella gente percezioni più favorevoli alla scienza in generale ed alle sue applicazioni pratiche in particolare (Traynor et al., 2007). Questo approccio, pur sempre basato sul principio del deficit cognitivo e quindi chiaramente asimmetrico, riconosce la necessità della comunicazione col pubblico, supponendo che quando il pubblico avesse raggiunto lo stesso livello di conoscenza degli scienziati, ne avrebbe automaticamente condiviso le opinioni (Bubela et al., 2009). L’approccio pedagogico si è presto rivelato fallace: per esempio per il caso degli OGM studi ad hoc hanno dimostrato che informazione puntuale e livello di istruzione hanno scarsa influenza sul grado della loro accettazione (Sinemus and Egelhofer, 2007; Gaskell et al., 2011; Sorgo et al., 2011). L’approccio pedagogico ignora, infatti, che le opinioni sono formate solo parzialmente sulla base delle conoscenze acquisite, mentre altri fattori, quali le emozioni, le ideologie, l’identità sociale, la fiducia nelle istituzioni, giocano un ruolo più importante (Lucht, 2015; Macnaghten and Carro-Ripalda, 2016; Hayhoe, 2017). Va precisato che l’approccio pedagogico non ha nulla a che vedere con la divulgazione scientifica con metodologie comunicative moderne. Un buon esempio di queste ultime, che hanno l’obiettivo di accrescere la cultura scientifica e non quello di migliorare l’accettazione sociale di nuove tecnologie, è dato dalla recente esposizione “DNA. Il grande libro della vita da Mendel alla genomica”.

Se un miglior livello di istruzione non comporta di per sé una più pronta accettazione delle nuove tecnologie, l’approccio di “marketing” propone di adottare strategie comunicative per convincere il pubblico dei vantaggi ottenibili adottando le innovazioni tecnologiche (Scholderer and Frewer, 2003). Rispetto all’approccio pedagogico, questa strategia comunicativa confeziona messaggi tenendo conto della cultura, dei valori e delle rappresentazioni sociali di coloro cui sono diretti. I limiti dell’approccio, oltre a quello di continuare ad adottare metodologie comunicative unidirezionali, derivano da un palese intento didascalico e forzante così spinto da suggerire la presenza di comportamenti manipolatori, come se si intendesse copiare le metodiche deprecabili del potere (economico e politico) e si ritenesse giustificata (anzi doverosa) questa scelta in considerazione della nobiltà dello scopo. Si confonde l’universalità del metodo scientifico con l’indottrinamento su risultati contingenti e potenzialmente precari.

Aldilà della condivisibilità o meno di una tale formulazione dei messaggi, è comunque da osservare che la comunicazione volta al convincimento della cittadinanza in merito ai benefici delle nuove tecnologie spesso ha in realtà un effetto di messa in allarme del pubblico e ottiene quindi risultati lontani, se non opposti, da quelli perseguiti (Scholderer & Frewer, 2003). Oltre alla istintiva reazione negativa del pubblico a un approccio percepito come “forzante da piazzista” giocano due circostanze pressoché sistematiche: il divario del tempo e il divario del luogo: spesso i benefici sono differiti e diluiti in un lungo arco temporale, mentre gli svantaggi sono immediati e di non breve durata; per di più, altrettanto spesso gli svantaggi sono localizzati in un ambito territoriale abbastanza circoscritto mentre i benefici sono colti da comunità ben più ampie per esempio a livello Paese (questo divario è alla base della ben nota sindrome NIMBY – Not In My Back Yard – a  seguito della quale un impianto o una infrastruttura, anche se giudicati opportuni in linea generale, non sono accettati nel luogo dove si risiede. Secondo il Nimby Forum in Italia 359 infrastrutture e impianti sono attualmente oggetto di contestazioni[1].

L’approccio partecipativo

I fallimenti comunicativi discussi nella precedente sezione indicano chiaramente come l’adozione del principio del deficit cognitivo porti a risultati ingannevoli. La supposizione oggi largamente accettata è che le attitudini nei riguardi delle tecnologie emergenti siano formate sia da fattori cognitivi che da fattori emozionali, mediati da credenze ideologiche e religiose, da valori etici e da altri aspetti culturali (MacNaghten et al., 2015; Kahan, 2016). Alcuni autori (Fujisaka, 1994; Bassi & da Silva, 2014) hanno inoltre notato che la mancata adozione di nuove tecnologie è causata più spesso dalla loro inappropriatezza che da metodi inappropriati di trasferimento tecnologico. Uno dei più importanti motivi di mancata adozione è infatti che la nuova tecnologia risolve problemi non percepiti come tali dagli utilizzatori finali (Fujisaka, 1994). Inoltre il grande pubblico esprime oggi una domanda di partecipazione più attiva nei processi decisionali relativi all’adozione di innovazioni tecnologiche e sociali, e preme per un passaggio da modelli di democrazia procedurale (o rappresentativa) a modelli di democrazia deliberativa (o partecipativa) (Sonnino e Sharry, 2015), che siano legittimati dall’uguale possibilità data a tutte le parti interessate di far ascoltare la loro voce (Nielsen et al., 2004).

Tabella 1 – Sinossi degli approcci comunicativi (da Sonnino e Sharry, 2017)

 

Approccio Scopo principale Tipo di comunicazione Momento della comunicazione Caratteristiche dei gruppi bersaglio prese in considerazione
Elitario Informare delle decisioni prese Unidirezionale, top-down A conclusione del processo decisionale Nessuna
Pedagogico Educare il pubblico per permettere la comprensione delle decisioni prese Unidirezionale, top-down A conclusione del processo decisionale Livello di istruzione sul tema
Marketing Convincere il pubblico delle decisioni prese Unidirezionale, top-down A conclusione del processo decisionale Preoccupazioni
Partecipativo Coinvolgere il pubblico nel processo decisionale Bidirezionale, simmetrico Prima, durante e dopo il processo decisionale Conoscenze, abilità, attitudini e pratiche

L’articolo di Gibbons (1999) citato nel capitolo precedente propone che il contratto vigente tra scienza e società sia sostituito da un nuovo contratto che assicuri che la nuova conoscenza prodotta, oltre ad essere scientificamente valida, sia anche allineata con i valori predominanti nella società, sia in altre parole ‘socialmente solida’. Questo nuovo contratto prevede che il pubblico sia attivamente coinvolto nella produzione di conoscenza e nei processi decisionali relativi allo sviluppo ed alla applicazione di tecnologie, dimodoché la produzione scientifica e la sua applicazione, ivi incluso l’ambito dell’esercizio delle professioni, siano percepite sia come trasparenti che come partecipate. A questo scopo il gruppo di esperti responsabile delle decisioni in materia tecnologica deve essere opportunamente allargato a non esperti in modo da tenere nella debita considerazione il punto di vista e le preoccupazioni di una porzione molto più ampia della comunità (Rufo, 2017). Il nuovo sistema di relazioni sociali risponde al principio che le decisioni sono percepite come giuste o sbagliate più in base al metodo adottato per prenderle che a cosa è stato deciso (Rawls, 1971).

L’obiettivo di questo approccio “partecipativo” (Tabella 1) è duplice:

  • assicurare l’assunzione di decisioni riguardanti l’adozione di nuove tecnologie che siano tecnicamente valide e in linea con le aspettative e le preoccupazioni del pubblico attraverso l’assunzione di responsabilità da parte di tutti i portatori di interesse della società;
  • ricostruire il clima di pubblica fiducia nelle istituzioni, ivi inclusi ricerca e professione (Sonnino et al., 2017).

L’approccio partecipativo capovolge il fallace principio del deficit cognitivo e lo sostituisce con il riconoscimento della simmetria della conoscenza – e quindi della speculare simmetria dell’ignoranza – tra portatori tradizionali di conoscenza (scienziati e professionisti) e pubblico. L’approccio partecipativo prevede che nei processi decisionali relativi allo sviluppo ed alla utilizzazione di nuove conoscenze siano coinvolti tutti i portatori di interesse, ognuno dei quali apporterà i propri contributi (Bubela et al., 2009). Da un lato, il pubblico ha infatti la volontà di (e la forza per) sentirsi partecipe delle decisioni che lo riguardano e non applicatore passivo di tecnologie sviluppate da altri. Dall’altro la ricerca ha l’esigenza di acquisire informazioni sulle reali attitudini e preoccupazioni del pubblico, e la capacità di elaborarle e di interpretarle. L’esperienza della costruzione del Central Artery/Tunnel Project di Boston, per esempio, dimostra che il coinvolgimento nella progettazione delle popolazioni locali, comprese le donne e le minoranze etniche, non ha solo permesso di ottenere una migliore accettazione delle grandi opere pubbliche e del loro impatto, ma ha consentito anche di ottenere risultati migliori da un punto di vista tecnico (Hugues, 1998).

L’approccio partecipativo è congruente con valori di democratizzazione della conoscenza, ma non coincide con la mera applicazione del voto di maggioranza alla validazione del sapere (Tallacchini, 2017). Galilei (1623) affermava che “Se il discorrere circa un problema difficile fusse come il portar pesi, dove molti cavalli porteranno più sacca di grano che un caval solo, io acconsentirei che i molti discorsi facesser più che un solo; ma il discorrere è come il correre, e non come il portare, ed un caval barbero solo correrà più che cento frisoni.” Piero Angela ha recentemente dichiarato che “la velocità della luce non si decide per alzata di mano”, mentre Isaac Asimov parla di “falsa nozione che la democrazia significhi che la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza” (citato in Hayoe, 2017). Al contrario, l’approccio partecipativo prevede cicli iterativi di riflessione collettiva di esperti e non esperti in merito alla generazione ed utilizzazione della conoscenza e la formazione di consenso tra le parti interessate. Questo processo permette la presa di decisioni scientificamente valide e socialmente accettate da parte dei decisori politici. Va infine considerato il problema della rappresentatività: i gruppi più motivati ed aggressivi coincidono spesso con una minoranza poco significativa delle parti coinvolte (Oughton, 2005) e come tali vanno considerati nei processi decisionali.

Un nuovo sistema di relazioni tra scienza, professione e parti sociali 

Per colmare il solco tra scienza e società, tra professione e pubblico, si propone di promuovere un nuovo sistema di relazioni tra scienza, professione e parti sociali fondato sul dialogo e sulla condivisione delle responsabilità. La partecipazione del pubblico nei processi decisionali relativi all’utilizzazione di nuove conoscenze è comunque un processo di trasformazione culturale (Tabella 2) che ha la potenzialità di creare nuove relazioni, di rafforzare capacità, di promuovere procedure di riflessione e apprendimento collettivi, di alimentare la consapevolezza e, quindi di promuovere il cambiamento sociale. I benefici che possono derivare dall’adozione dell’approccio partecipativo possono quindi andare oltre i suoi obiettivi specifici.

Il coinvolgimento del pubblico rappresenta anche il nocciolo del concetto di Responsible Research and Innovation (RRI) adottato dall’European Commission’s Science in Society Programme (Owen et al., 2012) per allineare la ricerca e i suoi risultati ai valori, alle aspettative e alle necessità della società (EC, 2012; EC, 2013). L’approccio RRI propugna ricerca che sia non solo volta all’innovazione ma anche responsabile, nel senso etimologico del termine (responsum abilis o capace di dare risposte alle necessità espresse o tacite della società). La ricerca responsabile richiede capacità di coinvolgere i portatori di interesse fin dalle prime fasi di pianificazione delle ricerche, in modo da renderli pienamente consapevoli dei possibili risultati e delle nuove opportunità e capaci quindi di valutare le diverse opzioni.

Tabella 2 – Trasformazione culturale necessaria per l’approccio partecipativo riferito al settore agroalimentare

  Da A
Obiettivo finale della ricerca Generazione di conoscenze Cambiamento sociale, economico, ambientale
Contratto sociale Scienza per la società Scienza con e nella società
Approccio scientifico Riduzionista (comprensione delle componenti del sistema) Sistemico (comprensione delle relazioni tra le componenti del sistema)
Conoscenza generata Scientificamente solida Scientificamente solida e socialmente accettata
Valutazione Indicatori di risultato (pubblicazioni, brevetti) Indicatori di impatto (cambio sociale, economico, ambientale)
Rapporti con la società Consultazione finale con beneficiari potenziali Diretto coinvolgimento delle parti interessate nei processi decisionali
Tipo di comunicazione Unidirezionale Partecipativa
Strumenti di comunicazione Comunicazione scientifica (Conferenze, articoli scientifici e tecnici) Facilitazione, documentazione, gestione e condivisione di conoscenze
Ambito dell’innovazione Azienda agricola o industria di trasformazione alimentare Territorio
Tipologia di formazione Insegnamento Apprendimento collettivo
Organizzazione del lavoro Merito individuale e competizione tra istituti di ricerca Lavoro di squadra e collaborazione negli e tra gli istituti di ricerca e tra questi e la società

 

Le caratteristiche che dovrebbero conformare questo nuovo sistema di relazioni tra scienza, professione e parti sociali sono le seguenti:

Ambito: progetti di ricerca e sviluppo di tipo applicativo, che possono avere un immediato impatto ambientale, sociale o economico. L’applicazione per la realizzazione di opere pubbliche o per l’esercizio delle professioni della conoscenza richiede ulteriori approfondimenti.

Oggetto: Il dialogo deve comprendere sia gli aspetti scientifici e tecnici della valutazione da effettuare o della decisione da prendere, sia credenze, aspettative, percezioni o preoccupazioni, non importa se scientificamente infondate (Fondazione Lorenzini, 2017), relative alla innovazione da adottare. In altre parole il dialogo deve rispondere non solo alla domanda relativa alla validità e alla sicurezza della nuova tecnologia, ma anche a quelle riguardanti la corrispondenza alle aspettative e alla compatibilità con i timori del pubblico (Sonnino e Sharry, 2017). La comunicazione partecipativa non è quindi basata solo sull’evidenza scientifica, ma è soprattutto centrata sulla gente.

Durata: Come affermato da Valentini et al. (2015), “l’informazione, la comunicazione e la partecipazione del cittadino non possono essere (…) puri incidenti di percorso, ma devono essere parte del processo decisionale”. Il coinvolgimento delle parti interessate deve quindi iniziare dalla identificazione degli obiettivi della ricerca e dell’innovazione tecnologica, in modo da promuovere l’appropriazione dei progetti e l’assunzione collettiva di responsabilità che renderà le scelte tecnologiche individuate realmente applicabili. La comunicazione deve essere quindi considerata come un processo continuo perseguito dalle prime fasi di progettazione della ricerca agli stadi finali di validazione e valutazione di impatto socio-economico e ambientale (Oughton, 2005).

Ampiezza dei gruppi partecipanti: il dialogo deve coinvolgere tutte le parti interessate, in modo da ottenere un ampio ventaglio di opinioni e cogliere la diversità di atteggiamenti dell’uomo della strada. L’ampiezza dei gruppi bersaglio della comunicazione deve quindi risultare dal miglior compromesso possibile tra la ricerca della massima rappresentatività e la gestione dei costi connessi.

Caratteristiche dei gruppi partecipanti: il dialogo deve coinvolgere un pubblico estremamente differenziato per livello di istruzione, genere, età, cultura, attitudini, credenze, aspettative e valori. Si devono quindi adottare strategie comunicative realizzate a misura di ogni singolo gruppo. A tale scopo bisogna condurre progetti di ricerca preliminare ad hoc. Potrebbe essere opportuno dare attenzione alla dimensione territoriale in coerenza con la tendenza dei fenomeni sociali ed economici ad assumere in questa fase una dimensione apparentemente contraddittoria riassunta nel termine glocal. Del resto, anche con riferimento alla sindrome Nimby gruppi molto decisi si costruiscono attorno a questioni locali (esempi recenti i gruppi no-TAV in Piemonte o l’opposizione al TAP in Puglia) che hanno più o meno diretti risvolti globali, come la protezione dell’ambiente. Gruppi si costruiscono anche su obiettivi non di rifiuto, ma di promozione come le associazioni che sostengono le derrate a “Km zero” o il contrasto allo spreco di cibo.

Analoga ampiezza deve caratterizzare gli spettri di competenze presenti nel team di scienziati direttamente coinvolti nel dialogo che deve comprendere oltre agli esperti nelle discipline direttamente convolte, anche skills di portata più generale quali ovviamente economia, sociologia, scienze della comunicazione, ma anche altre soft skills finora non adeguatamente coinvolte, sia di matrice umanistica (per esempio storico-filosofica), sia di interfaccia tra il mondo delle cosiddette STEM e il mondo umanistico quali logica matematica, scienze cognitive, storia e filosofia del pensiero scientifico.

Ricerca preliminare: il dialogo deve essere basato su di un’accurata valutazione del contesto in cui deve avere luogo e quindi sulla comprensione empirica e sistematica di valori, conoscenza e attitudini delle parti coinvolte (Nisbet and Sheufele, 2009). Acunzo et al. (2014) propongono il Field Participatory Rural Communication Appraisal per assegnare priorità ai problemi di comunicazione, identificare le parti interessate, mappare le loro relazioni sociali e analizzare le loro conoscenze, attitudini e pratiche per mezzo di Knowledge, Attitude and Practices (KAP) Survey. Questo approccio è stato utilizzato con buoni risultati in progetti di biosicurezza di organismi geneticamente modificati (Sensi et al., 2009; Sharry, 2013; Kazana et al., 2015).

Metodi partecipativi: Gli strumenti che possono essere utilizzati per consultare il pubblico nei processi decisionali sono numerosi e comprendono le consensus conference, i fori cittadini, i future workshops, gli scenario workshop, gli studi con metodo Delphi, le udienze pubbliche (public hearings), i focus groups e i referendum (Nielsen et al. 2004). Metodi partecipativi sono stati utilizzati con successo in progetti per la formulazione di politiche nazionali di ricerca sulle biotecnologie in vari paesi (Sensi et al., 2009).

Media: il dialogo può utilizzare un mix di media, come internet, giornali, materiale stampato, video, storytelling, radio e TV, riunioni collettive, incontri personali, fiere e mostre. In qualche occasione sono state utilizzate con buona efficacia rappresentazioni teatrali, canzoni e giochi interattivi (Sonnino e Sharry, 2017). Nel mix di media sono da includere anche i cosiddetti social sia per la loro diffusione sia per il diffondersi di effetti di radicalizzazione di posizioni contrapposte alimentato dal noto fenomeno del bias cognitivo consistente nel porre attenzione selettiva, pressoché automatica, esclusivamente sulle notizie e posizioni che confermano i propri convincimenti preesistenti. L’efficacia degli strumenti di dialogo potrà essere rafforzata da moltiplicatori di contatto, con una funzione simile a quelle dei centralini nelle vecchie reti telefoniche: nel nuovo sistema di comunicazione multimediale sono da valorizzare i blogger, gli influncer, i gruppi di dibattito tematico e in genere tutte le associazioni dialogando con le quali si raggiunge una comunità di interlocutori, con effetto non solo di moltiplicazione dei contatti (visibilità), ma anche di sostegno all’autorevolezza del messaggio (credibilità).

Lingue e approccio multiculturale: l problema delle lingue usate nei progetti di comunicazione sta acquisendo importanza crescente, anche in riferimento ai recenti flussi migratori che hanno creato contatti tra genti non in grado di comunicare correttamente tra loro. Con le problematiche linguistiche sono connesse, anche se ben più complesse e profonde, quelle legate al pluralismo culturale, enfatizzate dai già citati fenomeni migratori e più in generale dai processi di globalizzazione in atto. Una personalizzazione dei messaggi, attenta alle diverse sensibilità dovrà combinarsi con una smussatura degli aspetti controversi, ma in prospettiva non dovranno mancare contributi volti alla compatibilizzazione delle diverse culture in vista della costruzione di un sistema multiculturale cooperativo e sinergico.

Proprietà: nel dialogo la comunicazione deve essere chiara e comprensibile da tutti (“chi parla difficile mente”), ma anche onesta e quindi completa e tempestiva, in modo da assicurare la completa trasparenza del processo decisionale e costruire un clima di fiducia e rispetto reciproci. A tale scopo si dovrebbe assicurare la neutralità (assenza di conflitti di interesse) e l’autorevolezza delle fonti informazione. La difficoltà di soddisfare questo requisito è accresciuta nel contesto di Internet (siti, blog e social) dal diffondersi del fenomeno delle fake news a volte lanciate e diffuse solo per superficialità e credulità, ma molto spesso propalate con fini di marketing e perfino di influenza sociopolitica a fini di parte o addirittura di tentata destabilizzazione. Non sono mancati purtroppo esempi in tal senso, anche recentemente.

Formazione: per applicare il metodo partecipativo è necessario contare su comunicatori, mediatori e/o facilitatori adeguatamente formati e dotati quindi dei soft skills occorrenti. La presenza di queste figure professionali può anche contribuire a contenere una complessità aggiuntiva che si presenta nel rapporto tra il grande pubblico e il mondo della scienza, derivante dalla circostanza che da tempo la scienza in molti settori ha sostituito la formulazione di leggi deterministiche con l’enunciazione di regole probabilistiche. Questo vale non solo in medicina ma anche in altri ambiti come le scienze dell’alimentazione nel senso che certi interventi o certi comportamenti non sempre corrispondono a esiti certi e modificano invece la probabilità di accadimento di fenomeni correlati; fenomeno questo di particolare rilievo in presenza di una pluralità di concause (dipendenza multifattoriale). Più in generale va tenuto presente che non sempre è chiaro alla pubblica opinione il concetto di rischio che va declinato in probabilità di accadimento, natura ed entità del danno e possibilità di porvi rimedio. Altrettanto importante è da parte dei comunicatori la gestione della differenza fra rischio reale (o meglio professionalmente stimato) e rischio percepito. Inoltre, è importante la comprensione della distinzione tra l’esistenza di una generica correlazione temporale tra due fenomeni (nel senso di sovrapponibilità dei rispettivi andamenti temporali o post hoc) e la presenza di un effettivo rapporto di causa effetto tra i due fenomeni (propter hoc)[2].

Dal Garante alla Governance: Un rilievo particolare nel nuovo sistema di relazioni viene ad assumere la figura del “Garante”. Archiviate le ipotesi che questo ruolo potesse essere assicurato dalla comunità scientifica o dalle istituzioni politiche e in effetti anche da testimonial di prestigio riconosciuti super partes (per lungo tempo questo ruolo è stato per esempio svolto dal prof. Veronesi) si è dato spazio a nuove istituzioni (denominate Agenzie o più frequentemente Autorità) le cui caratteristiche di competenza e indipendenza dovrebbero farne riconoscere appunto il ruolo di garanzia super partes. La loro collocazione a livello internazionale è stata da alcuni ritenuta, forse illusoriamente, un fattore di aumento della credibilità (come esempio si possono citare l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità; l’EMA; l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, EFSA). L’intervento di queste istituzioni ha portato qualche miglioramento alla qualità del dibattito e soprattutto qualche contenimento delle opposizioni immotivate, ma va riconosciuto che non è stato risolutivo.

Considerazioni non dissimili possono applicarsi all’intervento della magistratura in particolare di quella amministrativa deputata a valutare la legittimità delle decisioni. La pluralità dei gradi di giudizio, la disuniformità della giurisprudenza e la non completa fiducia da parte di larghi strati della popolazione hanno fatto sì che le relative sentenze, efficaci quando decidano il blocco di nuove iniziative, non siano risolutive quando invece confermino una decisione amministrativa di procedere. Quanto alle forze dell’ordine e alla magistratura penale, i loro ruoli volti alla prevenzione e alla repressione dei reati è distante – e tipicamente successivo – rispetto ai processi di informazione e decisione e va considerato come un’estrema salvaguardia contro la patologia, non parte sistematica della fisiologia.

Rimane quindi ineludibile l’esigenza di modificare gli attuali processi decisionali, sia quelli formali sia quelli informali, superando in qualche modo la figura del Garante, in applicazione di una tendenza generale a non far riferimento a forme di delega che non a caso sono concettualmente alternative al concetto di partecipazione diretta. Si può riconoscere la tendenza verso forme di guida collettiva “soffice”, a volte denominata governance, basata su regole trasparenti che tendono a far coincidere la garanzia con le regole e il processo di loro implementazione. Pur con i suoi limiti Wikipedia offre un interessante esempio di concertazione avente le caratteristiche qui delineate. Del resto la tendenza meno delega e più partecipazione si sta manifestando diffusamente, sia pure in forme eterogenee e altalenanti, nel rapporto tra cittadini e politica.

Conclusioni

La partecipazione attiva delle parti interessate ai processi decisionali implica un difficile cambio di mentalità nella azione pubblica, che richiede tempo e volontà politica. Il ruolo delle autorità competenti passa da “agire per conto dei cittadini” a “catalizzare l’azione dei cittadini”, allargando il processo decisionale a una platea più ampia di attori sociali. Il processo partecipativo diventa così un fattore di sviluppo locale che va oltre il valore delle decisioni che devono essere prese.

L’approccio proposto ha un costo e richiede quindi adeguati investimenti. I rendimenti sono rappresentati dallo sviluppo di conoscenze e tecnologie che rispondono alle esigenze della società e che quindi, oltre a essere scientificamente solidi, siano anche largamente accettati, approvati e applicati senza resistenze sociali. Le decisioni prese senza coinvolgere le parti interessate, anche qualora fosse possibile procedere efficacemente in assenza di consenso,  possono infatti risultare meno care nel breve termine, ma poi rivelarsi applicabili solo ad un alto costo sociale.

I concetti esposti in questo lavoro sono stati finora validati in numero limitato di progetti implementati in aree geografiche e in ambiti tecnologici molto diversi tra loro: oltre al già citato caso del Central Artery/Tunnel Project (Hugues, 1998), altri esempi riportati in letteratura sono un progetto di ingegneria climatica (Stilgoe et al., 2013), un progetto di introduzione di salmone geneticamente modificato nell’Europa del Nord (Bremer et al., 2015) e un progetto di modificazione genetica di topi per prevenire la la diffusione della malattia di Lyme (Borel, 2017). Anche in Italia, alcuni progetti di ricerca e dimostrazione hanno ottenuto risultati rilevanti mediante il coinvolgimento diretto degli attori sociali interessati (vedi per esempio Carrabba et al. 2013).

Considerando l’alto grado di specificità delle innovazioni tecnologiche e dei contesti socio-economici in cui vengono adottate, sarebbe certamente necessario affrontare un programma di valutazione e validazione più ampio e sistematico prima di poter trarre conclusioni definitive sull’appropriatezza dell’approccio partecipativo e su come affinarne le modalità operative. L’adozione di un nuovo sistema di relazioni tra scienza, professione, amministrazione pubblica e parti sociali dipende comunque dalla volontà dei responsabili politici, volontà che iniziative come quella qui esposta possono contribuire a stimolare, quanto meno attraverso la dimostrazione in casi concreti che il nuovo sistema di relazioni proposto non è utopico.

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[1] http://www.nimbyforum.it

[2]  Un’illustrazione semplicistica, ma sostanzialmente corretta di questo problema può essere trovata in questo articolo.

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Banchetto nuziale - Pieter Brueghel Il Vecchio
Banchetto nuziale – Pieter Brueghel Il Vecchio

Redazione Fidaf

6 pensieri su “Dialoghi per la costruzione di processi decisionali efficaci

  1. Complimenti per il documento del quale apprezzo sia l’approccio sia i contenuti.
    Propongo di aggiungere una frase che sottolinei come nella nostra società informarsi e documentarsi sia non solo un diritto, ma un dovere verso se stessi e verso la società.
    Questa tesi è sostenuta per esempio in un libro del filosofo Salvatore Natoli: “Scene della verità”
    https://www.ibs.it/scene-della-verita-libro-salvatore-natoli/e/9788837231606
    che affronta tematiche attinenti agli argomenti che l’Osservatorio si propone di affrontare

  2. Il documento e il tema trattato sono di indubbio interesse. Complimenti agli autori.
    La necessità di creare una maggiore sintonia tra scienza e tecnologia da un lato e società civile dall’altro è sempre più sentita e l’analisi proposta qui è completamente condivisibile e il coinvolgimento fin dalle fasi iniziali dei portatori d’interessi (il pubblico) è un presupposto per poter definire decisioni condivise e un sostanziale consenso dei progressi scientifici e tecnologici e delle relative applicazioni da parte della società.
    Come ben evidenziato, non si tratta solo di informare, ma di creare processi decisionali partecipati. E’ chiaro come una società con elevato grado di istruzione e ben informata possa meglio partecipare alle decisioni. L’informazione deve essere solida, chiara e comprensibile, anche per combattere una disinformazione ancora molto comune (ad esempio, fake news).
    Quindi servono investimenti significativi, ma che possono ricreare una reciproca fiducia tra ricerca, politica e società.

    1. l documento e il tema trattato sono di indubbio interesse. Complimenti agli autori.
      La necessità di creare una maggiore sintonia tra scienza e tecnologia da un lato e società civile dall’altro è sempre più sentita e l’analisi proposta qui è completamente condivisibile e il coinvolgimento fin dalle fasi iniziali dei portatori d’interessi (il pubblico) è un presupposto per poter definire decisioni condivise e un sostanziale consenso dei progressi scientifici e tecnologici e delle relative applicazioni da parte della società.
      Come ben evidenziato, non si tratta solo di informare, ma di creare processi decisionali partecipati. E’ chiaro come una società con elevato grado di istruzione e ben informata possa meglio partecipare alle decisioni. L’informazione deve essere solida, chiara e comprensibile, anche per combattere una disinformazione ancora molto comune (ad esempio, fake news).
      Quindi servono investimenti significativi, ma che possono ricreare una reciproca fiducia tra ricerca, politica e società.

  3. Il problema è cruciale per il futuro. La trattazione sopra esposta è senza dubbio di alto livello e condivisibile, ma a mio avviso ha trascurato alcuni aspetti. Alcuni (troppi) ricercatori (non chiamiamoli scienziati) hanno fatto comunicazioni allarmistiche, cavalcando campagne di marketing tanto di moda oggi nel sollevare paure tra la popolazione, al solo scopo di ottenere fondi per le loro ricerche. Un esempio: OMS è finanziata per il 25% da fondi pubblici, e per il 75% da fondi privati, che difficilmente elargiscono soldi in cambio di nulla. L’inserire le carni rosse tra i cibi potenzialmente cancerogeni senza porre l’accento sulle dosi potenzialmente pericolose è eticamente riprovevole. Si assiste alla corsa a sperimentazioni agronomiche sulle coltivazioni cosiddette “biologiche”, di durata annuale o biennale, quindi non significative, che si concludono con risultati incoraggianti, ma bisognosi di altri fondi per proseguire il lavoro. Nelle premesse si evidenziano sempre allettanti vantaggi per la salute dei consumatori, date per scontate. Questo metodo di esagerazione dei pericoli e di promesse di soluzioni miracolistiche ha contribuito a ridurre la credibilità della scienza, da parte di un pubblico con scarsa preparazione scientifica, che si aspetta sempre dei miracoli dalla scienza, ma solo quando si trova nel bisogno. Quindi considero ottima l’analisi per migliorare la comunicazione, ma deve essere integrata con una maggiore attenzione della scuola alla scienza (quanti Italiani sono in grado di esporre il fondamento del metodo scientifico, come enunciato da Galileo?) e soprattutto dalla credibilità delle ricerche scientifiche. Il caso di Seralini sugli OGM, e molti altri, dovrebbero suggerire agli scienziati delle contromisure serie contro i colleghi disonesti.

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