Di che cosa è fatta la mente

Di che cosa è fatta la mente

Lucrezio e l’anima
Ignoratur enim quae sit natura animai … afferma Lucrezio nel De Rerum Natura (Libro I° verso 101 e segg.). E pone con straordinaria chiarezza i termini di un problema ancor oggi dibattuto:
Non sappiamo quale sia la natura dell’anima, se essa nasca con noi o venga infusa alla nascita dall’esterno, e, con la morte, se perisca anch’essa o vada a visitare le tenebre dell’Orco e il vuoto infinito, o ancora trasmigri miracolosamente in altri esseri …
Ma Lucrezio, seguace di Democrito ed Epicuro, non mostra dubbi:
negli esseri viventi non esiste né prima della nascita né dopo la morte, piuttosto nasce e muore con e come il corpo.
Mente e materia
Fin dall’antichità si è dibattuto sulla relazione tra due classi di fenomeni: quelli ascrivibili al mondo fisico (alla ύσις secondo i greci) e quelli che esulano dalla dimensione corporea e materiale (relativi pertanto alla ψυχή). Cartesio parlò di res extensa e res cogitans. In termini più moderni, ma non meno efficaci, oggi ci riferiamo alla materia e alla mente. Coloro che riconducono tutti i fenomeni alla prima vengono detti materialisti, mentre per gli idealisti la materia è riducibile alla mente. Coloro che sostengono la separatezza tra le entità e i fenomeni materiali da un lato e quelli mentali dall’altro sono definiti dualisti, dei quali una parte afferma che mente e materia non interagiscono, mentre per altri mente e materia interagiscono, influenzandosi a vicenda.
La posizione dualista di Cartesio è stata bersaglio di duri attacchi.
I cavalli di Ryle
In The Concept of Mind (1949), Gilbert Ryle, professore di filosofia metafisica a Oxford e allievo di Wittgenstein, afferma che l’idea di una mente come entità indipendente, che abita e controlla il corpo, va rifiutata come un rimasuglio superfluo di un periodo antecedente lo sviluppo della biologia moderna e che non può più essere preso alla lettera. Parlare di una mente e un corpo come entità separate può avere solo la funzione di descrivere metaforicamente le abilità di organismi complessi, come strategie per la risoluzione di problemi, capacità di astrazione e generalizzazione, di generare ipotesi e metterle alla prova, eccetera, in relazione al loro comportamento. Con il breve brano che segue Ryle racconta come nacque l’espressione “the ghost in the machine”.
anoSi dice che alcuni contadini fossero terrorizzati alla vista della prima locomotiva a vapore. Il loro Pastore tenne loro un discorso per spiegare il funzionamento di quella macchina. Allora un contadino disse: “Va bene, Pastore, noi comprendiamo quanto ci dite della macchina a vapore; ma dentro c’è un cavallo, non è vero?”. Erano così abituati a pensare a carri trainati da cavalli che non potevano concepire l’esistenza di veicoli in grado di muoversi con mezzi propri.
La storia continua. I contadini esaminarono la macchina e ficcarono il naso in ogni suo angolo più riposto; poi dissero: “Certo, non possiamo vedere né sentire né toccare il cavallo che è qui dentro; siamo stati giocati. Ma sappiamo che un cavallo c’è; sarà, allora, lo spirito di un cavallo che, come nei racconti delle fate, si nasconde agli occhi umani”.
Il Pastore obiettò: “Ma, dopo tutto, anche i cavalli sono fatti di parti che si muovono come una macchina a vapore. Voi sapete che cosa fanno i loro muscoli, le loro giunture e i loro vasi sanguigni. E perché dovrebbe esserci un mistero nell’autopropulsione della macchina a vapore, quando non c’è nessun mistero in quella di un cavallo? Che cosa pensate che faccia andare avanti e indietro gli zoccoli del cavallo?”.
Dopo una pausa un contadino rispose: “Ciò che fa andare gli zoccoli del cavallo sono quattro piccoli spiriti di cavalli nascosti dentro di essi.”
Ryle si ferma ai quattro piccoli spiriti di cavalli, ma, a ben pensare, si potrebbe continuare con una regressio ad infinitum, simile a quella di una antica credenza indù. In base a questa la Terra non cade perché poggia sul dorso di quattro elefanti, i quali non cadono perché sono sorretti da una tartaruga che a sua volta è sostenuta da un serpente. E’ chiaro che non si deve chiedere a un indù chi è che sorregge il serpente: è probabile che vada su tutte le furie.
L’errore di Cartesio
Antonio Damasio, neuroscienziato portoghese, ne L’errore di Cartesio: Emozione, ragione e cervello umano (Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, 1994) non si riferisce di certo alla teoria dei vortici celesti né al singolare ruolo attribuito alla ghiandola pineale, ma piuttosto alla posizione dualista interazionista del filosofo francese.
Damasio esplora l’essenziale valore cognitivo del sentimento, contro la drastica separazione tra emozione e intelletto introdotta da Cartesio, prendendo spunto dal celebre caso di Phineas Gage. Nell’estate del 1848 il venticinquenne Gage, caposquadra di un’impresa di costruzione, subì un grave incidente sul lavoro. A seguito di una violenta esplosione, i compagni assistettero a una scena surreale. Una barra di ferro lunga 110 cm e pesante 6 kg penetrò nella guancia sinistra del giovane, forando la base della scatola cranica, attraversando la parte frontale del cervello e fuoriuscendo rapida dalla sommità della testa. Contro ogni previsione Gage non rimase ucciso, sarà anzi lui stesso, dopo poche ore, a rispondere alle domande del giovane medico Edward Williams sulle circostanze dell’accaduto. John Harlow, il medico che seguì direttamente il caso di Gage, osservò come la lesione da egli riportata in corrispondenza di quella che lo stesso medico denominò corteccia cerebrale prefrontale, potesse essere collegata al suo repentino cambiamento di personalità. Da uomo equilibrato, cortese, abile e avveduto negli affari, Gage divenne bizzarro, insolente, incapace di prendere decisioni vantaggiose per se stesso o di pianificare il proprio futuro come essere sociale. Con l’analisi di altri casi clinici storici Damasio osserva come lesioni a diversi siti cerebrali specifici possano condurre a simili alterazioni nel campo della ragione e del sentimento, inferendo l’interazione “tra i sistemi sottesi dai normali processi dell’emozione, del sentimento, del ragionare e del decidere.”
L’homunculus e il teatro cartesiano
Secondo la teoria dell’homunculus, le nostre funzioni esecutive sarebbero governate da un piccolo essere, un omuncolo appunto, collocato un gradino al di sopra della nostra coscienza. Ad esempio, nel caso della visione umana, mentre la luce esterna forma una sequenza di immagini sulla retina, l’omuncolo, situato all’interno del cervello, la osserverebbe come se assistesse ad una rappresentazione teatrale (da ciò l’espressione teatro cartesiano). I detrattori di questa teoria pongono un legittimo quesito: come tale omuncolo vede lo spettacolo? La risposta è ovvia: all’interno del suo cervello c’è un secondo omuncolo che osserva la retina del primo … e così via. Il tentativo di spiegare un fenomeno nei termini dello stesso fenomeno che si vuol spiegare conduce ad una situazione di regressione infinita.
Un’occhiata dentro il cervello
Il cervello è forse l’oggetto più misterioso dell’universo. 100 miliardi di neuroni – cellule come minuscoli computer a bioelettricità – racchiusi nella scatola cranica, ciascuno dotato di sofisticatissime interfacce che li collegano con il corpo e con i sensi aperti sul mondo; una massa cerebrale grande approssimativamente come un melone e un meraviglioso intrico di centinaia di migliaia di chilometri di cellule a forma di cavi; una trama di numerosissime connessioni, attraversata da minuscole e rapidissime scariche elettriche e continuamente modificata e riplasmata, che assorbe a riposo un quinto di tutta l’energia generata dal corpo, ed è equiparabile a una lampadina da 20 Watt sempre accesa.
Attraverso sofisticate tecniche di imaging (PET, FMRI, TAC, SPECT), che forniscono informazioni sulla morfologia, l’attività e il metabolismo di organi e tessuti, oggi i neuroscienziati possono indagare l’oggetto “cervello” mentre è in azione, formulare teorie e concepire esperimenti per la loro validazione. Ambiziosi obiettivi ultimi di questi studi sono la mente, la coscienza, l’io, il libero arbitrio, le sensazioni soggettive.
Teorie generali della coscienza basate sui dati empirici ricavati dallo studio del cervello sono state formulate. Grandi scienziati hanno ipotizzato modelli in cui tracciano l’identità tra l’attività cosciente e una corrispondente attività cerebrale. A questo proposito il premio Nobel, Francis Crick afferma:
L’ipotesi straordinaria è che proprio tu, con le tue gioie e i tuoi dolori, i tuoi ricordi e le tue ambizioni, il tuo senso di identità personale e il tuo libero arbitrio, in realtà non sia altro che la risultante del comportamento di una miriade di cellule nervose e delle molecole in esse contenute. Come avrebbe detto l’Alice di Lewis Carrol: non sei altro che un pacchetto di neuroni.
Filosofia e scienza a braccetto
Ne L’Io e il suo Cervello Karl Popper e John Eccles, coniugano filosofia della scienza e neurobiologia per dare soluzioni ad uno dei più grandi enigmi della cosmologia: la coscienza. Entrambi dualisti interazionisti, ripropongono una moderna forma di cartesianesimo come teoria credibile, sottolineando, di contro, gli insoddisfacenti risultati ottenuti dagli scienziati e dai filosofi riduzionisti.
Nagel e il pipistrello
Thomas Nagel è uno dei maggiori esponenti della teoria internista, che afferma l’indipendenza dei fatti mentali e l’autonomia della mente rispetto al mondo esterno, convinto che la coscienza e l’esperienza soggettiva non possano essere ridotti ad un’attività cerebrale basata su impulsi e sensazioni: un punto di vista che si può quindi definire come una forma di antiriduzionismo. Egli sostiene che l’esperienza soggettiva della coscienza non può in nessun modo essere colta attraverso i metodi oggettivi della scienza: la scienza, alla ricerca di una descrizione generale e oggettiva della natura, non potrà mai fare proprio il carattere costituzionalmente soggettivo della mente umana. Di conseguenza, Nagel ritiene che il problema mente-corpo non si ponga nemmeno, o se non altro non si possa porre in modo sensato, poiché sembra improbabile concepire una teoria fisicalistica della mente.
Uno degli articoli più famosi di Nagel è certamente quello intitolato “Che effetto fa essere un pipi-strello?”, uscito nel 1974 su The Philosophical Review. Si tratta di un punto di riferimento essenziale per chi nutre interessi filosofici e scientifici riguardo al tema della coscienza: questo scritto contiene infatti già buona parte delle argomentazioni che hanno animato il dibattito filosofico recente sulla natura della coscienza.
L’articolo nasce da una riflessione molto semplice: cosa significa condividere la stessa realtà per esseri con apparati sensoriali così diversi come l’uomo e il pipistrello?
La tesi di fondo sostenuta da Nagel è che possiamo conoscere solamente i processi fisici attraverso i quali avvengono gli eventi mentali ma non possiamo sapere cosa si prova quando questi accadono, a meno che non accadano nella nostra mente.

Gli zombi di Chalmers
Il maggior contributo di David Chalmers alla filosofia della mente è stata l’individuazione e la separazione di due diversi problemi inerenti alla coscienza:
• Il cosiddetto easy problem, che riguarda l’individuazione di modelli neurobiologici della coscienza; considerati gli enormi progressi della ricerca in campo neuroscientifico, infatti, è relativamente semplice, dal punto di vista teorico, trovare correlati neurali dell’esperienza cosciente; tuttavia, questo approccio alla coscienza, secondo Chalmers, non spiega affatto il carattere soggettivo ed irriducibile che essa ha per il soggetto cosciente;
l’hard problem, che è relativo alla spiegazione degli aspetti qualitativi e soggettivi dell’esperienza cosciente, che sfuggono ad un’analisi fisicalista e materialista.
Il più famoso argomento a priori per dimostrare l’esistenza stessa di un problema difficile della coscienza è quello degli zombi, che Chalmers definisce come entità fisicamente identiche, cellula per cellula, a esseri umani, ma prive di coscienza. Poiché, argomenta Chalmers, possiamo immaginare un mondo fisicamente identico al nostro ma in cui siamo tutti zombie (nessuno di noi prova soggettivamente qualcosa), allora le caratteristiche qualitative dell’esperienza non sopravvengono logicamente sul mondo fisico. Per quanto detto sopra, questo significa che possiamo riduttivamente spiegare la biologia in termini di proprietà fisiche ma non la coscienza. Questo tipo di posizione trova naturale connotazione tra i “dualismi” proposti nella storia da molti filosofi, ma, come Chalmers giustamente sottolinea, il suo argomento è compatibile con una pluralità di ontologie di fondo, tra cui il monismo neutrale, secondo il quale entrambi gli aspetti, fisico e mentale, si possono ridurre a una non meglio definita terza sostanza o forma di energia.
Mary e la vita grigia
Nella filosofia della mente si definiscono qualia gli aspetti qualitativi, strettamente individuali e soggettivi, delle esperienze coscienti.
Nel 1986 il filosofo australiano Frank Jackson pubblicò un articolo che ebbe un importante successo negli ambienti filosofici internazionali: Ciò che Mary non sapeva.
Mary è nata e cresciuta in una stanza priva di colori; in altri termini è sempre vissuta “in bianco e nero”. Peraltro Mary ha letto molti libri di neurofisiologia ed è pertanto una grande esperta del funzionamento del cervello. Mary, ad esempio, sa come il sistema visivo umano distingue le diverse frequenze dello spettro elettromagnetico, e quindi cosa siano i colori. Supponiamo ora che Mary sia liberata e fatta uscire dalla stanza. Per la prima volta Mary vedrà i colori e apprenderà, per esempio, com’è vedere un colore rosso anche se sa come il suo apparato sensoriale lo distingue dalle altre frequenze delle spettro elettromagnetico. Paradossalmente, quindi, Mary apprenderà qualcosa di nuovo riguardo ai colori anche se già sapeva cosa fossero.
Questo argomento, secondo Jackson, smentisce il fisicalismo, il quale si basa sostanzialmente su descrizioni in terza persona ma non può far proprie quelle in prima persona, sebbene queste aggiungano qualcosa di nuovo all’esperienza. Pertanto se i qualia non esistessero non dovrebbero aggiungere nulla all’esperienza dei colori di Mary, al contrario Mary per la prima volta ha appreso com’è vedere un colore rosso, quindi i qualia esistono.
Il cane di Pavlov e il gatto di Schroedinger
Fino a quando la fisica è rimasta materialistica e deterministica è stato impossibile far rientrare in essa i fenomeni mentali, a causa delle loro caratteristiche di immaterialità e non determinismo (nella forma della libertà, o del libero arbitrio). L’avvento della meccanica quantistica, i cui fenomeni esibiscono caratteristiche analoghe, sembra però aver aperto la possibilità di coerenti descrizioni fisiche della mente, sia moniste che dualiste.
Può dunque essere ormai prossimo il superamento dell’attuale situazione paradossale, in cui si possiedono precise teorie scientifiche dei fenomeni materiali che si conoscono indirettamente (mediante i sensi), ma solo vaghe teorie filosofiche dei fenomeni mentali che si conoscono invece direttamente (per introspezione). Secondo Roger Penrose, matematico, fisico e cosmologo inglese, il cui nome sarà sempre associato a quello di grandi scienziati come Albert Einstein e Stephen Hawking, la coscienza potrebbe essere il risultato di fenomeni quantistici ancora ignoti, che rientrerebbero in una nuova teoria capace forse di unificare la relatività con la meccanica quantistica. Questa teoria, che è stata ampiamente criticata da neuroscienziati, logici e filosofi, ha suscitato grande interesse in Stuart Hameroff, anestesiologo statunitense, che ha proposto allo scienziato inglese i suoi microtubuli neurali come i candidati idonei a supportare l’elaborazione quantistica nel cervello.
Tucson: scienza, filosofia e … meditazione
Forse un significativo passo in avanti verso la soluzione del problema della coscienza può pervenire raccogliendo i contributi provenienti da tutte le discipline che, in un modo o nell’altro, si sono occupate dell’argomento.
E’ quanto si tenta di fare con le conferenze di Tucson, che affrontano il tema della coscienza così come studiato dal punto di vista di: neuroscienze, filosofia, psicologia, biologia, meccanica quantistica, meditazione e analisi degli stati alterati. Si tengono ogni anno e sono organizzate dal Center for Consciousness Studies dell’Università dell’Arizona, i cui co-presidenti sono Stuart Hameroff e David Chalmers. Sono frequentate da centinaia di studiosi di circa sessanta paesi diversi. Il Dalai Lama, attivo partecipante alle conferenze, sintetizza lucidamente l’obiettivo ultimo di tali eventi: mettere in comune le competenze della “scienza occidentale”, in grado di fornire straordinarie informazioni ottenibili da analisi “dall’esterno”, e le esperienze provenienti dall’introspezione, dalla meditazione e dalla induzione di stati alterati, tipico patrimonio dell’”approccio orientale” al problema della coscienza.

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Redazione Fidaf

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