Cosa dice il testo della Commissione Ue sulla genomica in agricoltura
Il regolamento della Commissione Ue sulle TEA si prospetta complesso e non privo di incongruenze, ma con il grande merito di spostare il focus dalla tecnica al prodotto
Con un ritardo tutto sommato contenuto sulla tabella di marcia, prefissata un paio di anni fa, la Commissione europea ha presentato il 5 luglio scorso la sua proposta legislativa per le TEA, le Tecniche di Evoluzione Assistita, o New Genomic Techniques, come si chiamano fuori dall’Italia. Molti sono i passi formali che hanno portato a questa proposta. Nell’aprile del ’21 la Commissione aveva illustrato a Parlamento e Consiglio uno studio comprendente i pareri di EFSA, del Joint Research Center europeo, di esperti di etica e aveva sentito i portatori di interesse. Erano stati esaminati aspetti scientifici, commerciali, giuridici, sociologici, brevettuali e valutati i rischi e la sicurezza d’uso. La conclusione era stata che le TEA hanno grandi benefici potenziali per la sostenibilità e il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal e che una revisione normativa era urgente, dato anche il fatto che le queste tecniche stavano andando incontro ad una grande espansione fuori dall’Ue.
A seguito di questi passaggi la Commissione aveva sottomesso a pubblica consultazione con scadenza nel luglio del ’22 una “Legislazione per le piante prodotte con alcune tecniche genomiche”, con l’obiettivo di giungere ad un quadro regolatorio proporzionato, con alto livello di protezione della salute umana, animale e ambientale, funzionale agli obiettivi del Green Deal e della Farm to Fork e che permettesse di godere dei benefici di queste innovazioni. La nuova “Legislazione per le piante prodotte con alcune nuove tecniche genomiche” ha un approccio decisamente innovativo rispetto alla precedente normativa di regolamentazione di piante ottenute da biotecnologie: la direttiva 18/2001 che definisce e regola l’immissione nell’ambiente delle piante OGM. In questo caso, infatti, si dividono le piante NGT, o TEA per dirla all’italiana, in due categorie.
Proviamo ad entrare nel merito di una norma che si prospetta un po’ farraginosa, senz’altro piuttosto complessa e non priva di incongruenze, ma che ha il grande merito di cominciare a spostare il focus dalla tecnica al prodotto, cosa che scienziati e agricoltori chiedevano a gran voce da molto tempo.
Le piante NGT di categoria 1 saranno quelle simili alle convenzionali. Per queste l’iter prevederà una procedura di verifica non ancora chiaramente definita, comunque non un’autorizzazione in senso stretto. Le prove in campo si potranno tenere in uno Stato membro, nel qual caso saranno le autorità nazionali a effettuare la procedura di verifica, oppure al di fuori dell’Ue e allora sarà l’Unione stessa ad occuparsi della verifica. È previsto un database pubblico di queste piante; quanto all’etichettatura NGT, sarà necessaria per i materiali riproduttivi, ma non per i prodotti finali che arrivano al consumo. In quanto convenzionali, le piante NGT 1 saranno derogate dalle norme sugli OGM, tranne che nel caso dell’agricoltura biologica: le associazioni dei produttori biologici hanno chiesto di vietarne l’uso nel loro settore. Se le piante NGT di categoria 1 dovessero presentare sostanziali cambi nella composizione nutrizionale, saranno sottoposte alla legge sui novel food. Come capire se una pianta ricade in categoria 1? Dipende dall’entità delle modifiche. Nell’annesso 1 alla proposta di legge si specifica nel dettaglio cosa significhi: per esempio se si inseriscono o sostituiscono fino a 20 nucleotidi (le “lettere dell’alfabeto” di cui è composto il DNA; quindi pochissimi); se si eliminano nucleotidi; rispettando alcune condizioni si possono inserire sequenze provenienti dal pool genico già disponibile per la specie; si possono fare inversioni mirate di pezzi di sequenze. Cioè, si fa esplicito riferimento al fatto che le sequenze di DNA già esistano nella specie e nel materiale a disposizione dei riproduttori. Si dice in pratica: se non è una novità non ci desta preoccupazione, possiamo alleggerire la regolamentazione.
Tutte le altre piante ricadono nella categoria 2, e questo è forse il passaggio in cui la norma avrà bisogno dei maggiori chiarimenti. Per quel che è dato di capire ora, le piante di categoria 2 rimarranno soggette alle norme sugli OGM, comprese tracciabilità ed etichettatura, e saranno soggette ad autorizzazione basata su una valutazione del rischio giudicata caso per caso. Quest’ultimo passaggio è cruciale, perché come già evidenziato si smette di sostenere che una tecnica sia pericolosa per sé, e si passa finalmente a giudicare le qualità e caratteristiche del prodotto: una rivoluzione, per certi versi, chiesta da tempo e che ha una logica solida dal punto di vista scientifico. Saranno previsti incentivi per chi presenterà piante NGT 2 che contribuiranno a raggiungere obiettivi di sostenibilità; gli incentivi saranno maggiori per le Pmi. Anche queste saranno proibite nel biologico per espressa richiesta del settore. Interessante notare che gli Stati membri non potranno avvalersi dell’opt out, cioè della facoltà di proibirne la coltivazione come sta facendo l’Italia con gli OGM autorizzati. Quindi gli agricoltori italiani potranno senz’altro coltivare anche le piante NGT 2. Venendo a un primo giudizio su questa proposta, ci sono alcuni aspetti di difficile implementazione. Per esempio, non sarà obbligatorio indicare un metodo univoco di rilevamento se si dimostra che non è possibile farlo; pertanto, come garantire che venga rispettata la proibizione nel biologico? Poco sensata, a mio avviso, ma questo hanno chiesto le associazioni dei produttori. Gli Stati membri dovranno implementare misure di coesistenza: come farlo con qualcosa che potrebbe non essere riconoscibile? Di più, in particolare per le NGT 1: perché farlo con qualcosa che è considerato simile al convenzionale, il quale non viene tracciato?
Di certo non affidandosi semplicemente a controllo cartaceo, che ha già dimostrato la propria debolezza. E chi pagherà questi costi di tracciabilità? Non appare corretto – questo a Bruxelles è già stato fatto presente in modo netto – che li paghi chi sta utilizzando i frutti di una ricerca che, spesso, porta ad agricoltura più sostenibile grazie alle innovative TEA. Inoltre, si prevedono difficoltà per il fatto che le procedure di verifica precedenti la messa in campo delle TEA/NGT saranno, in diversi casi, gestite dai singoli Stati membri: sarà necessario vigilare su equo accesso all’innovazione e inclusione per tutti gli agricoltori europei. Quali sono i passi successivi per l’approvazione della legge? Inizierà ora un lungo iter di discussione che vedrà coinvolto il Parlamento Europeo e il Consiglio. L’auspicio è che i tempi siano brevi visto che il semestre di presidenza spagnola si è aperto con chiare intenzioni a giungere ad un’approvazione al più presto. Ma dopo di questo ci sarà il semestre bianco pre elettorale e il timore concreto è che tutto slitti al prossimo Parlamento, con un allungamento dei tempi che la ricerca e l’agricoltura europee faticherebbero a conciliare con l’urgenza di lavorare per la sostenibilità economica e aziendale del settore.
L’articolo è disponibile sull’ultimo numero di Mondo Agricolo online.