Conoscere e arginare il greenwashing
La parola inglese “greenwashing”, proveniente dal settore del marketing, è composta da “green” verde e “washing” che vuol dire lavaggio. È in assonanza con il termine brainwashing che letteralmente significa “lavaggio del cervello” ed indica una strategia di comunicazione (pubblicità o marketing) volta a sostenere e valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa, non supportata da risultati reali e credibili. Ciò avviene quando la declamata sostenibilità non trova effettivo riscontro nelle caratteristiche dei beni o servizi venduti. Il green claim si trasforma così in artifizio. E si sa, oggi l’attenzione all’ambiente domina le strategie comunicative e, di conseguenza, si fa abuso di persuasivi proclami attinenti ad una presunta sostenibilità ambientale.
Tracce di greenwashing possono emergere da una comunicazione troppo generica ed approssimativa, che non si fonda su dati robusti e concreti. Se ne riconoscono indizi quando il messaggio è teso a forzare i benefici ambientali conseguiti presentandoli in modo eccessivamente enfatico rispetto a quelli della stessa categoria di aziende concorrenti. E nondimeno può accadere che gli stessi responsabili di una azienda cadano nell’errore di puntare tutto su un particolare beneficio ambientale o sociale incardinando su questo l’intera strategia di comunicazione, senza tenere conto di altri aspetti che sono altrettanto rilevanti.
Efficacia e correttezza della comunicazione possono, insieme, fungere da antidoto alla tinta sbiadita del greenwashing: anche se solo una delle due non è presente l’informazione rischia di risultare fiacca. Una comunicazione ambientale è infatti efficace se arriva al destinatario influenzandone le convinzioni e le scelte sul mercato affinché il consumatore scelga quel prodotto rispetto alla concorrenza. La correttezza coincide invece con la veridicità, la non ingannevolezza delle informazioni.
Apporre degli indicatori sull’impatto ambientale del prodotto, ad esempio sull’etichetta, coincide con la dimensione della correttezza ma potrebbe non risultare efficace se non viene compresa dal consumatore. Giungere ad un punto di equilibrio tra efficacia e correttezza vuol dire trasmettere un messaggio dotato di una performance ambientale attendibile e concreta espresso in una forma comprensibile e percepibile.
Tra le certificazioni presenti in Europa, il Life Cycle Assessment[1] (LCA o Valutazione del Ciclo di Vita) rappresenta un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali di un prodotto lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime sino al fine vita (“dalla Culla alla Tomba”). A livello internazionale la metodologia LCA è regolamentata dalle norme ISO della serie 14040.
Il contrasto al fenomeno del greenwashing non lascia l’UE indifferente. Lo scorso gennaio la Commissione europea ha diffuso uno studio (coordinato dalla Commissione ed effettuato ogni anno dalle autorità nazionali nell’UE, riunite in seno alla rete CPC – Cooperazione per la tutela dei consumatori) per identificare le violazioni del diritto dei consumatori dell’UE nei mercati online, e lo screening si è concentrato sul greenwashing. Ebbene, “a parere delle autorità nazionali di tutela dei consumatori nel 42 % dei casi vi era motivo di ritenere che le affermazioni fossero esagerate, false o ingannevoli e potessero potenzialmente configurare pratiche commerciali sleali a norma del diritto dell’UE”.[2]
In tale contesto, nel quadro della nuova agenda dei consumatori dell’UE che fissa le priorità e i punti di azione cruciali su cui lavorare nei prossimi 5 anni, figurano due proposte legislative, una direttiva[3] ed un regolamento[4], affinché si disponga di informazioni migliori per operare scelte maggiormente consapevoli che riducano rischi di greenwashing.
Il legislatore a livello nazionale (Codice del Consumo) e a livello europeo[5] ha da tempo dato un’identità al greenwashing quale species del più ampio genus delle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori: la Commissione europea e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato posseggono strumenti non solo investigativi ma anche inibitori e sanzionatori, con la possibilità di comminare multe severe se le violazioni fossero accertate.
[1] Attualmente standardizzata dalle norme ISO 14040:2006 e ISO 14044:2018 che ha sostituito la precedente ISO 14044:2006
[2] greenwashing_lo screening dei siti web
[3] https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12467-Politica-dei-consumatori-rafforzare-il-ruolo-dei-consumatori-nella-transizione-verde_it
[4] https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12511-Prestazioni-ambientali-di-prodotti-e-imprese-dimostrare-la-veridicita-delle-affermazioni_it
[5] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52016SC0163