Condivisione della definizione di prassi agronomica e forestale, un concetto utile ad Agronomi e Forestali

Condivisione della definizione di prassi agronomica e forestale, un concetto utile ad Agronomi e Forestali

L’ultimo editoriale “Dottori in Agraria e Forestali, Agronomi, Dottori Agronomi e Forestali: una questione non solo formale” del Presidente Andrea Sonnino, pubblicato su AgriCulture il 26 maggio scorso, ha suscitato vasto interesse tra i laureati in Scienze Agrarie e Forestali e non solo. Riceviamo adesso – e volentieri pubblichiamo – questo contributo del Dott. For. Orazio Andrich, Presidente ODAF della Provincia di Belluno, che evidenzia l’utilità della condivisione della definizione di prassi agronomica e forestale (N.d.R.).


Colgo volentieri l’invito del Presidente Andrea Sonnino ad intervenire sul tema del suo scritto pubblicato a fine maggio 2021[1].

Prima di entrare in merito, desidero sottolineare due indicazioni del Presidente del FIDAF che dovrebbero essere metodicamente adottate nei dibattiti, per elevare il tono della nostra categoria ed aumentarne la possibilità di incidenza nella società e nella politica.

Per affrontare certi temi complessi e rilevanti per gli agronomi ed i forestali abbiamo bisogno di esprimerci in maniera circostanziata e che non dia adito a fraintendimenti, almeno tra di noi[2]. Il nostro linguaggio non deve certo essere assillato da pura forma o cavillosa nomenclatura, però si può avvalere di una pertinente terminologia e di alcuni concetti fondanti.

In questa prospettiva mi è piaciuto il richiamo che Andrea Sonnino ha fatto all’aforisma Nomina sunt consequentia rerum[3]. Chi ha la fortuna di apprezzare il latino, non avrebbe bisogno di altro. Per gli antichi Romani, bisognava che le parole influissero ciascuna nella struttura delle altre nella frase: ciò permetteva di dire molto in poche parole[4].

La citazione mi rimanda inoltre ad un gratificante ricordo personale di oltre trent’anni fa: ho imperniato proprio su di essa la mia relazione sull’approccio alla classificazione delle tipologie forestali del Veneto, all’uscita del primo testo italiano su questo argomento[5]; presentazione che venne fatta il 21 aprile 1990, in pompa magna, al Castelbrando di Cison di Valmarino[6]

Se il nostro bimillenario passato culturale, al quale possiamo attingere direttamente senza intermediari, non convince qualcuno che può imputarlo di visione troppo occidentalista, rammentiamo che anche per Confucio la decadenza della società umana era dovuta al venir meno della corrispondenza tra le “cose” ed i “nomi”.

Ne possiamo trarre la deduzione che una crescita intellettuale del nostro comparto professionale deve giovarsi della precisazione delle parole più importanti. Potrebbe essere un atto di restaurazione dell’armonia tra il pensiero, la parola e l’azione, che oggi vediamo sovente disconnessi.

Voglio ancora sottolineare l’importanza dell’auspicio con cui Sonnino chiude il suo articolo, di ricevere commenti, suggerimenti e proposte da parte dei colleghi; auspicio del quale ho dato riscontro, perché pare indispensabile che il percorso per identificare le idee fondamentali e definirle sia frutto di una partecipazione[7].

Dunque, per trattare con chiarezza di temi importanti per la nostra categoria non c’è bisogno solo di usare un linguaggio comprensibile e non ambiguo; ma questo linguaggio deve essere necessariamente condiviso.

A tal proposito piazzo anch’io, in bel latino, un altro principio, sempre contenuto nel diritto di Giustiniano: Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet”[8]. Vale a dire che ciò che riguarda tutti, deve essere approvato da tutti.

Riguardo al quesito posto su AgriCulture di maggio, più che dare una risposta immediata preferisco fornire un ulteriore spunto di riflessione, adottando un vocabolo che mi sembra utile a focalizzare la questione.

Nella mia personale visione delle cose[9] percepisco una relazione che collega biunivocamente l’agronomo e forestale a quella che definisco “prassi agronomica e forestale”: espressione che sottende un approccio non consuetudinario e dunque deve essere resa comprensibile con la spiegazione che segue.

Per essere incisivi, alla maniera degli antichi Romani (che abbiamo or ora lodato per tale loro inimitabile capacità), va cercato un complemento oggetto che manca.

Il soggetto è l’agronomo e forestale ed il predicato verbale che cosa faccia. Certo, se si procede per analisi, non c’è che l’imbarazzo della scelta, ma, per quanto possano estendersi, i responsi non saranno mai esaustivi. E il profluvio dei possibili pareri non maschererà la carenza di sintesi, bensì paleserà la difficoltà di tenere in pugno la problematica.

La parola che più di tutte mi sembra rivelatrice è “prassi”; anche essa promana dal latino: “praxis”.

La prassi può essere intesa universalmente per esprimere, anche nel nostro campo, il senso dell’azione: questo a condizione di considerare il termine al livello che gli compete, come esercizio di un’attività, di una professione, di un’arte e dell’insieme delle norme che la regolano. Declinata come “prassi agronomica e forestale”, risolve efficacemente la sintesi.

Diventa necessario fissarne la comprensione mantenendo uno standard elevato e non consentirne la sminuizione o la banalizzazione. Tantomeno essa deve scadere al senso di “routine” o di “cosi fan tutti[10]: completamente dissonanti rispetto alla mia interpretazione. Beninteso, la prassi può comprendere pratiche, tecniche ecc., ma non deve subire assimilazioni che la limitino solo a queste.

Poiché, qualche anno fa mi ero convinto che questo termine meritava di essere adottato formalmente e impiegato correntemente, avanzai unaComunicazione al VI Convegno degli Agronomi di Expo nel settembre 2015.[11] La mia dissertazione venne inserita tra i riferimenti[12] ma non ebbe però modo di essere discussa, per la concitazione delle manifestazioni e il sovrapporsi di eventi.

La costatazione che il concetto di “prassi” avrebbe potuto agevolare la comprensione di linguaggio confermava comunque nello scrivente l’opinione che era azzeccata per trovare utile impiego in molti degli argomenti di altre sessioni del Convegno[13].

Per delineare progressivamente i contorni della prassi, bisogna considerare l’entità con la quale si rapporta dinamicamente: la teoria. Se non ci fosse separazione tra le due, non avrebbe senso caratterizzarle distintamente. Forse, un tempo, questo bisogno non c’era[14], e anche oggi la cesura non è omogenea, ma differenziata nelle diverse materie/discipline. Nell’ambito forestale, mi sento sufficientemente autorevole per asserire che spesso c’è, ed è causa di talune disfunzioni.

Possiamo ammettere che speculazione intellettuale e applicazione pratica traggano di solito origine da motivazioni diverse e si muovano in situazioni dissimili. Il riconoscerlo consente di evitare che prendano strade diverse, fino al punto limite di intendere cose differenti, pur ostentando di trattare dello stesso argomento[15].

Azzardo a ipotizzare che le cause di alterazione siano più da parte della “teoria”; anzi che questa, non vedendo che se stessa, disdegni di esaminare i motivi per i quali non riscontra successo nella realtà.

A maggior ragione è opportuno incentrare nella prassi un concetto forte, tale da incutere rispetto e collocarsi almeno allo stesso livello della teoria; quindi, ad un livello intellettualmente dotato e che, se diventa autocosciente, non deve sentire complessi di inferiorità e, dunque, non può essere prevaricato.

Ristabilito questo equilibrio, teoria e prassi possono tornare a compenetrarsi, a rafforzarsi e a migliorarsi reciprocamente[16]. Instaurando una positiva dialettica, teoria agronomica e forestale e prassi agronomica e forestale potranno cessare di fraintendersi e tornare a costituire due endiadi.

Procedendo a caratterizzare la prassi, essa riguarda la pianificazione, la gestione e l’impiego delle capacità, dei fattori e delle forze disponibili per conseguire beni e servigi di natura agronomica e forestale. Evito di procedere alle specificazioni delle singole attività[17], perché ne mancherà sempre qualcuna[18]. Conta mettere in evidenza che, a differenza della teoria, la prassi è sempre connessa con l’azione concreta, che innerva costantemente le attività agronomiche e forestali.

Rientrano nella prassi tutte le forme di applicazione della tecnica, nonché quella che si apprezza come arte agronomica e forestale. Essa coinvolge anche l’organizzazione e la preparazione delle persone, dei mezzi, delle tecnologie, dei metodi e dei processi da adottare prima di procedere al loro impiego operativo.

Di che cosa si serve la prassi? Di whatever it takes, secondo l’espressione oggi di successo. Non è in latino, ma ha ulteriormente portato lustro ad un romano, che forse ha la postura di un antico Romano[19].

A differenza dello schematismo della teoria, che talvolta assume connotati eterei, la prassi si muove nelle contingenze e tra il susseguirsi di eventi; scenari questi che comportano rischi da percepire e cui far fronte ma anche le opportunità da cogliere e valorizzare. Il successo della prassi non risiede tanto nel presentare e nel presentarsi, ma nel conseguire risultati tangibili e sostenibili.

Ciò comporta l’adozione di scelte e di decisioni, basate sul realismo, sul pragmatismo e sull’assunzione di responsabilità: qualità queste non indispensabili nella teoria, mentre invece lo sono nella prassi.

Per fare la verifica a tale configurazione della prassi agronomica e forestale, bisognerebbe definirne quella della teoria agronomica e forestale. Mi ripropongo di farlo in seguito, in separata sede, con interlocutori che si possano identificare nella teoria, che non credo siano tra i colleghi ai quale mi sto rivolgendo e dai quali auspico anch’io un riscontro.

Se poi ci sono suggerimenti o proposte di come rappresentare meglio quel vasto campo che ho cercato di racchiudere nella prassi agronomica e forestale, ben vengano. Ciò che conta è fissare dei punti saldi ai quali appoggiarsi, anche per decifrare le complesse e in parte incognite dinamiche in corso[20].

Informo che intendo sviluppare altri ragionamenti, a partire dalla “presa di decisioni”, che costituisce il cuore della prassi). Li limiterò però al campo forestale, del quale ho completa dimestichezza e quindi possibilità di circostanziarli e argomentarli maggiormente.

Giungendo alla conclusione, mi riallaccio alla problematica ben impostata dal Presidente FIDAF. Se agronomo e forestale è colui che si occupa della prassi agronomica e forestale, tale requisito è certamente posseduto innanzitutto dai dottori agronomi e forestali.

Come presidente di un Ordine territoriale, è facile sostenere le ragioni una categoria alla quale si accede tramite istruzione universitaria, verificata da un serio esame di Stato, soggetta a una formazione continua e assoggettata ad un impegnativo codice deontologico. Tuttavia, evidentemente, la prassi non riguarda solo i liberi professionisti: alla luce di quanto esposto, si potrebbero esaminare le funzioni, le istituzioni, le amministrazioni, le posizioni ed i casi dei laureati in scienze agrarie e forestali che hanno (o che hanno avuto) a che fare con la prassi: disamina e confronto che vanno concordati a tutti i livelli e tenendo conto degli intrecci che ramificano la categoria. E anche coloro che si occupano (o si sono occupati) della teoria agronomica e forestale possono ritrovare in questo contesto una identificazione ed il riaggancio che abbiamo auspicato.

Per quanto riguarda il confronto su scala internazionale, esso non è sempre agevole, particolarmente laddove i percorsi post-laurea sono semplificati ma beneficiano di un addestramento pratico pre-laurea, fornendo con questo una conferma della attenzione che merita la prassi.


[1] Dottori in Agraria e Forestali, Agronomi, Dottori Agronomi e Forestali: una questione non solo formale Autore: Andrea Sonnino, Presidente FIDAF. Pubblicato su AgriCulture il 26-05-2021.

[2] Come comunicarlo o farlo comprendere all’esterno è un altro passo.

[3] Come ha scritto Dante, citando Giustiniano, “con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose, sì come è scritto: «Nomina sunt consequentia rerum»” (Vita Nuova XIII, 4).

[4] Cito da W.S. Churchill Gli anni della mia giovinezza Ed.Garzanti 1971

[5] La vegetazione forestale nel Veneto – Prodromi di tipologia forestale” (R. Del Favero – O. Andrich – G. De Mas – C. Lasen – L. Poldini) – Regione Veneto – Dipartimento Foreste-ed. Multigraf Venezia-1990

[6] Se ne approfittava anche per celebrare una sorta di riconciliazione dei dissidi avvenuti tra la Direzione Foreste del Veneto e quella dello Stato, il cui massimo dirigente Alfonso Alessandrini era notoriamente ben predisposto allo sfoggio di cultura umanistica, che tanto più poteva esser apprezzata nella inaspettata scenografia delle armature della Compagnia di Ventura del Gattamelata, custodite nel Castello Brandolini, situato dove si ergono di colpo le Prealpi venete.

[7] Purtroppo, ho l’impressione non siano pochi i soggetti che, spinti forse dall’ambizione, dalla velleità di potere o magari da banale vanità umana, preferiscono atteggiarsi a detentori di sapere sentenzioso, da custodire gelosamente anche attraverso labirinti di parole, piuttosto che contribuire in un gioco di squadra a conseguire concreti risultati per tutta la categoria e consolidarne i valori.

[8] La sentenza, nella forma cosi esposta, era abbastanza diffusa fino a dopo l’anno 1000. Nel codice di Giustiniano (5.59.5.2), suona “Necesse est omnes suam auctoritatem praestare, ut, quod omnes similiter tangit, ab omnibus comprobetur.”

[9] Weltanschauung, direbbero i tedeschi.

[10] Parafrasi scherzosa che mi permetto dell’opera lirica di Mozart, su libretto del veneto Lorenzo Da Ponte.

[11] Andrich O. La prassi agronomica e forestale come fondamento della cultura progettuale e della responsabilità sociale Gruppo di lavoro “Il ruolo sociale dell’agronomo” VI World Congress of Agronomist- Expo Milano settembre 2015

[12] Fattoria Globale del Futuro 2.0: il progetto degli Agronomi mondiali per valutare il benessere del pianeta e per definire i principi universali della professione. A cura del Centro Studi del Conaf: Sisti A., Quaglia G., Pietretti E. Expo Milano 2015

[13] Mi ero domandato quale gruppo di discussione fosse più pertinente per collocare la tesi esposta: dapprima, se quello sul “ruolo sociale dell’agronomo e del forestale” o quello della “comunicazione della professione”. Anche nella formazione professionale continua si sarebbe potuto far notare che la trasmissione della prassi è fondamentale. L’approccio internazionale agli standard professionali avrebbe potuto annettere per intero la prassi, cosi come potrebbe sottenderla la rete globale dei professionisti agronomi e forestali. Va da sé che la prassi ha un peso preponderante anche nella tecnologia e la professione, cioè nel modo in cui questa rende quella compatibile con l’economia, con l’ambiente e con la società. Riguardo al tema Università e professione si sarebbe presentata poi in forma prioritaria la questione del rapporto tra teoria e prassi. Anche per tutte altre le sessioni si erano dunque preparate argomentazioni da sostenere.

[14] Se ne potrebbe fare una rassegna, ma servirebbe solo se viene garantita la premessa della onestà intellettuale di cercarne le fratture e dipanarne le ambiguità.

[15] Ci sarà tempo di riconoscere ed elencare i casi: essi cominciano dal giorno successivo a quello felice della laurea o davanti all’Esame di Stato, dove anche laureati con ottime basi di teoria spesso assodano di trovarsi di fronte ad un altro mondo, che non sanno neanche definire con precisione (ora, chiamandolo “prassi” e comprendendo cosa con ciò s’intenda, vi troveranno un viatico sul quale muoversi).

[16] Un prototipo di questo connubio sono state proprio le tipologie forestali alla loro nascita (vedi nota 4).

[17] Partendo da quanto è elencato nell’art. 2 dell’Ordinamento stabilito con la legge n. 3 del 1976 e successive.

[18] Ad esempio, per i Servizi Ecosistemici: cosa bisogna fare per  la formazione e rigenerazione del suolo, la fissazione del carbonio, la regimazione e regolazione delle acque, la salvaguardia della biodiversità, la conservazione delle specie e degli habitat, la conservazione delle qualità paesaggistiche, le produzioni energetiche, i servizi ricreativi e del tempo libero, il turismo ambientale, paesaggistico, educativo e culturale, i servizi generati da attività agricole, selvicolturali ecc.

[19]  Sono peraltro venete le ascendenze paterne di Mario Draghi.

[20] Informo che intendo sviluppare altri ragionamenti, a partire dal “processo decisionale”, che costituisce il cuore della prassi. Li limiterò però al campo forestale, del quale ho completa dimestichezza e quindi la possibilità di circostanziarli e argomentarli maggiormente.

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Redazione Fidaf

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